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SUDAN, DARFUR: IN 18 MESI 180 MILA MORTI; AUMENTANO PRESSIONI CONTRO KHARTOUM

La crisi politica, militare e umanitaria in corso da oltre due anni nella regione occidentale sudanese del Darfur è stata al centro dell’apertura della riunione annuale della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite. L’Alto commissario Onu per i diritti umani, Louis Arbour, ha chiesto a tutti i vertici politici internazionali e alle organizzazioni di essere meno selettivi nel decidere quali diritti difendere e quale no. “Il nostro approccio alla diplomazia dei diritti umani resta insoddisfacente – ha detto Louis Arbour – è troppo sporadico e selettivo”. Proprio il Darfur, secondo Arbour, è uno degli esempi più lampanti, visto che “violazioni di massa dei diritti umani” proseguono da due anni sostanzialmente indisturbati.

Quasi contemporaneamente, l’agenzia di stampa francese ‘Afp’, ha riportato una stima attribuita a Jan Egeland, il responsabile delle operazioni umanitarie delle Nazioni Unite, secondo cui solo negli ultimi 18 mesi in Darfur sarebbero morte, per cause riconducibili alla guerra tra ribelli e governo, oltre 180.000 persone. Dichiarazioni che hanno mandato su tutte le furie il governo sudanese, che ha respinto le pressioni internazionali legate al Darfur. “Pressioni smisurate, sbilanciate e ingiuste e i segnali mandati dalla comunità internazionale hanno esacerbato una situazione già delicata come quella del Darfur” ha detto il ministro della giustizia sudanese, Ali Yassine, ai 53 delegati presenti alla 61esima riunione plenaria della Commissione per i diritti umani.

Il rappresentante di Khartoum ha poi sostenuto che proprio queste pressioni rischiano di intralciare il dialogo coi ribelli sponsorizzato dall’Unione Africana. Negoziati sospesi il dicembre scorso e da allora mai ripresi, nonostante i molti tentativi di riallacciare il dialogo in corso da mesi. “Nessuna delle due parti ha dimostrato di essere davvero coinvolta in colloqui seri e in buona fede, l’unica soluzione necessaria per riavviare un processo che è chiaramente in stallo” ha detto venerdì scorso il Segretario Generale dell’Onu, Kofi Annan, di fronte al Consiglio di Sicurezza.

E proprio il massimo organo decisionale del Palazzo di Vetro potrebbe mettere ai voti entro la fine di questa settimana la nuova bozza di risoluzione sul Sudan presentata nelle scorse settimana dagli Stati Uniti. Il documento prevede l’invio di 10.000 caschi blu in Sudan, ma non in Darfur, bensì nel Sud dove si è recentemente conclusa una guerra ventennale. Compito di questa missione dovrebbe essere proprio quello di sostenere la pace raggiunta tra il governo centrale e gli indipendentisti meridionali e sancita con l’accordo definitivo siglato ai primi di gennaio. Ma nella bozza presentata dagli Stati Uniti nelle scorse settimane si prevede anche la possibilità – previa autorizzazione di Annan – di consentire ai peacekeeper dispiegati nel Sud di collaborare con la missione dell’Unione Africana (Ua) già presente in Darfur.

Sempre riguardo al Darfur, la bozza di risoluzione prevede che l’embargo sulle armi, già deciso nei confronti dei due gruppi ribelli (Jem e Sla) e delle milizie arabe filogovernative (Janjaweed), venga esteso anche nei confronti dell’esecutivo di Khartoum. La risoluzione non contiene invece nessun accenno alla possibilità di giudicare di fronte alla Corte penale internazionale (Cpi) i responsabili di crimini contro l’umanità e crimini di guerra individuati dalla speciale commissione d’inchiesta Onu guidata dal giurista italiano Antonio Cassese. Proprio sul ricorso alla Cpi e la possibilità di nuove sanzioni si è spaccato il Consiglio di Sicurezza. Alcuni (Stati Uniti) non volendo legittimare la Corte internazionale al cui lavoro si oppongono da tempo continuano a rifiutare un tribunale internazionale, preferendo invece una Corte ‘ad hoc’ per il Sudan ad Arusha in Tanzania, altri invece non accettano la possibilità di sanzioni, né vedono di buon occhio l’intervento di una forza di pace che non sia africana.

Cominciata nel febbraio del 2003 – quando due gruppi di autodifesa popolare si sollevarono formalmente in armi contro il governo di Khartoum accusato di trascurare la regione e di appoggiare milizie di predoni arabi (Janjaweed) che da anni sconvolgono la zona nel tentativo di appropriarsi di terre e pascoli – la crisi del Darfur ha provocato finora un numero imprecisato di vittime (alcune decine di migliaia per le Nazioni Unite, ‘solo’ 5.000 secondo il governo sudanese) e circa due milioni di sfollati, inclusi 200.000 profughi nel confinante Ciad.Misna