Toscana

San Francesco: card. Betori, “pronti a condividere la Croce di Cristo nelle sofferenze dei più poveri ed emarginati”

Di seguito l’omelia pronunciata questa sera dal cardinale Betori nella Basilica di Santa Croce a Firenze

Proponendo la figura del sacerdote Simone che ricostruisce il Tempio, la liturgia ci introduce alla testimonianza di san Francesco come colui che il Crocifisso, parlandogli a san Damiano, chiama a operare per la riforma della Chiesa in un momento di grande crisi della cristianità. Anche oggi abbiamo bisogno di porre mano al rinnovamento di una Chiesa, che deve far risplendere il Vangelo con maggiore evidenza e credibilità davanti al mondo. È un impegno particolarmente urgente in una società che soffre la presenza della Chiesa come un richiamo troppo stringente alla verità sull’uomo e sul mondo e perciò la giudica un ostacolo ai suoi progetti di autodeterminazione senza limiti. Ma questo servizio alla verità richiede fermezza del pensiero e capacità di dialogo con le culture all’intorno. Questo il Papa chiede alla Chiesa italiana proponendo un Cammino sinodale, un dialogo fraterno nell’ascolto dello Spirito che parla attraverso la parola di Dio e le vicende del mondo. Da questo Cammino si attende un rinnovamento della Chiesa nella sua missione di testimonianza del Vangelo. Si tratta di un rinnovamento della Chiesa che non può essere affidato a un impegno puramente etico. San Francesco ha molto da insegnarci: dall’incontro con il Crocifisso trae il motivo per cui, come scrive il primo biografo, egli “smise di adorare se stesso”. Incentrare la propria esistenza in Cristo, unica verità, è il segreto del rinnovamento della Chiesa che san Francesco ci indica con la sua conversione e la sua vita. Francesco ha accolto fino in fondo l’invito di Gesù: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. La sua vita si è trasformata a immagine del suo Signore. Anzitutto nel farsi piccolo come richiede il vangelo. Francesco chiederà ai suoi di farsi così, piccoli, minori. Piccoli e minori, tutto il contrario delle pretese dell’uomo di oggi, che si vuole uscito dalla minorità, adulto, autonomo, autosufficiente, guidato dal principio di autodeterminazione.

Ma ben conosciamo come questa pretesa di libertà svincolata da ogni relazione e responsabilità ha condotto agli abissi di frantumazione sociale, fino alle contraddizioni di uno sviluppo che si tramuta in crisi economica e di frustrazione personale, fino all’angoscia. La pandemia ci ha mostrato che la soluzione dei problemi umani non è la libertà svincolata ma la condivisione responsabile. L’esperienza della pandemia dovrebbe indurci a rivedere la categoria magica a cui si affida tanta cultura contemporanea, e che ispira anche proposte legislative preoccupanti, cioè la rivendicazione di un’autodeterminazione assoluta, che ritiene che la libertà possa esercitarsi a prescindere dalla relazione e dimenticando la responsabilità. Nel contesto della pandemia è emerso che la scelta dell’individuo deve confrontarsi con la responsabilità sociale se non vuole nuocere a sé e agli altri. E se vale per un vaccino, dovrebbe valere anche per l’omicidio del consenziente, con cui si sfugge al farsi carico della sua sofferenza, o per la liberalizzazione di una sostanza in grado di recare danno alla consapevolezza di sé e al controllo delle proprie azioni!

Essere piccolo e minore assimila alla condizione di Gesù, il primo piccolo e minore, lui che si presenta come “mite e umile di cuore”. Essere con Gesù e come Gesù, diventare “un altro Gesù”, come la tradizione cristiana riconosce in san Francesco, porta a entrare nel mistero stesso di Dio, nel legame di conoscenza e di amore che unisce il Figlio e il Padre. Ma l’assimilazione a Cristo ha una sua logica interna, che ha come traguardola croce. Comunionea Cristo nel dolore, che è anche partecipazione al dolore dell’umanità tutta, ma al tempo stesso atto di rigenerazione, di vita nuova da condividere e donare agli altri. Di questo sono espressione le stigmate di Francesco. Di questo è testimone la forma evangelica di vita che è stata la caratteristica del movimento francescano e la sua radice perenne. Di questa testimonianza ha bisogno il nostro Paese che riconosce in Francesco il suo patrono. Una società di piccoli che nulla hanno da difendere, ma tutto da offrire, per una vita davvero fraterna e riconciliata, pronta a condividere la Croce di Cristo nelle sofferenze dei più poveri ed emarginati.

Giuseppe card. Betori