Toscana

Profughi, la Toscana li ha accolti ma non hanno un futuro

di Claudio Turrini

«Non c’è futuro per queste persone, non c’è speranza. Per il momento è un’accoglienza senza futuro. Sinceramente rimane l’amaro in bocca». Don Renzo Chesi, delegato regionale Caritas è preoccupato. Il 31 dicembre si avvicina e se non ci saranno proroghe, scadranno tutte le convenzioni con il Ministero. Certo, qualcosa si dovrà fare per i richiedenti asilo che ancora non sono stati ascoltati dalle Commissioni che concedono lo stato di «rifugiato». Ma cosa accadrà per tutti gli altri? «Se non hanno fatto ricorso verranno considerati “clandestini”. Noi continueremo nell’accoglienza, ma senza la copertura di riferimenti legislativi ed economici è difficile. C’è una grande incertezza. Come Caritas verificheremo cosa si può fare».

Dei circa 1.600 dislocati in Toscana a partire dai primi di marzo, una buona metà sono stati accolti da strutture ecclesiali, sia di enti o ordini religiosi, che direttamente delle Diocesi. Una risposta generosa e immediata all’appello del presidente della giunta regionale Enrico Rossi che aveva contrapposto alle scelte del ministro Maroni – grandi concentramenti in strutture recintate e presidiate – una «via toscana» all’accoglienza, fatta di piccoli gruppi di profughi disseminati nel territorio e affidati alla vasta rete di solidarietà che esiste nella nostra regione. Una scelta subito condivisa dai vescovi toscani che hanno aperto le porte di canoniche e ostelli, case d’accoglienza e conventi. Il bilancio è stato positivo. «Passata la prima paura pregiudiziale – ci spiega don Chesi – non c’è stato problema. Queste persone avevano davvero bisogno e c’è stata una piena accoglienza e integrazione. Ho fatto un po’ il giro della Toscana e tutte le Caritas danno un giudizio molto positivo, sia delle persone accolte, sia delle popolazioni che li hanno accolti. Non ci sono stati assolutamente problemi di sicurezza, come qualcuno paventava».

Anche con le istituzioni il rapporto è stato positivo. «I contatti sono sempre avvenuti attraverso Prefetture, Province e Comuni. Le strutture diocesane hanno collaborato anche con le associazioni, perché spesso la gestione di una casa era di una cooperativa, o di una associazione. La Caritas ha fatto più un lavoro di accoglienza, pastorale, di vicinanza». Buona parte di questi profughi, sbarcati a Lampedusa e provenienti dalle coste libiche, sono cattolici ed è stato possibile offrir loro anche assistenza spirituale. Vengono dalla Nigeria, dal Sudan, dal Niger… Sono lavoratori stranieri che si trovavano in Libia al momento della guerra civile, oppure che ne hanno approfittato per lasciare l’Africa, in fuga da zone di guerra o da situazioni di ricatto o tortura. «Noi di storie, di confidenze su situazioni terribili, ne abbiamo raccolte tante in questi mesi – prosegue don Renzo – Purtroppo non essendoci collaborazione con i centri di accoglienza, le Commissioni decidono solo su criteri oggettivi e non personali. E per fortuna che adesso c’è una Commissione anche a Firenze. Prima anche chi era ospite in Toscana doveva andare o a Reggio Calabria o a Torino». Finora solo il 20% dei richiedenti ha ottenuto lo status di rifugiato. Il che non risolve comunque i loro problemi. Per un anno potranno rimanere in Italia, ma dove? «C’è il progetto Sprar (Servizio protezione richiedenti asilo e rifugiati) che permette di accogliere rifugiati politici, ma ci sono numeri molto limitati per ogni città. Che ne sarà degli altri?», si chiede don Renzo.

Da qui l’appello alle istituzioni e al nuovo governo perché prenda in esame al più presto questa situazione. I vescovi del Triveneto hanno fatto già un documento ufficiale indirizzato alla regione. «Ma anche la nostra delegazione regionale Caritas – prosegue don Chesi – ha già espresso queste preoccupazioni. Non è sufficiente chiedere accoglienza verso queste persone se poi non si mette in campo una possibilità di poter verificare cosa farne ora o in futuro. Tutto il lavoro fatto, tanti investimenti di energie anche umane, ecclesiali o sociali rischiano di essere vanificate nel giro di pochi giorni. Questi ragazzi aspettavano, credevano… e invece si ritrovano clandestini, oppure devono fare ricorso e rimanere in attesa di una decisione. La Chiesa è chiamata a supplire a queste incertezze».

C’è poi anche un problema burocratico che riguarda le strutture che hanno accolto. «Specie chi ne ha ospitati tanti, ha fatto investimenti ingenti, anticipando tutte le spese (ad oggi non è arrivato ancora un euro) adesso ha anche la difficoltà di rendicontazioni molto fiscali, e basta un’inesattezza per bloccare tutto». Aver poi affidato la gestione dell’emergenza alla Protezione civile, che pure ha tanti meriti, ha portato anche altri problemi: «È in grado di montare le tende a Lampedusa, ma non di fare un lavoro di mediazione sul territorio. Si è sentita questa assenza dello Stato».

Tra i problemi incontrati c’è stato anche quello del lavoro. «In mancanza di legislazione e di utilizzo, ciascuno ha rischiato sulla propria pelle. C’è chi ha deciso di vincere l’ozio di queste persone. Qualcuno si è assunto qualche responsabilità, andando oltre la legge e proponendo anche dei piccoli lavori, non pericolosi. Altri hanno invece preferito aspettare che finisse questo periodo per vedere se verranno accettati o no».

Adesso si apre un momento di riflessione anche per le stesse Chiese della Toscana. «Al termine di questo periodo – conclude il delegato Caritas – è necessario un momento di verifica interno per le nostre Chiese, su aspetti positivi e negativi, in modo che se si ripresentasse un’emergenza del genere, trovare più coesione, intesa e programmazioni e progetti in comune, per presentarsi alle istituzioni ancor di più non come singole realtà, legate a parrocchie o associazioni, ma come Chiese della Toscana».

DIOCESI DI AREZZO-CORTONA-SANSEPOLCROIn pochi giorni si è passati dalla diffidenza alla solidarietàdi Lorenzo Canali

Erano stati accolti ad aprile tra diffidenza e qualche protesta della popolazione locale. Ora che dei 50 migranti tunisini, ospitati a Palazzuolo di Monte San Savino (Arezzo) in una struttura della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, nel pieno dell’emergenza sbarchi a Lampendusa della scorsa primavera, non è rimasto più nessuno si può dire che l’accoglienza è stata un successo su tutti i fronti. Sì, perché quelle paure e incertezze iniziali della popolazione della piccola frazione aretina, di colpo piombata sotto l’attenzione di telecamere e cronisti, hanno ben presto fatto posto la solidarietà e l’accoglienza di cui la gente di queste zone è capace. In tanti, durante le settimane di permanenza dei profughi nord africani, sono arrivati nell’ex canonica che li ospitava per donare vestiario, rispondendo così all’appello dell’arcivescovo Riccardo Fontana che aveva sottolineato come i migranti sarebbero stati ospitati nella totale legalità.

«Quando dei giovani studenti fuggono dalle tirannie è nostro dovere accoglierli», aveva detto il Presule.

Ma il successo è stato soprattutto sul fronte organizzativo, con un’inedita cabina di regia che ha visto accanto alla Diocesi aretina la Provincia, la Protezione civile e le tante associazioni del territorio. Un modello – incentrato sull’ospitalità di piccoli gruppi – che ha continuato a funzionare positivamente per tutto il 2011, con numerosi altri gruppi di profughi africani ospitati nell’Aretino. Tra gli ultimi arrivati, 15 giovani del Niger ospitati in località Monastero, poco fuori la città di Arezzo. Anche in questo caso la struttura è stata messa a disposizione dalla Diocesi, mentre l’accoglienza è curata dalla Migrantes. «Al momento l’accoglienza sta procedente tranquillamente – spiega il responsabile della Migrantes aretina, Nino Armao –. Si tratta di uomini tra i 18 e i 28 anni, di buona istruzione. Quasi tutti parlano l’inglese e provengono da classi sociali medie. La situazione in Niger – una delle nazioni più povere del mondo, la cui economia si basa quasi esclusivamente su pastorizia e agricoltura e che sta subendo gravi danni ambientali dall’estrazione di uranio da parte dei paesi occidentali – è così drammatica che le fasce più povere della popolazione non hanno nemmeno la possibilità di fuggire».

Gli ospiti della struttura aretina hanno presentato domanda come rifugiati e sono in attesa di una risposta da parte del ministero. «La loro permanenza non dovrebbe protrarsi oltre marzo», spiega Armao. «Gli spazi messi a disposizione dei nigerini sono di fatto autogestiti dagli stessi profughi che stanno provvedendo alle pulizie. Nel frattempo seguono anche dei corsi di alfabetizzazione in Italiano, tenuti dai nostri volontari. I profughi sono liberi di spostarsi e non c’è stato alcun tipo di problema con la popolazione locale. Sono tutti cristiani e ogni domenica prendono parte alle celebrazioni assieme alla comunità nigeriana di Arezzo».

DIOCESI DI MASSA CARRARA-PONTREMOLIPolemiche sui costi, la nostra inchiesta dopo gli articoli del «Giornale»di Roberto Benatti

Due articoli recentemente pubblicati da «Il Giornale», hanno, l’uno, ironizzato sull’uso del sostegno economico del Governo e sul malcontento di alcuni abitanti, circa il soggiorno «dorato» dei rifugiati e l’altro sul presunto business che ci sarebbe dietro. I profughi vengono accolti in strutture comunitarie pubbliche o private dei Comuni individuati. Ai sindaci ospitanti, la Protezione civile versa 46 euro al giorno per vitto, alloggio e prima assistenza sanitaria.

Per quanto riguarda i minorenni, invece, la retta raggiunge i 120 euro quotidiani nel caso essi vengano affidati a strutture speciali. È emerso che al «CAM» della Croce Rossa di Marina di Massa, vi sono 79 minorenni giunti dalla Libia a Lampedusa, lo scorso mese di luglio. Stando a quanto affermato da «Il Giornale», essi costerebbero 9.480 euro al giorno. Da qui, da questi dati è partita l’indagine di «Vita Apuana» riguardante la condizione dei profughi attualmente ospitati presso tutte le strutture del territorio provinciale. A tale scopo, seguendo la linea editoriale del settimanale, che privilegia i riscontri diretti alle illazioni, abbiamo preso contatto con i responsabili della Cri regionale.

Le informazioni ricevute divergono in maniera sensibile e sostanziale, da quanto contenuto nell’articolo de «Il Giornale». Innanzi tutto, la cifra procapite erogata dal Ministero, risulta essere non di 120 ma di 73 euro di cui dovrebbe essere corrisposto subito il 90% e solo successivamente, previa rendicontazione, il restante 10% (ma a causa dei ritardi nell’erogazione la croce Rossa ha dovuto anticipare le spese). Con 5.800 euro al giorno vengono offerti vitto, alloggio, corsi e attività ludiche nonché curati tutti gli aspetti igienico sanitari. Nella struttura di Marina di Massa sono impegnati alcuni esperti esterni che vengono regolarmente retribuiti. Si è evidenziata sia l’opera meritoria della Cri a favore di persone svantaggiate, sia l’opportunità di lavoro offerta ad alcune figure professionali. Si potrebbe sostenere che «ospitare profughi può essere anche una risorsa».

L’indagine è proseguita nei Comuni di Bagnone e di Carrara. Il Sindaco di Bagnone, tramite la sua segreteria, ha informato che i 13 profughi, giunti nel maggio scorso, sono tutti nigeriani. Dieci di essi alloggiano presso una foresteria comunale e gli altri presso una canonica. I 46 euro giornalieri del governo dovrebbero giungere previa rendicontazione mensile. «Non sono pagati per bighellonare – ci hanno detto – ma, oltre a seguire i corsi di alfabetizzazione, sono impiegati in lavori socialmente utili anche nelle zone alluvionate». Diverso dunque il quadro da quello delineato ne «Il Giornale».

I profughi accolti dal Comune di Carrara sono alloggiati presso il Centro sociale Caritas di Bassagrande. Ai 5 ospiti, del Camerun, Costa d’Avorio e Senegal, viene garantito vitto, alloggio e vestiario. Il tutto sotto la responsabilità del dipartimento Servizi sociali. Per evitare rischi di infortunio o di sfruttamento, queste persone non vengono utilizzate per nessuna attività lavorativa. La sentenza del Consiglio di Stato n. 3664/2007 comunque sottolinea che le caratteristiche dei lavori socialmente utili non ne consentono la qualificazione come rapporto di impiego, considerato che tale rapporto trae origine da motivi assistenziali. Dall’indagine è dunque emerso un contrasto circa l’utilizzo dei profughi ospitati dalle tre strutture di Massa Carrara. Due sono approcci più elastici, uno più rigido. In tutte le strutture comunque, vengono seguite le procedure previste dal Ministero degli Interni, circa l’inoltro delle richieste di riconoscimento dello status di rifugiato politico.

DIOCESI DI PRATOVaiano, «Adottati» come giardinieridi Giacomo Cocchi

Dalle coste di Misurata ai boschi dell’Appennino pratese. Sidiki, giovane maliano sbarcato questa estate a Lampedusa non avrebbe mai immaginato che qualche mese dopo si sarebbe ritrovato a potare ulivi e a spazzare foglie per conto di un piccolo Comune di montagna. Da un paio di settimane a Vaiano, in provincia di Prato, un piccolo gruppetto di profughi, tutti originari del Mali, stanno partecipando al progetto «formazione integrata sul campo». Grazie a questa iniziativa, quattro dei tredici richiedenti asilo – che dallo scorso giugno sono ospiti della canonica di Sofignano – vengono occupati con semplici mansioni come quelle di giardinaggio e cura degli spazi verdi comunali. L’iniziativa, approvata dalla Giunta vaianese, si inserisce nel buon clima di accoglienza che il paese ha riservato fin da subito a queste persone fuggite dalla guerra in Libia. Così, dotati di scarpe antinfortunistica, guanti e giubbotto catarifrangente questi quattro ragazzoni di colore si sono messi a disposizione per svolgere alcuni lavoretti insieme agli operai comunali.

La parrocchia da una parte, mettendo a disposizione la canonica, la Fondazione Santa Rita dall’altra, che cura l’assistenza quotidiana e adesso il Comune che si sta impegnando in progetti di inserimento sociale attraverso il lavoro, stanno compiendo assieme percorsi pratici di integrazione. «Chiariamo che non si tratta di un lavoro vero e proprio – spiega il sindaco di Vaiano Annalisa Marchi – ma di un tirocinio, una formula leggera che permette a questi ragazzi di impegnarsi in qualcosa di utile».

La collaborazione tra operai e profughi è risultata fin da subito riuscita e proficua, come sottolinea l’assessore al Territorio Cinzia Pulidori: «Diciamo che i nostri operai sono dei veri e propri “tutor”, anzi hanno adottato queste persone che si sono sentite fin da subito valorizzate e coinvolte». Non solo giardinaggio, uno di loro è stato affiancato all’elettricista del Comune ed è stato impegnato in una attività particolare. «Ha montato il nuovo impianto video della sala Giunta – dice il sindaco – ed è stato bravissimo». Naturalmente il progetto, approvato dalla Giunta con delibera, ha una copertura assicurativa in modo da salvaguardare i giovani aiutanti.

Soddisfazione anche per don Carlo Bergamaschi, parroco di Vaiano, che ha sottolineato come «dopo la prima fase, improntata all’accoglienza, adesso siamo al passo successivo, quello del coinvolgimento nella comunità dove sono inseriti. E in un periodo di crisi come questo – ha aggiunto il sacerdote – l’impiego di queste persone a servizio del bene comune testimonia cosa significhi impegnarsi a non essere un peso ma una risorsa».

Per adesso i profughi «lavoratori» sono solo quattro, «quelli più avanti nel percorso di integrazione, che hanno già un po’ di dimestichezza con la lingua – dice Nicoletta Ulivi responsabile Santa Rita dell’accoglienza profughi –, speriamo di poter inserire nel progetto anche gli altri». Vista la buona risposta avuta in queste prime due settimane di lavoro, l’idea è quella di allargare le possibilità di mansione chiedendo anche alla cooperativa Anfora, che a Vaiano cura la spazzatura delle strade, la possibilità di impiegare qualcuno di questi ragazzi nelle loro attività. «Comunque gli altri non sono inattivi – precisa Ulivi – per loro ci sono corsi di italiano, laboratori e attività sportive».

Sul tema dell’accoglienza e sulle sue prospettive interviene il presidente del Santa Rita Roberto Macrì che torna a domandare alle istituzioni nazionali che cosa ne sarà di queste persone. «Sicuramente ci dovremo far carico dei richiedenti asilo per tutto il 2012 – afferma Macrì –, la convenzione è stata prorogata fino a giugno ma penso che arriverà alla fine del prossimo anno. Ma sarebbe opportuno che il Governo pensasse a misure straordinarie per far stare queste persone sul territorio, difficilmente potranno avere lo status di rifugiati, quindi che fine faranno?».

Gli ospiti di Sofignano, Cerreto a Prato e Montemurlo, in tutto una quarantina, ancora non sanno quale sarà il loro destino. Continuano a sperare raccogliendo la documentazione sulla loro situazione e condizione, grazie all’aiuto di un avvocato chiamato dal Santa Rita, da consegnare alla Commissione territoriale che dovrà pronunciarsi sulla loro richiesta di asilo per motivi politici. Intanto in quattro si sono allontanati dai centri accoglienza, due a Sofignano, uno a Cerreto e uno a Montemurlo. «Gli altri – assicura la Ulivi – hanno capito che scappare non serve a nulla, solo a diventare clandestini e quindi invisibili».

(Nella foto di Damiano Fedeli, profughi ospiti di una struttura dell’Opera S. Rita di Prato)

Provincia

Presenti

Usciti

Totale

Arezzo

132

58

190

Firenze

217

52

269

Grosseto

114

13

127

Livorno

120

4

124

Lucca

136

63

199

Massa Carrara

174

61

235

Pisa

162

67

229

Pistoia

67

23

90

Prato

43

18

61

Siena

79

13

92

TOTALE

1.244

372

1.616