Toscana

Nuove chiese: né vele, né navi

di Andrea FagioliArchitetto e monsignore. Don Simone Giusti, parroco di Cascine di Buti, in provincia e diocesi di Pisa, dove è nato 48 anni fa, è la persona più indicata per parlare, anche a ruota libera, delle nuove chiese. Lui, prima dell’abito talare, ha dovuto guadagnarsi la laurea in architettura: «Dal terzo anno di università avevo preso – racconta – la decisione di entrare in seminario, ma il mio vescovo, monsignor Matteucci, volle che prima mi laureassi per poi occuparmi di arte sacra, progettare e costruire chiese per la diocesi di Pisa». Così è stato. E al momento monsignor Giusti, già assistente nazionale dell’Azione cattolica ragazzi dal 1987 al 1995, vanta una decina di realizzazioni. L’ultima in ordine di costruzione la Regina Pacis a Fornacette.

Don Simone, perché le chiese moderne sono così brutte? È un luogo comune, una provocazione o corrisponde a verità?

«È vero, spesso c’è un’incompetenza architettonica nel progettarle. In molte ci si prega male. Alcune sembrano hangar, sono piatte, la luce è schiacciante. E pensare che noi siamo stati abituati alle chiese romaniche, a quelle gotiche: raccolte, intime…».

Ma allora è proprio necessario costruire nuove chiese visto che anche i praticanti sono in calo?

«Il problema è che i praticanti diminuiscono dove le chiese ci sono e aumentano dove le chiese non ci sono. Per farle un esempio, la chiesa che ho appena finito di progettare e di cui tra poco partiranno i lavori, è in diocesi di Volterra, a Cecina, una cittadina che all’inizio del Novecento aveva poche migliaia di abitanti e che ora ne ha 20 mila. Il vecchio Duomo progettato alla fine dell’Ottocento è incapace di accogliere le persone e poi, soprattutto, è lontano da dove abita la stragrande maggioranza della popolazione. Per assurdo, bisognerebbe smontare le chiese che sono in collina o nei centri storici e spostarle in periferia».

Se dunque è necessario costruirle, almeno che si rispettino i requisiti fondamentali.

«Infatti, e sono quelli dettati dalla Nota della Conferenza episcopale italiana del 1993. I criteri sono dunque definiti e devono rispondere ad una domanda centrale: cos’è la chiesa? La chiesa è il luogo dove si celebra l’Eucarestia. Per cui la chiesa deve essere essenzialmente un’aula liturgica, un’aula eucaristica. Tutte le altre definizioni sono improprie: la chiesa non può essere una vela o una nave, non può essere simbolo di altre cose».

Diventa pertanto fondamentale l’ideatore del progetto. A questo proposito, come vengono scelti gli architetti?

«Purtroppo, ci si rivolge alla persone che si conosce in parrocchia o nel vicinato, che normalmente non prendono la tariffa professionale, che lo fanno come forma di aiuto alla parrocchia. Ma non ci si rivolge a persone che abbiano fatto degli studi in materia. Bisogna anche dire che la formazione specifica è stata spesso negata da un clima culturale che a partire dagli anni Settanta ha cancellata l’idea di edificio sacro, di edificio religioso. Ai tempi in cui ho fatto l’Università io, dal 1974 al 1979, non era ad esempio pensabile che si potesse fare una tesi di laurea su una chiesa. Per fortuna, da una decina di anni a questa parte, questo black out ideologico è saltato e si ricomincia a parlare e scrivere di architettura sacra. Essendo oggetti specifici, le chiese richiedono competenze specifiche. Non tutti gli architetti sono pertanto in grado di progettarle così come io non sarei in grado di progettare una discoteca».

Quanto costa una chiesa?

«I costi sono quelli stabiliti dalla Cei. Grosso modo per una comunità di 10 mila persone, ovvero una parrocchia grande ma fino ad un certo punto, un complesso parrocchiale (chiesa, canonica e locali parrocchiali) costa dai 4 ai 5 miliardi delle vecchie lire. Molto dipende dai materiali».La chiesa dell’Autostrada progettata da Michelucci può essere considerata il prototipo delle chiese moderne? «Non direi. E le spiego perché: innanzitutto perché quella chiesa è un sacrario. Lo stesso Michelucci ha precisato di averlo costruito, come richiesto, per ricordare gli operai morti per realizzare l’Autostrada del Sole, come a Longarone, dove il sacrario per le vittime del Vajont è ora usato, ma impropriamente, come chiesa parrocchiale perché non è stata costruita una nuova. Il secondo motivo è perché Michelucci è un maestro per quanto riguarda il movimento dei volumi, ma non è lì che è riuscito ad esprimere maggiormente il senso di sacro, cosa che invece ha fatto per la chiesa di Collina, a Pistoia, e di Larderello».

Eppure, la «sua» chiesa di Fornacette sembra ispirarsi a quella dell’Autostrada del Sole?

«La chiesa di Fornacette si ispira a come Michelucci ha plasmato i volumi, però Michelucci, ad esempio, non avrebbe mai inserito un abside. E poi c’è la questione dei materiali. Io sono convinto che si debba parlare un linguaggio architettonico contemporaneo che sia in continuità con la memoria storica, per cui nelle mie chiese si trova il mattone, il rame, il legno, materiali che permettono al fedele di entrare in un ambiente conosciuto. Ad esempio, nella chiesa di Fornacette ho inserito volutamente le colonne, perché la colonna, nella memoria storica, indica un ambiente sacro. Non c’è luogo pubblico che abbia colonne disposte in una certa maniera. Sono un elemento tipico come la luce che viene dall’alto o le vetrate».

Don Bandini e quel progetto da 110 e lodedi Simone PitossiPrima ha seguito la sua vocazione. E nel 1997, a 29 anni, è stato ordinato sacerdote da monsignor Giovannetti, vescovo di Fiesole. Poi, grazie anche all’aiuto della sorella minore, ha ripreso gli studi universitari. E nel 2002, a 34 anni, si è laureato in architettura insieme a Chiara con 110 e lode. Con una tesi specifica per il territorio della diocesi fiesolana: il progetto di una nuova chiesa. È la storia di don Gabriele Bandini, vice rettore del Seminario diocesano e assistente della Consulta giovani.«Al momento di arrivare a concludere gli studi di architettura con la tesi – racconta il sacerdote – chiesi al Vescovo se ci fosse stato un progetto utile per la diocesi. Il Vescovo mi invitò a studiare una soluzione per la parrocchia di Rosano nella quale stava nascendo la necessità di una nuova chiesa e di nuovi locali parrocchiale. La popolazione del paese è infatti triplicata rispetto al periodo di edificazione attuale». Rosano, tra l’altro, è il paese in comune di Rignano sull’Arno, dove si trova anche la millenaria Abbazia benedettina.

Così è nato il progetto della tesi insieme alla sorella. Una sfida affascinante ma anche difficile da raccogliere. «L’idea – continua don Bandini – mi è subito piaciuta. Una chiesa, rispetto ad altre costruzioni, è uno spazio molto particolare e impegnativo: deve unire la bellezza alla funzionalità per la liturgia. Nella prima fase del lavoro abbiamo cercato di capire e di analizzare ciò che l’edificio–chiesa significa per una comunità, per un paese, per un territorio». E qual è il suo significato? «La chiesa – risponde il sacerdote – è un luogo di incontro: di incontro della comunità con Dio, di incontro del singolo con Dio, di incontro tra gli uomini e quindi luogo di festa e di accoglienza». Seguendo queste linee i due progettisti hanno realizzato il loro progetto per la chiesa di Rosano che mischia tradizione e rinnovamento. «La chiesa – spiega – è moderna e nuova nella forma. Ma, nello stesso tempo, recupera alcune idee delle pievi romaniche».

Il progetto è stato realizzato a quattro mani. E il contributo della parte femminile di questo «pool» – la sorella – è evidente. «Chiara – sottolinea don Bandini – è stata importante innanzitutto perché è mia sorella. In secondo luogo, perché mi è servita da stimolo costante per poter finire con lei i miei studi, interrotti negli anni del Seminario. E poi ha un senso estetico più spiccato del mio, che si è rivelato importante nella realizzazione di questo progetto».

L’ultimo pensiero del sacerdote è per chi ha avuto un ruolo fondamentale nel suo corso di studi. Infatti, in questo percorso don Bandini e la sorella Chiara sono stati assistiti dall’architetto Giancarlo Bertolozzi, professore alla Facoltà di architettura di Firenze, che, purtroppo, poco dopo la discussione della tesi è venuto a mancare. «Sia io che mia sorella lo ricordiamo con tanta gratitudine, stima ed ammirazione. Il ruolo dell’architetto Bertolozzi, grande professionista e a suo tempo assistente di Michelucci, è stato infatti fondamentale. E bello è stato lavorare con lui ed averlo vicino per la sua competenza ed esperienza, oltre all’umanità e alla grande fede che aveva. Lo studio dell’architettura con lui – conclude don Bandini – è diventata un’esperienza umana e spirituale».

La NOTA PASTORALE del 1993 sulla progettazione degli edifici di cultoDi seguito alcuni brani dalla Nota pastorale «La progettazione di nuove chiese» redatta dall’Ufficio liturgico della Cei nel 1993.

• Una comunità diocesana non può gestire la costruzione di una nuova chiesa come fatto soltanto burocratico-amministrativo. Deve pensarla come «casa del popolo di Dio», che in essa si raduna per esprimere il suo statuto battesimale, crismale, eucaristico.

• Lo spazio interno di una chiesa ha certamente un’importanza prioritaria, dal momento che esso trascrive architettonicamente il mistero della chiesa-popolo di Dio.

• La disposizione generale di una chiesa deve rendere l’immagine di un’assemblea riunita per la celebrazione dei santi misteri, gerarchicamente ordinata e articolata nei diversi ministeri, in modo da favorire il regolare svolgimento dei riti e l’attiva partecipazione di tutto il popolo di Dio.

• Per natura e tradizione lo spazio interno della chiesa è dunque studiato per esprimere e favorire in tutto la comunione dell’assemblea, che è il soggetto celebrante.

• Tale spazio è in primo luogo progettato per la celebrazione dell’eucaristia.

• Il progettista è persona di particolare qualificazione già a livello di pratica professionale, ma deve mostrarsi specificamente sensibile ai valori teologico-liturgici che l’edificio dovrà rappresentare.

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