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SUDAN, RISOLUZIONE ONU SU DARFUR: KHARTOUM ACCETTA MA LA DEFINISCE «INGIUSTA»

Il Consiglio dei ministri del Sudan, in una seduta straordinaria presieduta dal vicepresidente Ali Osman Taha, ha dichiarato ieri di accettare la risoluzione n. 1564 adottata sabato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu sul Darfur pur ritenendola “ingiusta”. Nel documento, approvato da 11 dei 15 Paesi che compongono il Consiglio, vengono minacciate “misure aggiuntive, tra cui sanzioni” (economiche, logistiche e diplomatiche previste dall’articolo 41 della Carta dell’Onu) ai danni del governo di Khartoum “o di suoi singoli esponenti” oltre che nel settore petrolifero. Si sono astenuti Cina, Russia, Pakistan e Algeria.

Ecco i punti essenziali della risoluzione:

– Il Consiglio di Sicurezza dichiara la sua grave preoccupazione perchè il governo del Sudan non ha completamente assolto gli obblighi previsti dalla risoluzione n.1556 del 30 luglio scorso per migliorare condizioni di vita e sicurezza della popolazione civile del Darfur, in particolare l’apertura di corridoi umanitari per assistenza ai civili e il disarmo delle milizia ‘Janjaweed’ accusate di violenze contro la popolazione nera;

– deplora le recenti violazioni del cessate-il-fuoco da entrambe le parti;

– accoglie e sostiene il progetto dell’Unione Africana (Ua) di accrescere ed aumentare la sua missione di monitoraggio in Darfur;

– fa appello al governo del Sudan e ai due principali gruppi ribelli (‘Movimento giustizia e pace’, Jem, ed Esercito-Movimento di liberazione del Sudan, Sla-m) di cooperare insieme sotto gli auspici dell’Ua per raggiungere una soluzione politica nei negoziati di Abuja (che nel frattempo sono stati sospesi);

– ribadisce la sua richiesta al governo di Khartoum di “porre fine a un clima di impunità in Darfur, identificando e portando davanti alla giustizia tutti i responsabili, compresi i membri delle forze popolari di difesa e delle milizie ‘Janjaweed’, per i diffusi abusi dei diritti umani e violazioni della legge umanitaria internazionale;

– chiede che il governo sudanese invii all’Ua per una verifica la documentazione, in particolare i nomi dei Janjaweed che sono stati disarmati e arrestati per violazioni dei diritti umani;

– chiede che il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, stabilisca in tempi rapidi una commissione di inchiesta internazionale per indagare immediatamente sui rapporti relativi a violazioni dei diritti umani in Darfur commessi da qualunque parte e di determinare se sono avvenuti atti di “genocidio” nella regione;

– fa appello infine ai donatori affinchè garantiscano con urgenza generosi e sostanziali contributi agli “sforzi umanitari” in atto in Darfur.

Il sottosegretario agli Esteri sudanese, Mutrif Sideeq, parlando all’emittente statale ‘Radio Omdurman’, ha detto ieri: “Riteniamo che la risoluzione sia difettosa e che mandi un messaggio sbagliato ai ribelli”; secondo altre fonti, le autorità di Khartoum hanno definito la presa di posizione dell’Onu “ingiusta”. Di tono opposto la reazione della Germania, che ha accolto con soddisfazione il testo del Consiglio di sicurezza, affermando per bocca del ministro degli Esteri Joschka Fischer che “nonostante qualche progresso registrato nelle ultime settimane, il governo di Khartoum va sollecitato ancora al rispetto degli impegni assunti”.

Durante la discussione di sabato al Palazzo di vetro, sono emerse posizioni discordanti nei confronti del governo del presidente sudanese Omar el Beshir.

Munir Akram, rappresentante del Pakistan in Consiglio di sicurezza, ha motivato l’astensione del suo Paese sulla risoluzione perchè il documento non riconoscerebbe “i progressi raggiunti” da Khartoum, riconosciuti anche nel rapporto del 15 settembre di Kofi Annan e del suo rappresentante speciale in Darfur. La Cina – che aveva minacciato il ricorso al diritto di veto e che ha forti interessi petroliferi in Sudan – ha apprezzato gli “enormi e inestimabili sforzi compiuti dall’Unione Africana nel tentativo di trovare una soluzione duratura alla crisi”, invitando la comunità internazionale a sostenere gli sforzi dell’organismo panafricano. Il pieno sostegno all’Ua emerge chiaramente dalla risoluzione e ne costituisce, forse, uno dei passaggio politici più importanti anche per il futuro del continente e per la gestione di altri conflitti africani. Anche l’Algeria si è dichiarata contraria alla minaccia di sanzioni decisa dalla maggioranza del Consiglio, aggiungendo che si sarebbe aspettata un riconoscimento degli progressi compiuti da Khartoum.

Di diverso, avviso, invece, gli undici Paesi che hanno votato il documento: il delegato francese ha ammesso che il rapporto di Annan e del suo inviato prende atto dei progressi, ma ha ribadito che “la comunità internazionale sta aspettando il disarmo dei miliziani Janjaweed e la punizione di chi ha violato i diritti umani”, mentre il britannico Emyr Jones Parry ha detto che “solo una soluzione politica può portare una pace sostenibile in Sudan”. Il rappresentante del Sudan all’Onu, Elfaith Mohamed Ahmed Erwa, ha detto che “il mondo intero ha rivolto il suo sguardo al Consiglio di sicurezza per vedere se sarebbe stato usato per motivi politici” e che la risoluzione “scoraggia la gente del Darfur invece di incoraggiarla a mantenere la collaborazione” con il governo di Khartoum. Erwa ha detto che la fretta e le pressioni esercitate per varare la risoluzione hanno contribuito allo stallo del negoziato di Abuja ed erano finalizzate solo a compiacere il Congresso Americano, che si ritiene “l’unica coscienza del mondo”. (a cura di Emiliano Bos) Misna