Toscana

Povertà, sempre più italiani bussano alle Caritas

Sono 120 i Centri d’Ascolto Caritas inseriti nella rete Mirod che ogni anno pubblica i dati sulle povertà in Toscana. I dati relativi al 2010 sono stati appena presentati a Lucca, presso il Polo Fiere, dove si teneva, dal 16-18 novembre «Dire e Fare» la rassegna annuale promossa da Anci Toscana e Regione Toscana, ideata per mettere in comune soluzioni e strategie amministrative sui più vari settori. In questa XIV edizione nel pomeriggio del primo giorno grande spazio è stato dedicato appunto alla presentazione del Dossier regionale sui dati rilevati dai 120 Centri d’ascolto Caritas sparsi in tutte le diocesi della Toscana. Un dossier che quindi nasce dal basso e che vede la luce anche con il contributo della Regione Toscana e dell’Osservatorio sociale regionale. Alla presentazione hanno preso la parola il delegato Cet per la Caritas, mons. Riccardo Fontana (vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro), l’assessore regionale a Welfare e politiche per la casa, Salvatore Allocca e la dirigente regionale Anna Faenzi (coordinatrice area inclusione sociale della Regione Toscana). Il Dossier nel suo complesso è stato presentato da Stefano Simoni, coordinatore progetto Mirod Caritas Toscana. A coordinare i lavori don Renzo Chesi, delegato regionale Caritas Toscana.

I numeri. Le persone ascoltate nel corso del 2010 nei 120 Centri d’Ascolto della rete Mirod sono state 24.832, con un incremento rispetto al 2009 di circa il 2,8% e del 10,4% rispetto al 2008. Il 74,5% delle persone è di provenienza straniera. Gli italiani erano poco meno del 21% nel 2008, nel 2009 erano il 23,1%, nel 2010 giungono al 25,5%. Il 53,7% delle persone è di sesso femminile. Il 52,9% delle persone che frequentano i Centri ha tra i 25 e i 45 anni, dato pressoché stabile negli anni. Tuttavia, l’età media delle persone accolte è in costante, sensibile aumento ogni anno: per gli italiani si situa a 48,5 anni (42 anni nel 2004), per gli stranieri intorno ai 38 anni (32 anni nel 2004). Oltre il 13% degli italiani ha più di 65 anni. Il 7,5% delle persone accolte dichiara di essere senza alloggio (rispetto al 7% del 2009), e l’8,1% vive in alloggi di fortuna (contro l’8,8% del 2009). Solo il 5% vive in appartamento/casa di proprietà, un altro 4,7% vive in alloggi di edilizia popolare: sono quasi tutti italiani. Percentuali non dissimili di italiani (42,7%) e stranieri (46,7%) vivono in affitto. Da notare che nel 2008 l’11,3% degli italiani viveva in casa di proprietà, percentuale salita nel 2009 al 13,2% e che si attesta al 13,4% nel 2010.

Lavoro e titolo di studio. Circa il 46% degli stranieri ha almeno un diploma o titolo equivalente (erano il 47% nel 2009 e il 53% nel 2008), a fronte di un 79% e passa di italiani che ha un titolo di studio uguale o inferiore alla licenza media (dato stabile rispetto agli ultimi due anni). La disoccupazione colpisce il 73,7% delle persone, dato elevatissimo e sostanzialmente stabile rispetto agli anni scorsi (73,5% nel 2009, 72,4% nel 2008). È disoccupato il 66% degli italiani (63% nel 2009, 65,3% nel 2008) e il 76,5% degli stranieri (76,9% nel 2009, 74,3% nel 2008). Circa l’11% degli italiani è pensionato.

Gli stranieri. Tra gli stranieri, praticamente la metà (il 48,9%) proviene da un paese europeo. La provenienza principale resta dalla Romania (25,3%, dato in altalena negli ultimi anni, considerando il 22,4% del 2009, il 24,4% del 2008 e il 31,6% del 2007), seguita dalle presenze di cittadini del Marocco (14,9%, erano il 13,9% nel 2009), dell’Albania (8,2%, in crescita rispetto al 7,3% del 2009, erano la quinta nazionalità più rappresentata negli anni scorsi, ora è la terza), del Perù (7,6%, in calo rispetto all’8,9% del 2009), della Somalia (4,7%, forte flessione rispetto al 7,6% del 2009) e dell’Ucraina (3,9%, dato stabile rispetto al 2009). Il 7% degli stranieri dichiara di essere in Italia da un anno o meno. Inoltre, il 55,8% degli stranieri che si recano al Centro è arrivato in Italia da 5 anni o più. Il 28,5% degli stranieri non comunitari non ha permesso di soggiorno, dato in sensibile calo rispetto agli anni scorsi, considerando ad esempio il 44% del 2007.

Le richieste. Le problematiche emerse toccano soprattutto le questioni della povertà di risorse materiali (36,9% rispetto al 31,3% del 2009), del lavoro (disoccupazione, sottoccupazione, sfruttamento, in totale il 36,5% dei casi, rispetto al 31,7% del 2009), della casa (7,3%) della salute (5,7%), della famiglia (5%) e, per gli stranieri, le questioni legate all’immigrazione (4,1% sul totale dei problemi manifestati dagli stranieri, dato in netto calo rispetto al 7,9% del 2009). Il 25,7% delle richieste riguarda beni e servizi materiali (erano il 22,8% nel 2009). In crescita le richieste di lavoro (22,5%, erano il 19,3% nel 2009 e il 14% nel 2008). Da segnalare le richieste di un ascolto legato a progetti di intervento/accompagnamento e ad un adeguato orientamento ai servizi del territorio, che nel complesso superano il 28% del totale delle richieste (erano il 24% nel 2009 e il 17% nel 2008). Gli interventi sanitari e legati all’igiene personale, insieme, riguardano il 12,2% del totale (erano il 19,7% nel 2009).

I primi commenti. Terminata la presentazione dei dati da parte di Stefano Simoni ha preso la parola la dirigente Anna Faenzi «questi dati della Caritas ci sollecitano allo studio di un vero miglioramento della rete dei servizi pubblici, perché rivolgersi alla Caritas spesso o è l’unica soluzione o è comunque quella di più facile accesso per chi vive nel disagio e nell’impoverimento». Poi è intervenuto l’assessore regionale Allocca, che ha ringraziato il lavoro dei Centri di Ascolto della Caritas «per l’impegno capillare che sanno fornire ai richiedenti aiuto e per i dati preziosi che ogni anno fornisce» ma ha affrontato poi anche il problema  delle minori risorse a disposizione di Regioni e Comuni per il sociale che rende ancora più difficoltoso far fronte «ad una crisi della società prima ancora che dell’economia» e l’assessore indica proprio nel «sociale l’elemento portante da cui ripartire: perché se alcuni riempiono sempre di più i ristoranti ed altri sempre di più le mense della Caritas c’è qualcosa che non torna». Ha concluso l’incontro mons. Fontana, delegato Cet per la Caritas:  «che la povertà sia una colpa e la ricchezza un merito» ha detto «è la visione dominante, ma non è la visione cristiana».  E poi specifica: «i poveri non sono della Chiesa o dello Stato ma sono di tutti, e questi dati hanno una funzione pedagogica, servono a far interrogare tutti, comprese le nostre comunità cristiane, sul grado di solidarietà e democrazia presente nella nostra società».

Don Chesi: «Penso ai volti che non vediamo»Don Renzo Chesi, della diocesi di Volterra, è il delegato regionale della Caritas. A lui abbiamo rivolto qualche domanda. Qual è il dato principale che emerge da questo nuovo dossier?«Senza dubbio che oramai quando parliamo di poveri non dovremmo più distinguere tra italiani e stranieri. La presenza di italiani che si rivolgono ai Centri d’Ascolto della Caritas è in costante aumento negli ultimi anni. La povertà colpisce tutti quelli che abitano sul nostro territorio».

In questa selva di numeri e dati cosa si sente di sottolineare per le nostre comunità cristiane?

«Questi numeri sono un’occasione di ascolto che la Caritas mette a disposizione di tutti, per riflettere sulla realtà dove siamo. Però mi permetto di dare una sollecitazione: su quanto scritto nel dossier ci sarebbero davvero tante cose da dire, ma pensiamo ai dati che non ci sono, ai molti volti che non conosciamo. È un piccolo impegno per il futuro».

C’è quindi ancora molto da fare?

«Penso che vadano attivati sempre nuovi sensori, anche istituzionali, per intercettare le persone che vivono il disagio e l’emergenza. Chi si avvicina ai Centri d’Ascolto ha superato la paura e la vergogna del chiedere aiuto. Ma forse non tutti riescono a fare questi passi. Nel ringraziare di cuore le tante istituzioni, la Regione Toscana in particolare, dico che tutti insieme dobbiamo comunicare meglio anche tra di noi, per avere un quadro sempre migliore della realtà, per cercare di interagire il più possibile».

Cosa dovrebbe essere un Centro d’Ascolto per una parrocchia?

«Il Centro d’Ascolto aiuta la parrocchia ad ascoltare le necessità e le urgenze dei poveri. E questo è sempre un motivo di crescita per noi tutti che ci richiamiamo al Vangelo».

a cura di Lorenzo Maffei

Dossier povertà Caritas Toscana (2011)

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Arezzo, come funziona un Centro di ascoltodi Maria Grazia Profeta

In centro città, per essere riferimento di chi ha bisogno. È questa la caratteristica più importante del Centro di ascolto diocesano di Arezzo. Si trova in via Fonte Veneziana, una strada che nella sua storia è stata un punto di passaggio, alle porte della Città antica. E, punto di passaggio, lo è ancora oggi rendendo la sede della Caritas una sorta di «antenna della povertà» sul territorio. Ma i segnali «captati» in questi ultimi mesi non sono affatto tranquillizzanti: le richieste di aiuto sono cresciute in modo esponenziale. Da gennaio a settembre 2011 si sono registrate al Centro Caritas aretino ben 1.271 persone. Esattamente la stessa cifra raggiunta in tutto il 2010. E sempre nei primi 9 mesi di quest’anno il Centro di ascolto diocesano ha preso in carico interventi di sostegno per 486 persone. OItre il 30% di chi chiede aiuto è italiano.

«Questi dati – spiega il direttore don Giuliano Francioli – evidenziano un lento ma progressivo impoverimento del nostro territorio. Una situazione che dovrebbe indurci ad una riflessione collettiva che ci permetta di trovare insieme delle risposte promozionali alle tante richieste di aiuto. Siamo di fronte a un trend di impoverimento legato non solo a problemi economici, lavorativi e alloggiativi, ma anche di povertà culturale, di scarsa socializzazione e di aumento dei disagi personali. È anche per questo che negli ultimi anni la famiglia è diventata la principale beneficiaria degli interventi della Caritas diocesana, un lavoro che comporta un notevole sforzo organizzativo ed economico per garantire la coesione sociale e i diritti di cittadinanza. Oggi, è per noi importante evidenziare la complessità di questo momento storico partendo proprio dai bisogni reali delle persone. Chiediamo infine alle comunità parrocchiali, alle istituzioni pubbliche e private, alle categorie economiche e finanziarie di questo territorio, di unirsi a noi nel garantire a tutti i nostri concittadini una vita dignitosa e di piena inclusione sociale».

«Fare rete» con i servizi pubblici del territorio è il modus operandi che permette al Centro di ascolto aretino di superare la prospettiva dell’assistenzialismo e di rispondere alle richieste di aiuto, in forte crescita, attivando percorsi di accompagnamento e forme di re-inclusione sociale, per uno sviluppo integrale dell’individuo. «La persona innanzitutto», infatti,  è il principio cardine, immutato, intorno a cui ruota tale realtà dal momento in cui si è strutturata, a metà degli anni ’80, per opera di alcuni volontari.

Nel 1997 Padre Flavio Carraro, allora vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, nominò suor Rosalba Sacchi direttrice della Caritas, e fu proprio lei, con le consorelle Vincenziane, a lasciare la struttura di via Fonte Veneziana in eredità alla Diocesi per opere caritative.

Inizialmente le attività principali ruotavano attorno all’erogazione di buoni per la mensa Caritas cittadina e alla distribuzione di generi di prima necessità tramite incontri conoscitivi a carattere informale. Nel corso degli anni l’organizzazione è andata progressivamente modificandosi, mirando soprattutto alla focalizzazione di interventi personali e individualizzati, attraverso lo sviluppo di una serie di colloqui. Sono nati tanti servizi che cercano di trovare soluzioni per i bisogni emergenziali e materiali – mangiare, dormire, vestirsi, lavarsi –  ma anche e soprattutto di rispondere a problematiche più profonde e delicate, come l’emarginazione sociale, la dipendenza da droghe, alcool, gioco d’azzardo e molto altro. Così la Chiesa aretina si fa davvero prossima ai «nuovi poveri», con una «carità» che è risposta concreta.

Livorno: E il vescovo Simone lancia la «lobby dei poveri»di Chiara Domenici

La Chiesa non ha il compito di fare politica, ma ha quello di occuparsi delle persone  e se la gente sta male, è disperata, non sa come andare avanti perché è rimasta senza casa, senza lavoro e magari ha anche mutui da pagare e figli a carico, allora è compito della Chiesa intervenire e dare voce a questi poveri, spronando i politici e tutte le realtà di una città a fare squadra perché il bene comune prevalga su tutto e si esca presto dalla crisi». Le parole accorate di monsignor Simone Giusti, lanciate ormai da tempo attraverso i media, tornano martellanti per dare una scossa ad una situazione di empasse e crisi profonda che si respira in città.

Livorno, come tante altre, vede perdersi centinaia di posti di lavoro e con essi la speranza di tantissime famiglie che non sanno più come arrivare a fine mese e pagare utenze e affitti.

Il Vescovo ha fatto appello a tutte le forze della città: associazioni di categoria, imprenditori, commercianti, e politici in primis a trovare soluzioni ai problemi e questo venerdì 25 novembre in vescovado si riunirà un’assemblea che fa capo alle commissioni del Progetto culturale diocesano, per dare vita ad un tavolo di lavoro con proposte concrete: «presto e bene – ha detto monsignor Giusti – non possiamo far passare altro tempo prezioso. Urgono progetti e proposte fattibili per il lavoro e per la casa. Con i prossimi sfratti esecutivi per morosità incolpevole a fine novembre più di 200 persone saranno senza un tetto. E con l’inverno che si avvicina non è certo una bella prospettiva. Ognuno svolga la sua parte, in questo momento nessuno è necessario , ma tutti sono indispensabili perché sono veramente tante le famiglie in difficoltà».

Ed in questo pensiero di una lobby per i poveri si sono riconosciuti gli esponenti di diversi schieramenti cittadini: destra, sinistra, centro e liste civiche, hanno commentato e approvato l’idea di costituire un canale preferenziale per le persone in difficoltà e anche loro si incontreranno con il Vescovo, in occasione del tradizionale ritiro dei politici a metà dicembre a Montenero, per fare il punto su ciò che è possibile fare nell’immediato per porre rimedio all’emergenza.

Ma la lobby dei poveri non dovrà essere solo una questione di «emergenza», dovrà essere uno stile di impegno, un programma per il futuro, una direzione per l’avvenire, perché la povertà, tutta la povertà, diventi il male più grande da sconfiggere, in una comunità dove si è messo al centro di tutto il bene comune e le persone.