Toscana

Sanità/3: Offrire un domani ai malati

DI ANDREA FAGIOLILa sa quella del vecchietto messo a dieta per colpa del colesterolo e della pressione alta? “Questo no, quest’altro no”, gli dice il dottore. E il vecchietto: “Non vedo perché debba campare da malato per morire sano”. Oppure quella del solito vecchietto che si lamenta per i dolori ad una gamba e il medico che gli dice: “Cosa ci vuol fare nonno, quella gamba ha ormai ottant’anni?”. “Sì – risponde il vecchietto – ma anche quest’altra c’ha ottant’anni e non mi fa male”». Si affida a un paio di battute monsignor Giovanni Santucci per spiegare che «lo star bene è strumentale al vivere», che «non si vive per star bene, ma si sta bene per vivere». Non è un gioco di parole. Dietro ci sono concetti profondi, a partire dal rispetto della persona umana, valore irrinunciabile a giudizio del vescovo delegato della Conferenza episcopale toscana per la pastorale della salute.Ci sono sei orologi sul caminetto dello studio di monsignor Santucci: «Mi piacciono – ammette –, eppoi me li regalano…». Eppure, a Massa Marittima il tempo sembra fermarsi, o quantomeno non scorrere frenetico come in altri posti. Merito senza’altro della terra di Maremma e di una città con una piazza e una cattedrale senza pari, concentrato di storia, di bellezza e di fede. Un posto ideale, insomma, per un ragionamento sullo «star bene», o meglio sul «ben-essere», come scandisce il vescovo di Massa Marittima-Piombino appellandosi ad «un umanesimo tutto toscano di altissimo valore e di altissima qualità». «Negli ultimi tempi siamo passati – spiega Santucci – dalla salute come star bene alla salute come ben-essere, per cui c’è bisogno di coniugare pastorale e ben-essere. E tutto parte dalla centralità della persona, che è sempre fine e mai strumento».

Quindi parlare di salute è molto più che parlare di sanità?

«Certamente. Salute è un concetto molto più ampio».

Ma le sembra avvertita nel mondo cattolico l’importanza di una «pastorale della salute»? Le parrocchie, ad esempio, cosa fanno in proposito, magari quelle che hanno un ospedale, una clinica o una casa di riposo nel proprio territorio?

«Potrei rispondere col dire che l’ospedale è la più grande delle parrocchie: da lì passano tutti o quasi. A parte questo, è necessario coniugare le esigenze delle strutture con le esigenze delle persone. Per questo oggi si parla di accompagnamento, di assistenza alle persone inferme, durante il ricovero in ospedale, in casa di cura, ma anche dopo. Si parla di vicinanza ai familiari, che spesso devono spostarsi sul territorio per dare assistenza ai loro congiunti. Si parla di associazioni che si pongono al servizio di queste esigenze. Tutto è struttura, tutto è parrocchia, tutto è comunità cristiana. Che questa sensibilità ci sia lo dimostrano associazioni come i volontari ospedalieri o i centri di aiuto alla vita, ma anche tante piccole realtà presenti e ramificate nel territorio. Negli ospedali, tra i volontari, trovo molti giovani, cosa che non mi capita altrove. Anche la nostra terra di Massa Marittima e Piombino, che è molto arida dal punto di vista di altre espressioni religiose, sotto questo aspetto è vivacissima».

A muovere questi giovani e i volontari sono motivazioni profonde di gratuità o qualcos’altro?

«Per un credente la purificazione delle motivazioni delle proprie scelte è l’obiettivo di sempre. Chiedersi perché si fanno le cose è una tecnica di vita spirituale necessaria. Ma si anziché fare un discorso di fede ragionata, si fa un discorso di fede vissuta, servire il fratello è servire il Signore».

A proposito di volontariato, come si collocano queste realtà nell’attuale panorama sanitario?

«Credo che qui si apra un grosso punto di riflessione. A noi manca un censimento delle realtà operanti sul territorio, gestite direttamente dalle diocesi o dalle associazioni di ispirazione cristiana o dai vari ordini religiosi. Si sa però che sono numerose in Toscana. È chiaro che queste realtà hanno avuto o hanno rapporti diretti di tipo sindacale, di tipo organizzativo, economico e politico con la Regione Toscana, con i vari assessorati. Noi potremmo, se ci riusciamo, favorire un coordinamento tra queste realtà, in modo che la voce del “mondo cattolico” impegnato in questo servizio alla salute sia più forte. Comunque, almeno come Conferenza episcopale toscana non intendiamo assolutamente sostituirci a nessuno: il nostro intento è proporre il coordinamento nella lettura e nella riflessione su quelle che sono le realtà che si stanno muovendo in regione. Da qui le iniziative come quella dell’Osservatorio giuridico-legislativo che ha il compito di ascoltare, di vedere, di suggerire e informare».

L’assistenza spirituale negli ospedali, almeno qui in Toscana, è regolata da un protocollo d’intesa. È soddisfatto dell’accordo?

«Mi pare che questa convenziona tra la Regione e la Conferenza episcopale toscana sia stata accolta con soddisfazione: l’assistenza spirituale cattolica negli ospedali e nelle case di cura che sono convenzionate rappresenta un punto importante perché ancora una volta si tratta di aiutare a capire che abbiamo davanti una persona, non solo un corpo. La speranza è più forte delle terapie. Purtroppo viviamo in una società dove i valori dello spirito sono dichiarati, ma non percorsi. Credo che questo sia il lavoro più importante che attende l’Ufficio di pastorale della salute. Un lavoro diretto più che altro alle persone che operano negli ospedali. Si fa più bene al ricoverato occupandoci di un infermiere stanco e demotivato, che non facendo cinquanta visite all’ammalato, perché il clima che crea una persona stanca e demotivata è certamente negativo».

La collaborazione con le istituzioni, dunque, funziona. Ma sul posto, nelle corsie degli ospedali, come viene accolta la presenza del religioso o del volontario cattolico?

«Tutto dipende dal modo con cui ci si rapporta con gli altri. Da quello che sento, c’è una gratitudine nei confronti delle persone che operano negli ospedali: cappellani, suore, volontari. Non mancano occasioni in cui anche i responsabili amministrativi e i primari si congratulano. Per spiegare la nostra funzione faccio un esempio banale: se io vado dal dentista oggi è per stare bene domani. Se mi viene tolta questa certezza io oggi non vado dal dentista. Se si toglie il domani, l’oggi perde gran parte del suo significato. A forza di portar via il domani alla gente, abbiamo provocato un terribile impoverimento. E togliendo il domani togliamo anche l’oggi. Una cultura priva di orizzonti, come quella che abbiamo messo in piedi in questi ultimi trent’anni, non ha defraudato il domani alla gente, ma addirittura ha solo snaturato l’oggi. Io non sono credente perché mi interessa il domani: io sono credente perché mi interessa l’oggi. La presenza di un religioso, di una religiosa, di un laico, che ti accompagna, che prega, che ti apre al domani, ti dà una forza per l’oggi che altrimenti non avresti».

Questo ragionamento vale anche per quel «domani» un po’ più difficile da presentare? Mi riferisco ovviamente al fatto che i cappellani ospedalieri si trovano spesso a tu per tu con i moribondi e con i loro parenti.

«Non importa estremizzare. Ci sono anche altre patologie difficili da gestire, oppure anche solo un infermiere che si trova davanti un anziano di ottant’anni e si domanda perché si devono spendere soldi ed energie per far star bene un vecchietto. Bisogna per questo stare attenti a non prendere il rapporto cura, medico e degente come se fosse funzionale. Come detto, davanti non hai un caso, hai una persona con tutte le sue ricchezze e le sue povertà. Tornando all’assistenza spirituale va detto che non è un regalo che la Asl o il Comune o la Regione fanno alla Chiesa: è semplicemente un riconoscere che in questo caso c’è un servizio alle persone. Dobbiamo entrare nell’ordine di idee che la Chiesa non ha nessun interesse in questo senso. Deve finire l’equivoco come quello della mamma che manda il bambino al catechismo e crede di fare un favore al parroco o quello che va la domenica alla Messa e crede di far contento Gesù. Sono discorsi di una puerile concezione della vita, che ha bisogno di essere rimossa. A proposito dei moribondi c’è un altro equivoco: i parenti spesso non chiamano il sacerdote per “non spaventare” il malato. Questo è egoismo: si pensa a se stessi e non al sofferente. Il fatto che decida chi sta bene al posto di chi sta male è assurdo. I valori spirituali non sono misurabili perché non c’è un termometro per la fede o per la serenità. Eppure i valori spirituali sono importanti: c’è gente che sta malissimo per un problema di carattere morale e non ha niente di fisico, però sta malissimo».

Dalla spiritualità alla politica. La Regione Toscana si prepara a varare il Piano sanitario regionale per gli anni 2002-2004. Ne avete discusso anche nell’ambito dell’Osservatorio giuridico-legislativo della Conferenza episcopale toscana. Quali sono i suggerimenti emersi?

«Noi partiamo dalla considerazione che questo piano sanitario è forse uno dei primi atti che mette in pratica le modifiche all’articolo 5 della Costituzione in senso federalista. È un banco di prova importante. Ma l’attenzione che noi vogliamo porre sull’agire dei nostri politici non è certamente di controllo. Noi possiamo solo mettere a disposizione l’esperienza in umanità che la Chiesa rivendica, possiamo dare un contributo fattivo per la stesura anche di un piano sanitario regionale e di un piano socio-assistenziale, che la Regione, con una scelta intelligente, ha deciso di far camminare insieme. Eserciteremo inoltre una coscienza critica interessandoci a quei valori che per noi sono irrinunciabili: la centralità della persona, la destinazione dei servizi, la difesa dei soggetti più deboli, la verifica dei servizi resi, l’equilibrio e la giustizia dei rapporti».Sanità/1: Liste d’attesa, qualcosa si muoveSanità/2: Rossi risponde a Berlusconi: «Il documento nazionale è ricalcato sul modello toscano»Sanità/4: «118», l’emergenza passa dal cavoSanità/5: Mortalità, ecco le causeIn Toscana di lavoro si continua a morire