Toscana

Psichiatria in Toscana/6: Integrazione sociosanitaria, una scommessa da vincere

Un capitolo a sé. Nel panorama della psichiatria toscana, Firenze è spesso considerata come la «pecora nera» della regione, la realtà dove le risposte sono generalmente inferiori alle attese. È il giudizio che spesso serpeggia, ad esempio, tra molte associazioni dei familiari dei malati, ma che indiscutibilmente è condizionato da una situazione di partenza notevolmente diversa rispetto alle altre aree. Tra le diverse critiche, tengono banco quelle relative alla scarsa integrazione tra aspetti sanitari e sociali, nonché alla stessa organizzazione dei Mom, i «moduli operativi multidisciplinari» che operano sul territorio cittadino – uno per ciascuno dei cinque quartieri – con notevoli margini di autonomia anche se coordinati, per quanto riguarda la salute mentale adulti, dallo psichiatra Sandro Domenichetti.

Della situazione fiorentina abbiamo parlato con Stefania Saccardi, assessore comunale alla sicurezza sociale, e Gemma Brandi, psichiatra responsabile del Mom del Quartiere 4 ma anche degli istituti di pena di Firenze e della struttura residenziale psichiatrica «Le Querce». Due donne in prima linea con idee chiare che cercano per quanto possibile di concretizzare. E, tanto per mettere i puntini sulle «i», cominciano col dichiararsi non tanto d’accordo con i giudizi sul capoluogo. «Noi per esempio – afferma l’assessore Saccardi – abbiamo una quota di immigrazione che non c’è da nessun’altra parte in Toscana, e questo indubbiamente incide. Firenze, continuo a dirlo, è sottofinanziata dalla Regione per tutta una serie di servizi. Ci sono problematicità che non ci sono da altre parti». «Nel carcere di Sollicciano – conferma Gemma Brandi – tanto per fare un altro esempio seguiamo per la salute mentale lo stesso numero di pazienti che segue il Quartiere 3: è come se avessimo diverse decine di migliaia di abitanti in più. Quindi mi meraviglia che Firenze sia sempre sotto accusa, perché tra l’altro, proprio per i rapporti che ho sul fronte degli istituti di pena, so che anche da altre parti certe cose non funzionano». E aggiunge: «Dalle associazioni dei familiari mi aspetterei che facessero più gruppo costruttivo, non solo denunciando le cose che non funzionano, e che certamente non vanno taciute, ma aiutando a estendere quelle che funzionano. Dovrebbero anche essere più rappresentative della realtà, perché temo rappresentino solo parzialmente l’utenza, mantenendosi comunque sempre assolutamente autonome e non inglobate nei Mom».

Altra questione che alla dottoressa Brandi proprio non va giù è l’uso quantomeno disinvolto che spesso si fa dei dati epidemiologici, con raccolte e valutazioni condotte in modo tale da non rappresentare correttamente la realtà. «L’epidemiologia – esclama – dev’essere seria, il che vuol dire non strumentalizzata. Per questo dobbiamo rendere confrontabili i dati. Ad esempio una città come Firenze ha già delle differenze al suo interno, immaginatevi la regione. Quindi per permettere il confronto dobbiamo inserire dei correttivi, e la stessa cosa si dovrebbe fare nel dare le risorse. Non si possono dare pro capite, ad esempio, a una realtà come la nostra che, senza neppure saperlo, secondo alcune proiezioni, ha tra i 30 e i 50 mila abitanti senza fissa dimora appoggiati da qualche parte».

Migliorare i servizi comunque si può, e anche su questo l’assessore e la responsabile del Mom 4 collimano in pieno. L’idea base è anzitutto una sempre maggiore integrazione tra sociale e sanitario. «Un aspetto importantissimo», secondo Stefania Saccardi che sottolinea il gran numero di persone in carico ai servizi sociali che hanno anche problemi di salute mentale e che andrebbero prese in carico in modo complessivo e non settoriale. Eppure le due gestioni sono completamente separate e solo la disponibilità dei responsabili, quando esiste, permette di integrarle con una fatica di cui si potrebbe fare tranquillamente a meno. «C’è un deficit nella capacità di organizzazione dei servizi – spiega Stefania Saccardi – e là dove funzionano, lo fanno perché ci sono persone di buona volontà che hanno la capacità di mettersi a un tavolino e ragionare, sennò non si combina nulla». La soluzione ci sarebbe già e si chiama Società della salute, ma com’è risaputo si tratta di uno strumento di gestione rimasto di fatto sulla carta. «Uno dei motivi per cui non decolla – afferma l’assessore – è che si continua a pensare in termini di bilancio sanitario da una parte e bilancio sociale dall’altra, per cui solo con la buona volontà, come dicevo, si può provare a fare un percorso comune, ma sotto i vertici ci sono poi le strutture amministrative che non sempre è facile governare in quest’ottica».

Sul fronte dell’integrazione socio-sanitaria, comunque, un progetto c’è e si sta cercando di realizzarlo: un centro unico cittadino di «triage» del bisogno (perché spesso molte persone che si rivolgono ai servizi hanno in realtà esigenze facilmente risolvibili anche a livello di volontariato), con sportelli sia sociali che sanitari utili a qualsiasi tipo di esigenza, e sedi territoriali condivise con l’Asl, ovvero un paio di centri sociali integrati per quartiere. «Un’operazione – sottolinea ancora Stefania Saccardi – che trasforma le difficoltà economiche del momento in opportunità per dare risposte più efficaci». E conclude: «Vogliamo riorganizzare così i servizi sociali ma sul sanitario, anche per quanto riguarda la Regione, si fa fatica a vedere il governo della situazione. E invece occorrono scelte di sistema, magari poche ma concrete e definite, perché altrimenti anche il Piano socio-sanitario integrato finisce per restare un libro dei sogni».

«Per me – ribatte Gemma Brandi – l’integrazione sociosanitaria è un fatto, non una parola, e cerco di attuarla costantemente, per esempio per quanto riguarda l’inserimento lavorativo, che deve essere portato avanti con la dovuta attenzione e competenza, seguendo le persone in un percorso, anche per non far sorgere aspettative non commisurate alle loro possibilità». E lancia, per finire, la sua idea di riforma dell’organizzazione sociosanitaria fiorentina: «Ci potrebbero essere in città, a livello territoriale, tre strutture da Società della salute, in cui tutto il sociosanitario potrebbe stare insieme, compresa la salute mentale. Un luogo di riferimento certo e immediato non solo per gli utenti ma anche per gli stessi medici di famiglia. Una “territorializzazione” efficace che, a conti fatti, diminuirebbe anche la stessa ospedalizzazione, non solo psichiatrica. Se certe cose ancora non si fanno, penso fermamente che non sia perché mancano i soldi, ma perché non viene dato lo strumento adatto per renderle fattibili, che invece potrebbe esserci, anzi, c’è già».

Se con gli psichiatri c’è anche il filosofoMom, ovvero «Modulo operativo multiprofessionale». Una terminologia forse un po’ ostica per definire le unità funzionali della salute mentale, ma che intende sottolineare l’importanza dell’apporto di più figure, non solo mediche, nell’approccio al disagio psichico. Quanto poi questa multiprofessionalità costituisca davvero il modus operandi nei diversi centri, a Firenze come altrove, è tutto da verificare. Ma per Gemma Brandi è un valore indiscutibile. «Sul fronte multiprofessionalità – afferma – ci sono senza dubbio diversità tra i vari Mom. Noi l’abbiamo perseguita con grande vantaggio. Certo, manteniamo sempre una distinzione di ruoli, ma quando ci troviamo assieme l’idea risolutiva può venire da ciascuno. L’apporto dell’antropologia, per esempio, si è rivelato utilissimo in casi in cui abbiamo avuto a che fare con immigrati, che hanno valori e costumi, anche per quanto riguarda la famiglia, ben diversi dai nostri e che dobbiamo necessariamente conoscere. Ma davvero sorprendente si è rivelato l’apporto di un filofoso, propostoci attraverso un progetto finanziato dalla Regione e attuato proprio nel nostro quartiere, terminato da qualche mese ma che mi auguro ci venga rinnovato. Non nascondo che all’inizio c’era scetticismo, anche reciproco, e invece questa figura, dopo essere stata inserita nelle nostre riunioni operative, si è relazionata positivamente con utenti molto chiusi, riuscendo a farli parlare e ad aprirsi verso gli altri, ma si è anche rivelata molto utile per gli stessi familiari».

Alla responsabile per il Quartiere 4 preme poi particolarmente tutto il fronte delle terapie di sostegno. «Nell’ottica di un’attenzione complessiva alla persona –  – precisa – dovremmo sviluppare in particolare quelle nei confronti del corpo, su cui a livello farmacologico spesso agiamo pesantemente. Ci sono medicine alternative note come l’osteopatia o l’agopuntura e terapie nuove che è utile conoscere e che, pur non essendo mutuabili, potrebbero aprire prospettive non sostituive, ma integrative, importanti. Su questo intendo organizzare un convegno, con la mattina dedicata alle grandi famiglie farmacologiche – antidepressivi, ansiolitici e antipsicotici – e il pomeriggio a queste terapie di sostegno, con relatori esperti che ci permettano di saperne di più».

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