Toscana

Nuovi stili di vita anche per la famiglia

Domenica 15 aprile l’Azione cattolica della Toscana terrà a Firenze il decimo incontro del «Progetto cittadinanza», dedicato quest’anno al tema «Economia familiare e nuovi stili di vita». Abbiamo chiesto al delegato regionale di Ac, Paolo Nepi, di illustrarci in generale la situazione attuale dell’associazione, e più in particolare il significato e gli obiettivi dell’incontro.

Che cosa si è proposta l’Ac toscana con il «Progetto Cittadinanza»?

«Il Progetto risponde all’esigenza di acquisire compiutamente il significato della “scelta religiosa” che l’associazione, guidata da Vittorio Bachelet e Franco Costa, fece con il nuovo statuto del 1969, con l’intento di recepire le istanze del Concilio. La stagione del primo dopoguerra, segnata dal duro conflitto comunismo-anticomunismo, aveva portato l’Ac, attraverso i Comitati civici di Luigi Gedda, ad un impegno politico diretto a sostegno della Democrazia cristiana. Giudicando superata la fase più critica del conflitto politico, l’Ac ritenne di dover recuperare il suo volto più autenticamente religioso e il primato dello spirituale per la sua missione nella Chiesa».

Non si è rischiato lo scivolamento verso una forma di spiritualismo disincarnato dalla storia?

«Il rischio è reale. Alcuni hanno infatti concepito la “scelta religiosa” come il ripiegamento in un ambito, mentre si trattava non di un ambito ma di una modalità, che non doveva trascurare nessun ambito della vita delle persone (da quello familiare a quello sociale e politico, intersecando il lavoro, la scuola e i vari ambienti di vita), e interpretando e vivendo tutto attraverso il discernimento evangelico. Tutto questo per aiutare le singole persone, e la comunità ecclesiale nel suo insieme, a crescere e a formarsi secondo le esigenze di una matura coscienza cristiana».

Che cosa significa oggi la «scelta religiosa».

«Significa confrontarsi, alla luce della coscienza cristiana, con le grandi sfide della società contemporanea, che si condensano nella sfida culturale dell’individualismo delle “passioni tristi” e in quella morale della giustizia. La prima riguarda lo “spaesamento” in cui ci ha condotto il nichilismo individualistico, che ha promesso il Paradiso della libertà individuale e ha portato alla solitudine spesso disperata delle persone. La seconda, quella morale della giustizia, richiede ai cristiani di testimoniare il valore sociale e politico della carità cristiana, che può iniziare dal gesto concreto della condivisione del pane con chi ha fame, ma che deve puntare anche ad eliminare le cause delle grandi ingiustizie che abbiamo davanti: tra chi ha tutti i diritti e chi ancora non ne ha nessuno, tra chi esporta clandestinamente i soldi sottratti al fisco e chi è strozzato dai debiti se non addirittura dagli usurai, tra un mondo che consuma e uno che produce per mantenere gli alti livelli di vita del primo…».

Quando si parla di economia, generalmente ci si riferisce ai grandi sistemi, che vanno dal Pil di uno Stato ai risultati di un’azienda. L’Azione cattolica regionale toscana ha voluto invece portare la sua riflessione sull’economia familiare. Perché?

«Per almeno due motivi. Primo. L’attuale crisi economica sta colpendo in prima istanza la comunità familiare, che deve fare i conti con una ristrutturazione complessiva dei suoi comportamenti in relazione alle sue varie esigenze. Secondo. Anche la comunità familiare è, almeno relativamente agli aspetti economici, una piccola azienda con il suo bilancio fatto di entrate e di uscite. Purtroppo gli anni della “spensieratezza consumistica” hanno finito per indebitare molte famiglie, che si trovano ora a fronteggiare i debiti in una situazione di riduzione delle risorse. Occorre pensare a qualcosa che eviti l’insorgere di situazioni drammatiche. Penso a questo proposito ai suicidi che le cronache ci consegnano dolorosamente con impressionante frequenza».

Che cosa intende l’Azione cattolica con l’espressione «stile di vita»?

«Ha detto recentemente Benedetto XVI: “lo stile di vita dei credenti ha bisogno di una genuina credibilità, tanto più convincente quanto più drammatica è la condizione di coloro a cui si rivolgono”. Se è vero, come dice la Lettera a Diogneto, che i cristiani non hanno città loro proprie, non si vestono in modo diverso dai loro concittadini, non hanno una loro lingua, è anche vero che non possono essere omologati agli stili di vita degli altri senza compromettere la loro specificità. Lo stile di vita è allora quel modo in cui si coglie la “differenza cristiana”, come ci ricordava Enzo Bianchi in un suo libro di qualche anno fa, che consiste nel testimoniare, nei confronti dei modelli di vita dominanti, la forza liberante della loro fede. Riprendendo un’immagine di Rosario Livatino, il “giudice ragazzino” ucciso dalla mafia, penso che anche il Signore ci chiederà conto non solo di quanto siamo stati credenti, ma soprattutto di quanto siamo stati credibili con i nostri stili di vita».

Stefania MorettiDiventare consumatori consapevoli attraverso la scelta della «sobrietà»di Piero Tani

L’idea di «sovranità del consumatore»– secondo la quale il consumatore trasmetterebbe, tramite il mercato, le proprie preferenze al sistema produttivo, determinandone le scelte – può suscitare perplessità e anche qualche ironia a confronto con quanto il consumatore  stesso risulta condizionato dai messaggi pubblicitari e dalle abitudini diffuse. Eppure, recuperare questa sovranità può diventare un imperativo etico, considerando che «acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico», come scrive Franco Gesualdi, un grande esperto di consumo critico.

Anche il Papa ci esorta in questo senso: «è necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti» (Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n. 51)

È necessario che ci proviamo a scegliere beni e servizi acquistati non solo in base al benessere che ce ne è promesso, ma anche in base alle condizioni in cui sono stati prodotti, alle persone che ci hanno lavorato, a quelle che ne traggono reddito, agli effetti sull’ambiente.

Stiamo ormai imparando che l’estensione dell’attuale stile di vita e di consumo dei Paesi più sviluppati alla popolazione mondiale non è compatibile con le risorse disponibili. La crescita in atto in grandi Paesi (BRICS: Brasile, India, Cina e Sud Africa) pone già oggi problemi di compatibilità, né è pensabile (è impossibile ed è moralmente inaccettabile) risolvere il problema impedendo questa crescita. Si pone quindi il problema di impostare un processo di cambiamento che converga verso una situazione di sostenibilità, ossia di una situazione che consenta alle generazioni future di vivere dignitosamente sul nostro pianeta a tutte le latitudini. Questo processo comporta un difficile cambiamento nello stile di vita delle popolazioni che attualmente hanno i livelli più elevati di reddito e di consumo.

Siamo così invitati alla sobrietà, ma sobrietà non significa rinuncia, ascesi, penitenza. «Sobrietà è la conseguenza naturale dello spirito di restituzione. (…) Sobrietà è non sprecare nulla, consumare solo il necessario, rispettare la natura. (…) Sobrietà nel rapporto con gli altri è vivere ogni legame nell’autenticità e rispettando la libertà dell’altro, non tradire la fiducia di nessuno, non scendere a compromessi per rincorrere il successo personale»: così in un bel documento del Sermig.

In questo senso, un tale nuovo stile di vita, che dia un maggior peso agli aspetti relazionali, può aiutarci ad uscire dai condizionamenti in cui il nostro consumo è costretto, a recuperare una vera capacità di decisione, a contrastare la coazione a consumare – e a consumare certi prodotti; in definitiva, può consentire un aumento della nostra felicità, come suona il titolo di un recente libro di Stefano Bartolini (uno dei relatori del Colloquio) «Manifesto per la felicità. Come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere» (ed. Donzelli, 2010).

Il programma «Economia familiare e nuovi stili di vita». Questo il tema del decimo colloquio del Progetto Cittadinanza della delegazione regionale di Azione cattolica. L’incontro si terrà la domenica 15 aprile in Palazzo Vecchio (Salone de’ Dugento) a Firenze e sarà l’occasione per parlare di consumo, sobrietà e relazione. «L’esigenza di una revisione degli stili di vita, la necessità di riconsiderare la risposta agli stimoli cui i consumatori sono sottoposti dalla pubblicità e da abitudini di consumo – scrivono gli organizzatori – non nasce solo da vincoli imposti dalla crisi e dai provvedimenti che sono stati presi nel tentativo di arginarla». Per questo «c’è un urgente bisogno di riconsiderare le scelte economiche – di consumo, di risparmio, di investimento – delle famiglie, per orientarle in direzioni che rispondano a criteri etici (…) ma anche per avere migliori risultati in termini di felicità».

Il programma prevede l’inizio alle 9.30 con il saluto delle autorità, alle 10 la relazione del delegato regionale Ac Paolo Nepi, a seguire la relazione della biblista Rosanna Virgili, e il dibattito.

Alle 12.30 la celebrazione della Messa presso la vicina Badia Fiorentina. Il pranzo è libero.

Nel pomeriggio la ripresa dei lavori alle 14.45 con la tavola rotonda alla quale prenderanno parte Franca Maria Alacevich (sociologa), Stefano Bartolini (economista), Ugo Biggeri (Banca Etica), Luigino Bruni (economista), Marco Mancini (agronomo). Al termine il dibattito e le conclusioni (previste per le 18).

La quota di iscrizione è di 10 euro. Per informazioni: Delegazione regionale di Ac – viale Ariosto, 13 – 50124 Firenze; tel. e fax 055/2280266, email ac.toscana@yahoo.it.