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PAKISTAN, PRESIDENTE ANNUNCIA DIMISSIONI

“Dopo aver considerato la situazione e consultato diversi consiglieri e alleati politici ho deciso, sulla base dei loro pareri, di presentare le dimissioni”: questo l’annuncio con cui poco fa, in un discorso alla nazione trasmesso dalla televisione, il presidente pachistano Pervez Musharraf ha annunciato la sua uscita di scena, alla vigilia di una procedura di destituzione organizzata dal suo governo. Poco prima, il presidente aveva difeso il suo operato negli ultimi anni e accusato il suo stesso governo di avergli mosso “false accuse” per giustificare una procedura di messa in stato d’accusa. Bandiere biancoverdi con la mezzaluna del Pakistan ai lati della scrivania, lo sguardo teso e la voce che in diversi momenti è apparsa vibrare per l’emozione, di fronte alle telecamere Musharraf ha “pregato” il governo di fermare “una tendenza negativa” e di “far uscire il paese dalla crisi”. Al di là di dichiarazioni strumentali e polemiche di parte, da più di un anno il Pakistan attraversa una fase politica di instabilità e ricca di incognite, una fase che le dimissioni del capo di stato potrebbero prolungare. Certi, al momento, appaiono solo due passaggi: una volta rassegnate le dimissioni all’Assemblea nazionale le funzioni del capo dello stato saranno esercitate “ad interim” dal presidente del Senato; ad eleggere il successore di Musharraf saranno i membri del parlamento, in una seduta straordinaria da tenersi entro 30 giorni dall’accettazione delle dimissioni. Secondo i principali giornali locali e la maggior parte degli osservatori stranieri, alla massima carica dello stato aspirano entrambe le forze di governo vincitrici delle elezioni legislative di febbraio, il Partito popolare (Ppp) e la Lega musulmana-N; le incognite sembrano riguardare anche il futuro personale di Musharraf, che giorni fa fonti di stampa di Islamabad avevano detto pronto ad abbandonare il paese pur di sottrarsi alla procedura di “impeachment” annunciata a inizio mese. Salito al potere grazie a un colpo di stato militare nel 1999, negli ultimi anni Musharraf è stato descritto sempre più di frequente come un capo di stato dimezzato, incapace di far fronte da un lato alla guerriglia attiva nelle province nordoccidentali al confine con l’Afghanistan e da un altro alle richieste di liberalizzazione politica avanzate da un cartello di oppositori alquanto variegato e non sempre credibile. Le dimissioni del presidente hanno suscitato reazioni differenti. A Islamabad il ministro dell’Informazione e dirigente del Partito popolare Shah Mahmood Qureshi ha celebrato “la vittoria delle forze democratiche” e sostenuto come a decidere dell’eventuale messa in stato di accusa di Musharraf debbano essere “i dirigenti democratici”. Più prudenti, ovviamente, le reazioni delle diplomazie straniere e in particolar modo americana. Il segretario di stato Condoleezza Rice ha ricordato come il presidente sia stato “un amico degli Stati Uniti e uno dei partner migliori al mondo nella guerra al terrorismo e all’estremismo”; allo stesso tempo, però, ha sottolineato che Washington “sostiene con forza il governo civile democraticamente eletto nel suo desiderio di modernizzare il Pakistan e costruire istituzioni democratiche”.Misna