Toscana
Petriccioli: «La persona e i valori alla base del mercato»
Allora, Petriccioli, la globalizzazione è un nemico dell’uomo?
«Dobbiamo fare un’analisi corretta sulla globalizzazione che non è di per sé un nemico delle persone. La globalizzazione è un fenomeno oggi più caratterizzante del nostro tempo ma che c’è sempre stato. Il fenomeno della interdipendenza via via che si sono scoperti nuovi territori e nuovi strumenti di comunicazione. Oggi, diversamente da quello che si pensava negli anni ’90, dobbiamo dire che il profitto e il mercato come unici elemento di governo dei fenomeni di globalizzazione e di interdipendenza del mondo sono tristememente falliti. E io sono chiamato a testimoniare oggi che se da un lato lo sviluppo è necessario per accrescere i diritti e il benessere delle persone non è vero che qualunque sviluppo fa bene alle persone. Spesso dico, facendo un esempio, che se il mio bambino non cresce è un problema, c’è una malattia. Ma se lo sviluppo lo porta ad arrivare ad un’altezza di due metri a mezzo allora c’è qualcosa che non va. Allora non è vero che qualunque sviluppo e modello economico è un modello positivo. E allora il tema di fondo è che al centro del nostro modello di sviluppo ci dovrebbero essere le perone».
E quindi lo sviluppo dovrebbe essere «per» le persone…
«È proprio così. Non solo. Il punto è quindi la responsabilità sociale delle imprese. È ancora accettabile come avvenuto dalla metà degli anni ’90 che le grandi multinazionali investano su un territorio, lo sfruttino fino in fondo, lo rapinino fino in fondo, e poi fuggano? Oppure quando un’impresa insiste su un territorio assume un impegno sociale, assume un legame con quel territorio e con le persone che lo abitano? Questa è l’analisi che come Cisl facciamo sulla globalizzazione. Non la paura e il tabù su una parola: a noi le parole non spaventano mai. A noi spaventano i fenomeni che passano sopra la testa delle persone e del territorio. Proprio per questo abbiamo indicato una mappa di valori e di principi attorno ai quali sarebbe opportuno, partendo dalla Toscana, aprire una discussione fornendo elementi comuni alla cultura laica e alla cultura cattolica».
Quali sono i punti cardinali di questa «mappa»?
«La sussidiarietà, la partecipazione, la solidarietà. La sussidiarietà permette alla comunità di poter governare i fenomeni di crescita attraverso un proprio protagonismo. La partecipazione perché in un momento come questo di grandi riforme nazionali e locali elemento negativo in questo senso è stata l’abolizione del voto di preferenza nella nuova legge elettorale regionale molti segnali spingono le persone a non partecipare. Come sindacato pensiamo che vadano ripristinati momenti di partecipazione e di aggregazione: c’è libertà se c’è partecipazione. Infine la solidarietà che svolge la funzione di ponte che lega i popoli e le nazioni dovunque abitino. Il programma della Cisl Toscana non ha bisogno di altri elementi: questi costituiscono la nostra bussola per orientarci nei problemi della società di oggi».
In questa visione di società il lavoro quale posto occupa?
«Il lavoro è determinante e dobbiamo impegnarci per rendergli dignità. Noi vediamo nel lavoro la porta di accesso ai diritti di cittadinanza. Laddove il lavoro manca in realtà manca alla persone la possibilità di costruire il proprio progetto di vita: farsi una famiglia, avere una casa e creare quindi un progetto che diventa sostegno della comunità. Il lavoro manca, anche qui in Toscana. Non solo. Il mercato del lavoro si precarizza sempre di più, le flessibilità non vengo contrattate. E allora dobbiamo iniziare a parlare di buon lavoro che oggi metta le persone in condizione di avere aspettative di vita dignitosa e domani, al al momento del collocamento in quiescienza, poter sopravvivere».
Quali sono le maggiori emergenze in Toscana?
«Ci sono tre tematiche di fondo. Innanzitutto il lavoro privato e pubblico: soprattutto a quest’ultimo dobbiamo rendere dignità e chiedere un salto di qualità in modo da avere servizi efficienti. Al secondo punto ci sono l’innovazione e la ricerca. C’è una necessità di cambiare il nostro assetto produttivo: viviamo in un territorio con tantissime piccole aziende e con i distretti che hanno fatto la storia della produzione della Toscana. Ma è altrettanto vero che oggi la nostra regione deve passare a un sistema territoriale: dai distretti all’area sistema. Perché non è più possibile caricare sulle spalle delle imprese la competizione in un sistema globale. Insieme alle imprese devono concorrere il credito, la pubblica amministrazione, la scuola, l’universita, i centri di ricerca pubblici e privati che attualemente non riescono a fare sistema. Il terzo punto è legato al sociale»
Che è un tema complesso…
«La situazione più devastante, attualmente, è quello della non autosufficienza. Non ci sono dati precisi. Ma in un’area come quella di Firenze a fronte di 70 mila non autosufficienti si riesce a rispondere a soli 16 mila. Immaginiamo di proiettare questi dati a livello regionale e pensiamo a coso vorrà dire da qui a vent’anni. Occorre creare immediamente un fondo regionale che sostenga le persone e le famiglie dei non autosufficienti che integri quello nazionale o il problema diventerà esplosivo».
Ma non c’è solo questo…
«In una società dove il mercato del lavoro si precarizza sempre di più, i soggetti svantaggiati devono essere protetti da una rete che preveda un salario accessorio anche nei momenti in cui non si lavora. Tradotto, tutto ciò, significa che il sistema pubblico deve vedere le opportunità di impiego e pagare l’operaio momentaneamente senza lavoro se questo segue dei corsi di formazioni, si riqualifica e, quindi, al termine di questo percorso viene di nuovo inserito nel mercato del lavoro. Sappiamo che è un tema difficile e scottante perché le risorse non sono molte ma questa copertura sociale è necessaria. Non è assistenzialismo, è la necessità di far sopravvivere le persone in un mercato del lavoro sempre più frammentano e precario».
Infine c’è il problema della povertà che riemerge…
«Cresce in modo spaventoso la povertà assoluta, ovvero personale che non hanno la possibilità di procurarsi beni primari come vitto, alloggio, vestiario. Basta andare alla Stazione di Santa Maria Novella a Firenze dopo le 20 per capire le dimensioni di questo fenomeno. E poi c’è la questione della povertà relativa: ovvero la difficoltà della singola persona a confrontare il proprio tenore di vita e rendersi conto che non è in sintonia con la comunità all’interno della quale vive. Ci sono bisogni che non sono certamente primari andare a mangiare la pizza o al cinema, per fare un esempio ma che segnano come si stia creando una marginalità per le persone, una vulnerabilità sociale ed economica delle persone. Anche a questo problema bisogna cominciare a pensare che, in passato, era tamponanato dalla Toscana delle piccole comunità dove tutti aiutavano tutti. Oggi, invece, la persona si trova come un individuo in mezzo alla tempesta. Questa tempesta deve essere attenuata dal ruolo del sistema pubblico, dei corpi sociali intermedi, delle istituzioni».