Toscana

Piccoli ospedali, dai tagli una nuova vita?

di Simone Pitossi

Negli ospedali toscani c’è uno dei più bassi numeri di posti letto per persona a livello europeo. A cosa è dovuto questa drastica riduzione? Al taglio netto dei piccoli ospedali. Infatti, l’attuale organizzazione della rete ospedaliera della Toscana è la conseguenza di processi che sono iniziati negli anni Ottanta e che sono proseguiti attraverso gli atti di programmazione fino all’attuale Piano sanitario regionale 2008/2010.

Proprio a partire dagli anni Ottanta venne attuato il primo rilevante processo di «razionalizzazione» della rete ospedaliera che ha portato alla chiusura di ben 48 piccoli ospedali su 92. Ora, per i pochi «superstiti» si prospetta una nuova vita. Questa operazione non è stata indolore ed è stata accompagnata da polemiche e forti contrasti sociali attenuati solo dalla riconversione di questi presidi ospedalieri in strutture sociali (Rsa) e sedi sanitarie territoriali (distretti, poliambulatori ecc).

Dopo questa fase di forte ridimensionamento della rete ospedaliera avvenuta negli anni Novanta ulteriori interventi sono stati mirati – più che alla chiusura di strutture – a ridurre la dotazione dei posti letto attraverso i criteri del tasso di ospedalizzazione e dell’indice di posti letto disponibili per mille abitanti. Proprio attraverso l’intreccio di questi due meccanismi avviene negli anni 1998-1999 una riduzione dei posti letto pari 3.560. Così, agli inizi degli anni 2000, la Regione Toscana aveva in totale 17.035 posti letto (di cui 2.340 in privati accreditati) con un indice per mille abitanti pari a 4,82 contro una media nazionale di 5,12.

«Con questi dati – spiega padre Renato Ghilardi, incaricato della Conferenza episcopale toscana per la pastorale sanitaria – era al di sotto della media nazionale come offerta di posti letto complessivi e il sottodimensionamento era più palese nel settore della riabilitazione intensiva. Va considerato anche che nell’organizzazione ospedaliera venivano introdotte modifiche organizzative che tendevano a ridurre la necessità di posti letto per acuti attraverso il ricorso a due attività: il “Day Hospital” o ospedale di giorno e il “Day Surgewry o chirurgia di giorno”».

Per una valutazione più precisa nell’arco del triennio 1998/2000 c’è stata una riorganizzazione dell’offerta ospedaliera che ha comportato una riduzione del 2,3% dei posti letto ordinari, compensata solo in parte dall’aumento dei posti letto in DH del 2,6%. Nello scenario regionale la riduzione dei posti letto ordinari è stata inoltre selettiva. Infatti, dei 624 posti letto ordinari soppressi nelle strutture pubbliche, 302 hanno riguardato le due aziende ospedaliere pisana (-4,2%) e senese (-21,6%) Le altre riduzioni hanno interessato le ASL di Pistoia, Livorno e Arezzo. La riorganizzazione continua poi negli anni 2003/2004 con la delibera n. 28 del 10/1/2003 che approva due progetti. Il primo denominato «nuovi Ospedali» per la costruzione di 4 nuovi ospedali: Massa Carrara, Pistoia, Prato, Lucca. Il secondo prevede la «Riqualificazione delle Aziende ospedaliere» con un criterio di fondo che mira al ridimensionamento dei posti letto arrivando ad un indice per mille abitanti di 3,8% e quindi una ulteriore riduzione addirittura dell’1%.

«Si tratta – spiega padre Ghilardi – di uno degli indici tra i più bassi a livello europeo e mondiale e quindi riduce sensibilmente la capacità di copertura del fabbisogno di letti per la popolazione toscana che fra l’altro dalle ultime stime sta crescendo rispetto al numero degli abitanti che è stato preso a riferimento. Inoltre, a fronte della riduzione dell’offerta di posti letto per acuti ci saremmo dovuti aspettare un rafforzamento delle strutture alternative al ricovero, soprattutto per anziani, cosa che non c’è stata. Tutto questo sta provocando un maggiore carico per le famiglie costrette a rivolgersi o a privati o a farsi carico direttamente dei periodi post ricovero acuto con gravi disagi». Il Piano sanitario 2008/2010 conferma gli indirizzi della delibera del 2003 proponendo il cosiddetto «rilancio dei piccoli ospedali», almeno quelli rimasti.

«Riguardo ai piccoli ospedali – spiega padre Ghilardi – nel Piano vi è un preciso impegno programmatico a salvaguardarne la destinazione socio-sanitaria a beneficio del territorio di pertinenza con la funzione di far fronte alle patologie sanitarie non acute, alle patologie sociali, dell’alta integrazione socio-sanitaria e alle varie attività non sanitarie che supportano l’area sanitaria. Il progetto regionale di riqualificazione e riconversione dei Piccoli Ospedali prevede che in essi possano essere effettuati anche interventi chirurgici specialistici da parte di équipes costituite all’interno dell’Area Vasta. Riguardo a questa possibilità alcuni ambienti medici e parti politiche hanno sollevato delle riserve poiché gli interventi chirurgici specialistici richiedono la disponibilità di attrezzature costose e di impianti di sala operatoria che, se utilizzati soltanto saltuariamente, non rispetterebbero il principio dell’appropriatezza economica». Il progetto del Piano Sanitario Regionale attuale, secondo il delegato Cet, è “condivisibile” anche per le varie ragioni: «I Piccoli Ospedali rimasti escono finalmente dal limbo dell’incertezza della sopravvivenza; così essi risparmiano ai cittadini del bacino di utenza, in particolare alle categorie fragili come gli anziani, i disabili, ecc., spostamenti non sempre agevoli; in essi le relazioni tra operatori e utenti e tra gli stessi operatori sono più umane e familiari». «Quest’ultimo aspetto – conclude padre Ghilardi – è sempre una grande ricchezza: lo è a maggior ragione in questo momento in cui le risorse finanziario-economiche sono scarse».

Carraresi: «Un processo di impoverimento»Il nuovo piano sanitario regionale? «Corre ai ripari dopo aver impoverito i piccoli ospedali». Ad affermarlo è il capogruppo Udc in Consiglio regionale Marco Carraresi. «Chi conosce la storia ospedaliera post-riforma 1968 – spiega il consigliere regionale – sa bene che i piccoli ospedali avevano una struttura limitata quanto a reparti di degenza e servizi diagnostici, ma avevano anche servizi ambulatoriali per le discipline specialistiche di base, pronto soccorso e attività di medicina preventiva». E assolvevano sì «anche alle esigenze fondamentali della popolazione di riferimento territoriale» ma «nascevano come funghi al sole incentivati dalla retta di degenza che era lo strumento tecnico per conquistare le risorse finanziarie necessarie al loro funzionamento».

Nello stesso tempo, continua Carraresi, «le funzioni specialistiche di maggiore complessità erano assolte per i rispettivi livelli dagli Ospedali provinciali e dagli Ospedali regionali». Insomma, «né più né meno come oggi e cosi è stato anche nella Regione Toscana, con Ospedali di zona che nascevano a pochi chilometri l’uno dall’altro per questioni spesso municipalistiche». E poi cosa è successo? «L’evoluzione dell’assistenza ospedaliera – spiega il capogruppo Udc – e la sua proiezione verso livelli qualitativi migliori, l’esigenza di inserire una programmazione a rete ed il progresso medicoscientifico, non riproducibile in contesti territoriali di ampiezza limitata senza espandere i costi di assistenza, hanno progressivamente ridotto la valenza di questi Ospedali fino a mettere in dubbio la loro capacità di essere garanti della salute dei cittadini». Così oltre al razionamento delle risorse finanziarie, i «piccoli ospedali» sono progressivamente diventati «ospedali piccoli» e poi hanno mantenuto la sola etichetta di «ospedale».

Secondo Carraresi, «la Regione Toscana è stata il principale artefice di questo processo di impoverimento di questo tipo di ospedali (è uno dei primati che non viene mai citato nei testi autocelebrativi del governo regionale) ed ora corre ai ripari». E in questo ci sono aspetti positivi e negativi, secondo il capogruppo Udc: «Onestà di giudizio vuole che si dica che il progetto di riqualificazione e conversione presenta aspetti condivisibili, mentre appare contraddittoria la previsione che in questi presidi possano essere effettuati interventi chirurgici specialistici da parte dei teams di Area Vasta itineranti, che presuppongono la presenza di costose attrezzature ed impianti di sala operatoria il cui utilizzo eventuale e saltuario contrasta con il principio di appropriatezza economica, che è una delle bandiere della programmazione toscana».

«L’aspetto positivo da rilevare – conclude Carraresi – è che finalmente la precaria situazione dei piccoli ospedali, sempre combattuti tra ipotesi di chiusura definitiva e/o di unificazione, sia oggetto di uno specifico impegno programmatico fondato sul mantenimento della destinazione socio-sanitaria a beneficio del territorio di pertinenza per quelle patologie sanitarie non acute e per le patologie sociali e dell’alta integrazione socio-sanitaria, oltreché di altre funzioni anche non sanitarie di supporto all’area sanitaria».