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RWANDA, PAUL KAGAME NUOVO PRESIDENTE. DUBBI SUL VOTO

Tutto come da copione: Paul Kagame ha vinto le presidenziali del Rwanda con percentuali plebiscitarie. La conferma ufficiale della Commissione elettorale nazionale (Cen) è arrivata ieri in serata insieme all’impressionante dato del 95,05 per cento delle preferenze che ha raccolto in un appuntamento a cui hanno partecipato praticamente tutti (l’affluenza ha sfiorato il 97 per cento) i 3,9 milioni di aventi diritto al voto. “È una vittoria di tutti i ruandesi, anche di quelli che non ci hanno votato, e segna un passo avanti nel nostro cammino verso la democrazia” aveva detto Kagame lunedì sera alla chiusura delle urne.

Una vittoria schiacciante che premia sicuramente la capacità del presidente ruandese di garantire la sicurezza nel Paese, allontanando gli spettri del genocidio del 1994. Un successo annunciato che però non ha mancato di sollevare numerose critiche. Le prime e le più dure sono state quelle del suo principale avversario: l’ex primo ministro Faustin Twagiramungu, rientrato da un lungo esilio europeo per cercare di rendere la rielezione di Kagame più difficile, pur racimolando alla fine un esiguo 3,62 per cento delle preferenze. Twagiramungu, ha respinto “categoricamente” i risultati, annunciando di voler ricorrere alla Corte Suprema e chiedendo di organizzare nuove elezioni “libere e trasparenti”.

“Altro che voto libero” ha dichiarato ieri alla MISNA il leader dell’opposizione ruandese, precisando che “con queste elezioni presidenziali siamo tornati al sistema unico in stile stalinista: la gente in Rwanda è stata obbligata a esprimere la preferenza per (il presidente uscente) Paul Kagame. Sono accusato da un regime di stampo nordcoreano, che ora cercherà di arrestarmi. Ma la battaglia prosegue, mi prendo tutti i rischi, compreso quello di essere assassinato”. Anche l’altro candidato alla poltrona presidenziale, Jean Nepomuscene Nayinzira, che ha raccolto l’1,1 per cento dei voti, ha dichiarato che non si è trattato di elezioni corrette. Ma a quelle dei diretti interessati si sono unite altre critiche, con un differente peso politico.

Il dipartimento di Stato Usa, che già alla vigilia delle elezioni aveva ammonito Kagame di garantire una consultazione libera e corrette, si è detto “preoccupato per le continue informazioni riguardo alle intimidazioni e alle incarcerazioni subite dai candidati dell’opposizione e dai loro sostenitori”, come si legge in una nota firmata dal portavoce aggiunto del ministero degli esteri americano Philip Reeker. Cambiano i toni ma non i contenuti nel comunicato diffuso ieri dal governo del Belgio, ex potenza coloniale, che dopo essersi congratulato con Kagame per la sua vittoria ha sottolineato che “le condizioni ottimali per lo svolgimento di elezioni libere non sono state pienamente raggiunte”.

Soddisfazione è stata espressa invece dal responsabile della politica estera dell’Unione Europea, Javier Solana, che si è “felicitato” della rielezione di Kagame, sottolineando i “ragguardevoli progressi compiuti per ricostruire e riunificare il Paese dopo il genocidio del 1994”.

Positiva anche la reazione di molti Paesi africani. L’Uganda si è congratulata “con la popolazione ruandese e con la sua dirigenza per aver portato a termine queste elezioni”, un segnale questo, ha detto un portavoce del governo di Kampala, “che la democrazia sta mettendo le proprie radici nella regione”, anche se “il Rwanda soffre ancora della divisione etnica tra hutu e tutsi”. Congratulazioni per Kagame sono arrivate anche da parte del presidente del Kenya Mwai Kibaki, il quale ha sottolineato che “il buon esito delle elezioni ruandesi è una tappa importante nella storia del Paese delle mille colline e del continente intero”. Felicitazioni infine sono arrivate anche dal principale partito ‘hutu’ del confinante Burundi, il Frodebu (Fronte per la democrazia in Burundi). “La vittoria del presidente Kagame potrebbe servire d’esempio per il nostro Paese” ha dichiarato alla stampa il presidente del Frodebu, Jean Minani. Di pare diverso un autorevole esponente della società civile ruandese del quale la MISNA mantiene l’anonimato: “Dal ’94 ad oggi Kagame è stato un capo militare a tutti gli effetti”, ha detto e “d’ora innanzi, se vorrà guadagnarsi le stellette della democrazia dovrà essere un politico capace di persuadere senza quell’esercito e quella polizia che vietano ogni forma di dissidenza. Votare contro Kagame, lunedì, sarebbe stato troppo pericoloso per le libere coscienze. La trovata di essere costretti ad apporre la propria impronta digitale sulla scheda elettorale, in flagrante violazione del principio di segretezza, la dice lunga! E questo il signor Solana, responsabile della politica estera dell’Unione europea, dovrebbe saperlo anche se poi fa finta che tutto sia andato liscio.” Misna