Toscana

Quel pasticciaccio brutto della piana di Castello

di Franco Cardini

Siamo di nuovo, nella nostra Firenze, a una vigilia elettorale che non si annunzia facile; e sulla città, già sconvolta dalle eterne ed eternamente contestate questioni della «direttissima» ferroviaria e della tramvia, si abbatte adesso il ciclone dello «scandalo Fondiaria-Sai». Uno scandalo – che non è il primo e, temiamo, non sarà l’ultimo – di cui avremmo fatto volentieri a meno, ma che c’è da chiedersi quanto fosse evitabile. Di queste cose si parlava da troppo tempo: al punto che la domanda che sorge quasi spontanea è, semmai, come mai la bomba sia scoppiata così tardi. E non è domanda alla quale è poi purtroppo così difficile fornire una prima risposta: il groviglio d’interessi che sta emergendo è talmente vasto e complesso, coinvolgendo interessi finanziari e imprenditoriali cospicui e facendo affiorare complicità politiche trasversali, da indurre a ipotizzare che molte remore e molti intralci abbiano ritardato e sviato, finora, indagini che a quel che pare si erano messe già in moto da tempo.

Il che conduce a due prime considerazioni, doverose in un organo di stampa come questo che voglia essere rispettoso dei propri doveri civici e delle proprie responsabilità morali: perchè noi non siamo solo cittadini. Siamo cittadini cattolici. Il che vuol dire  che il nostro giudizio non solo non dev’essere fazioso, ma non può nemmeno mancare di carità. Piano, dunque, con i sospetti. Pianissimo con le accuse. E doverosa attenzione soprattutto a due ordini di  fatti, che rischiano d’essere sospinti in secondo piano dalla ridda d’accuse, di sospetti e di recriminazioni che si sta scatenando: primo, la corresponsabilità, sia pure a differente livello, di estesi e profondi settori della società civile fiorentina; secondo, il ruolo sempre più evidente di sia pur arrogante e strapagata subordinazione della classe politica rispetto agli interessi affaristici e imprenditoriali.

Un secolo e mezzo fa, il vecchio Karl Marx sosteneva che i governi del suo tempo stavano progressivamente perdendo autorevolezza e potere effettivo per trasformarsi in «comitati d’affari». Al suo tempo, non era poi così vero: tanto per fare solo due esempi, né l’imperatore Francesco Giuseppe, né la regina Vittoria erano capi di «comitati d’affari» (un discorso diverso meriterebbe forse Napoleone III). Potevano bensì esserne coinvolti, il che in un certo senso ed entro certi limiti è inevitabile quando si fa politica. Ma non persero mai né autonomia gestionale, né – quel che più conta – senso del primato del bene pubblico in rapporto agli interessi personali o di gruppo o di casta o di famiglia. Ma, da allora, le cose sono andate molto cambiando. E non in meglio. E lo sviluppo in senso pericolosamente oligarchico della classe politica e dei suoi metodi di reclutamento e di ricambio nelle cosiddette «democrazie avanzate» fa temere un deterioramento ulteriore e progressivo (basti pensare all’attuale parlamento, che in forza della legge elettorale vigente non è costituito tanto di eletti, quanto piuttosto di designati dalle singole segreterie dei partiti legittimati poco più che formalmente dal voto popolare, con l’astensione-record del 20% alle ultime elezioni politiche).

Lo spadroneggiare delle lobbies affaristiche, il loro rapporto egemonico rispetto alla classe politica e il crescente senso di disinformazione, di disinteresse e di alienazione dell’opinione pubblica rispetto alla nostra vita pubblica appaiono i connotati davvero allarmanti di quello che, parafrasando il grande Gadda, potremmo definire il «pasticciaccio bbrutto della piana di Castello». Un pasticciaccio alla fiorentina, in cui  alla fine non si riesce mai a capire dove termina la faziosità e cominciano invece omertà e complicità.

Siamo a una nuova vigilia elettorale. Attenzione quindi a speculazioni e a strumentalizzazioni.  Colpevole la «sinistra di governo», che spadroneggia praticamente incontrastata da anni? Ma in un sistema democratico o sedicente tale, le maggioranze possono spadroneggiare solo in un contesto di latenza o  di  inadeguatezza (se non di complicità) delle opposizioni, evidentemente in altre faccende affaccendate; oppure occupatissime a difendere la loro fettina di corresponsabilità nelle scelte di governo, con relativi tornaconti. Un centrodestra che negli ultimi anni non è riuscito nemmeno ad esprimere un candidato sindaco  che fosse credibile, e che oggi rischia di ripresentarsi all’opinione pubblica nelle medesime condizioni, è quanto meno sospettabile di connivenza se la sua azione di sorveglianza e controllo (tale il ruolo dell’opposizione) non è stata finora non solo incisiva, ma nemmeno visibile. E allora, magistratura e indagini a parte, basterebbe un po’ d’attenzione (magari con «Il Sole – 24 Ore» sottomano) ai nomi delle imprese e degli uomini d’affari egemonici nelle questioni fiorentine e alle rispettive referenze e «amicizie» politiche per rendersi conto che la latitanza dell’opposizione non è né imprevedibile, né casuale.

Del resto, i fatti parlano da soli. Il «progetto Fondiaria», che interessava tutta l’area del nord-ovest della nostra periferia (la «Nuova Firenze») nacque quasi trent’anni fa, in significativa coincidenza con la deindustralizzazione della città e pertanto delle permute edilizie maturate sulla base dello sgombero, da parte della Fiat, dell’area di Novoli. Inutile chiedersi se questo fu un bene o un male: la riduzione dell’economia fiorentina al terziario è un dato di fatto: se sia stata o meno gestita al meglio, è un altro discorso; se la nuova urbanizzazione che ha prodotto mostriciattoli come il polo universitario di Novoli o mostracci come il nuovo palazzo di giustizia avrebbe potuto esser condotta in modo economicamente meno dispendioso ed esteticamente più bello, un altro discorso ancora. Del resto, il discorso sarebbe lungo. Quell’area è la medesima dell’inutile, pericoloso e costoso aeroporto di Firenze, al posto del quale sarebbe stato di gran lunga più opportuno potenziare quello di Pisa con gli opportuni raccordi soprattutto ferroviari, per il bene di tutta la regione toscana. Ma voialtri Stenterelli avete preferito il miserabile gesto d’orgoglio municipale, «l’aeroporto cittadino», a una scelta razionale e responsabile. E allora tenetevi quell’ingombrante oggetto, in attesa di essere costretti a rinunziarvi.

È necessario dire queste cose, anziché di scatenare la solita «caccia al responsabile», che regolarmente finisce con il linciaggio (quanto meno politico)  di qualche pesce piccolo mentre lascia regolarmente in libertà i lucci e gli squali. Ma davvero vi basta che l’assessore Cioni sia dato in pasto all’opinione pubblica perché – secondo le ipotesi dell’inchiesta – «il figlio è dipendente della Fondiaria-Sai»?  Davvero non vi dice nulla il fatto che due assessori della sinistra di governo (tra cui un «leader storico» di quel che ormai resta della ex temibile e ora patetica «sinistra radicale») possano venir coinvolti in un’indagine la cui vera personalità di  spicco è l’imprenditore «neomilanese» Salvatore Ligresti? E davvero, se siete più o meno simpatizzanti (o quanto meno se non siate decisamente antipatizzanti) della giunta di governo cittadina vi accontentate dei soliti salamelecchi  politici, del solito ipocrita e stucchevole  dichiarar «piena fiducia nell’autonomo operare della Magistratura» e al tempo stesso non meno piena solidarietà nei confronti degli inquisiti? I quali, sia chiaro, hanno diritto a tutto il nostro rispetto: un cittadino, finché non sia provata la sua colpevolezza, è innocente. Ma, al di là delle frasi fatte e ispirate al politically correct, almeno una domanda rimane. Perché si è ormai così  platealmente e irreversibilmente rinunziato alle buone usanze del tempo che fu? 

Fino ad alcuni lustri or sono si riteneva segno di buona salute per la democrazia il fatto che, non appena un politico venisse sospettato di qualcosa se non addirittura coinvolto in un’indagine della Magistratura, egli dovesse immediatamente e naturalmente tirarsi da parte finché «non si fosse fatta piena luce» sui sospetti che lo coinvolgevano. Era anzitutto l’opinione pubblica dei singoli partiti cui  i personaggi coinvolti appartenevano a esigerlo. Ed era una misura assunta a tutela di tutti, ma nel pieno rispetto anzitutto degli stessi interessati. perchè oggi – e ormai da anni – nessuno sente più questo bisogno? Che razza di sistema politico è questo, nel quale i «soliti noti» da un lato vengono anche fin troppo sovente accusati di tutto e di più, e al tempo stesso restano sempre sulla cresta dell’onda? Com’è che l’opinione pubblica non dico non si vergogna, ma nemmeno dà mostra di preoccuparsi  della sua memoria corta?

È ovvio che alla base del «pasticciaccio della piana di Castello» vi sia un groviglio d’interessi politici ed economici. Già da quando, alla «Fondiaria», la vecchia gestione cittadina guidata da Castelnuovo Tedesco passò il testimone a Ligresti, era chiaro che ci si stava avviando a una progressiva deregulation, con tutte le conseguenze sul piano dell’affarismo sempre più spregiudicato: è già molto, sul piano del pubblico interesse,  se il progetto riguardante l’area di nord-ovest è comunque restato nel Piano Regolatore Generale. Questo è, se non altro, uno strumento che resta in mano ai cittadini: per quanto lo stato dell’attuale «democrazia rappresentativa» in realtà ne vanifichi il controllo. In un mondo in cui classe politica e mezzi di comunicazione, anziché della società civile, sono al servizio delle lobbies, c’è poco da sperare. E non si vedono all’orizzonte, almeno nei tempi brevi, prospettive di mutamento effettivo.

LA SCHEDA

L’inchiesta. L’indagine che ha sconvolto il mondo politico fiorentino è coordinata dal Procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi. Tra gli indagati figurano gli assessori del Comune di Firenze Gianni Biagi (che si è dimesso) e Graziano Cioni, oltre al presidente onorario di Fondiaria-Sai Salvatore Ligresti. Al centro dell’inchiesta giudiziaria l’area di Castello, una vasta zona tra l’aeroporto di Peretola, l’autostrada e la periferia nord-ovest della città, interamente di proprietà di Fondiaria. Nell’ordinanza con cui la magistratura ha posto sotto sequestro circa 170 ettari di terreno edificabile all’interno dell’area, viene evidenziato il rischio che «l’intervento edilizio-urbanistico di Castello possa realizzarsi in maniera del tutto difforme da quello pubblicamente rappresentato». L’indagine ha scosso anche il mondo giornalistico: il direttore della Nazione, Francesco Carrassi, si è dimesso dopo che sono state rese note alcune sue telefonate con esponenti del gruppo Fondiaria.

La storia. Il progetto Fondiaria è nato nel 1980, quando la giunta del sindaco Elio Gabbuggiani iniziò a studiare l’ipotesi di una espansione di Firenze a nord ovest. Fondiaria, storica società assicuratrice fiorentina (allora in mano ad un gruppo di finanzieri e imprenditori fiorentini) acquistò tutti i terreni che erano contigui alle aree già di sua proprietà. Nel 1989 fu una famosa telefonata di Achille Occhetto, allora segretario del Pci, a bloccare il via libera che la giunta guidata da Massimo Bogianckino si apprestava a dare al progetto. Nel 1990, con la nuova giunta di pentapartito, il progetto fu inserito nel nuovo Piano Regolatore; nel 2000 vengono firmate le prime convenzioni. Nel 2002 Fondiaria viene acquisita dal Gruppo Ligresti. L’ultimo accordo fra il Comune e Fondiaria venne firmato nell’aprile 2005: con questo atto la proprietà aveva ceduto gratuitamente al Comune 101 ettari (di cui 80 per un parco pubblico).

Il progetto. Il progetto prevede la realizzazione di un grande parco, uffici pubblici e privati (fra i quali le sedi di Regione e Provincia e un nuovo polo scolastico), abitazioni, negozi, alberghi e la nuova scuola Carabinieri (di cui è già iniziata la costruzione). Lo scorso 19 settembre, Diego e Andrea Della Valle hanno presentato un progetto per il nuovo stadio: il 30 settembre l’Amministrazione comunale ha votato un emendamento al Piano strutturale che prevede la possibilità di realizzare un nuovo impianto sportivo proprio nell’area di Castello. Lunedì scorso, in una burrascosa seduta, il Consiglio Comunale ha approvato (con i voti della sinistra e del Pdl) un ordine del giorno che chiede il blocco del Piano strutturale e il ritiro dell’emendamento.

Riccardo Bigi