Toscana

Sanità toscana/2-3: Tempi troppo lunghi per il Pronto soccorso

di Lorella Pellis

Non occorre evocare la fortunata serie televisiva «E.R.» per rendersi conto che i reparti ospedalieri maggiormente sulla breccia sono, da sempre, i Pronto Soccorsi. Proprio per questo, possono finire più di altri nell’occhio del ciclone perché è anzitutto qui che si valuta, di primo acchito, il buon funzionamento o meno della sanità pubblica. Per una verifica del loro funzionamento in Toscana abbiamo pertanto interpellato il dottor Stefano Grifoni, direttore del Pronto Soccorso di Careggi e presidente della Toscana dei medici di emergenza urgenza, rinviando al prossimo numero altre testimonianze sui Pronto soccorso di Pisa e Orbetello.

Dottor Grifoni, cosa succede oggi quando arriva un paziente da voi? E i criteri di gestione del Pronto Soccorso di Careggi sono condivisi da tutti i Pronto Soccorsi toscani?

«Il paziente che arriva al Pronto Soccorso viene preso in carico inizialmente dagli infermieri del triage che devono valutarne la priorità e quindi il codice colore. Successivamente il medico di guardia dispone tutti gli accertamenti del caso. I codici rossi hanno una priorità rispetto agli altri, i pazienti molto gravi (infarto di cuore, ictus, gravi politraumatizzati e poliustionati) entrano direttamente nella stanza del codice rosso e vengono affrontati subito. Se il paziente può essere valutato immediatamente, a questo punto si è in grado di decidere il suo destino: può essere ricoverato, non ricoverato o avere la necessità di un’ulteriore osservazione nel reparto di Osservazione breve. Si tratta di scelte organizzative ormai diffuse in tutta la Toscana e non solo a Careggi, perché è questa l’organizzazione necessaria per dare risposte immediate e sicure».

Quali sono in questo momento i punti critici del sistema di Pronto Soccorso?

«Il maggior punto critico è il fatto che il Pronto Soccorso rivolge la sua accoglienza a tutti i cittadini. Un Pronto Soccorso ha delle dimensioni più o meno grandi in base alla sua importanza, comunque le criticità sono anzitutto negli spazi, che in questo momento sono appena sufficienti. Nel 2000 i 1600 metri quadri di Careggi accoglievano circa 28 mila persone, oggi negli stessi metri ne vengono accolte circa il doppio. Altra criticità è il fatto che, rimanendo così dimensionati, i Pronto Soccorsi non garantiscono un’uscita rapida, particolarmente per i pazienti che devono essere ricoverati e che, dopo un accertamento fatto nel Pronto Soccorso che può durare intorno alle 6 ore, permangono negli stessi spazi molte altre ore perché all’interno degli ospedali non c’è un’accoglienza adeguata. In altre parole, l’affluenza all’interno delle strutture di Pronto Soccorso così organizzate ha determinato delle criticità organizzative in relazione non all’ingresso ma all’uscita del paziente. E questo dovremmo risolverlo o ampliando gli spazi del Pronto Soccorso oppure trovando soluzioni organizzative all’interno degli ospedali. Un’ulteriore, importante criticità sta nel fatto che il Pronto Soccorso è da sempre considerato la «porta» dell’ospedale. Il percorso assistenziale del paziente inizia dal Pronto Soccorso che è parte integrante di un sistema e che invece viene ancora visto come un elemento di disturbo per l’ospedale perché è attivo 24 ore su 24. Bisogna che il sistema capisca che il Pronto Soccorso è un’unità operativa aperta all’esterno e facente parte di un percorso assistenziale integrato all’interno dell’ospedale, non è un corpo a sé stante».

L’organico che avete a disposizione a Careggi è sufficiente?

«Per quanto riguarda l’organico, l’organizzazione di Careggi prevederebbe 29 medici. Ancora non li abbiamo ma questo non per cattiva volontà dell’amministrazione di inserirli ma per due elementi: il primo è che il sistema amministrativo per le sostituzioni dei medici è lento e burocraticamente una palude; il secondo è che non ci sono più medici. Il sistema dovrà rendersi conto che molti andranno in pensione nei prossimi anni e molti giovani fanno scelte diverse dall’emergenza urgenza. Per sostituire una gravidanza, per esempio, c’è bisogno di molti mesi».

Un paragone, anche da questo punto di vista, tra la gestione del Pronto Soccorso di Careggi e quella di un ospedale minore, di una piccola città.

«Careggi è soprattutto un ospedale di alta specialità per cui la differenza con gli altri ospedali è che tutti i pazienti più gravi vengono qui. Inoltre, Careggi costituisce un polo di attrazione per le visite specialistiche, ma soprattutto ha una funzione di Dea di secondo livello per quanto riguarda l’alta specialità e nello stesso tempo, per la Piana di Sesto, Campi eccetera, diventa un ospedale di riferimento di primo livello come tutti gli altri».

C’è chi arriva al Pronto soccorso senza averne effettivamente necessità? Ci potrebbe essere un maggior filtro sul territorio?

«Si sente spesso parlare di appropriatezza dell’arrivo dei pazienti. In realtà tutti sanno, o se non lo sanno è bene dirlo, che il lavoro del Pronto Soccorso per circa il 60 per cento è di autopresentazione. I pazienti si rivolgono direttamente al Pronto Soccorso anche perché il Pronto Soccorso dà risposte rapide al cittadino che vuole sapere che cosa ha. Per quanto riguarda il medico di famiglia, siamo stati abituati a una politica in cui il percorso assistenziale dei pazienti è stato suddiviso in vari settori di competenza, tutti con le proprie risorse ma senza integrazione al sistema. Se non arriveremo all’integrazione del sistema in una condizione come questa, con le risorse economiche che scarseggiano, noi non potremmo dare risposte al percorso assistenziale del paziente. Credo che ci debba essere una forte integrazione fra l’ospedale e il territorio inteso come 118 e anche come medici di base. Il problema è mettere i medici di base in condizione di fare da filtro, cosa impossibile oggi: infatti, quando un paziente sta male si rivolge al Pronto Soccorso perché per fare le analisi che prescrive il medico di base (che ritengo in ogni caso debba essere consultato) ci vuole una settimana. Dovremmo dare ai medici di famiglia la possibilità di poter verificare sul territorio le condizioni del paziente attraverso analisi ed esami strumentali, quindi creare strutture in cui i pazienti vanno dal medico, e se questo ha dei dubbi li possa togliere subito. Non è che ci sia una guerra fra ospedale e territorio, è che non esiste un percorso assistenziale condiviso da tutti gli attori».

Quali sono i casi più frequenti che trattate?

«C’è una particolarità di Careggi che è quella di avere i suoi Pronto Soccorsi specialistici (ortopedico, oculistico, otorino, appunto, mentre la ginecologia non ha un Pronto Soccorso ma solo un’accettazione). È un’organizzazione di Careggi che in realtà poi dovrebbe convogliare in un’unica struttura. Noi chiamiamo Pronto Soccorso l’otorino, l’oculistico e l’ortopedico, ma in realtà il concetto di Pronto Soccorso è ancora più avanzato perché possono essere considerati due aspetti: un percorso di alta priorità in cui il paziente ha veramente l’urgenza di venire in ospedale e essere curato, e uno di bassa priorità con un codice più ambulatoriale. Come si sa perfettamente che, a parte le fratture degli arti del corpo in si deve intervenire subito, il resto del Pronto Soccorso (otorino e oculistico) è ambulatoriale».

A molti non sembra utile che nei Dea i chirurghi siano stati sostituiti da medici che hanno fatto un corso di emergenza. Lei cosa ne pensa?

«Questo non è vero perché i medici che operano nell’emergenza sono addestrati a fare una diagnosi. Questa diagnosi, che viene operata immediatamente in riferimento al paziente del Pronto Soccorso, permette di indirizzarlo correttamente verso le varie specialità».

Cosa sarebbe necessario sul territorio per migliorare il servizio di primo intervento e, quindi, per riuscire a intervenire nel minor tempo possibile e, probabilmente, salvare più vite umane?

«Questo è il più grosso problema organizzativo che ci siamo posti anche a livello regionale e con le commissioni. Si può migliorare perché non si può pensare di avere sempre un tot di macchine disponibili per tutti i tipi di interventi, ma dovremmo essere capaci di individuare le priorità e inviare il mezzo di soccorso più adeguato. Il triage telefonico difficilmente riesce a valutare la situazione, ma c’è il sistema dell’invio dell’ambulanza con l’infermiere e poi se necessario passare alla chiamata del medico. È un buon sistema che risponde a tantissime chiamate al giorno. È ovvio che se il 118 sarà sommerso di telefonate, esaurirà le sue risorse. La popolazione deve essere educata al fatto che il 118 deve essere chiamato solo nei casi di emergenza urgenza».

Qual è il suo parere sulla sanità d’iniziativa, una medicina che non sta sulla porta del pronto soccorso, ad aspettare che il paziente arrivi, ma che invece gli va incontro in maniera positiva, per evitare che il paziente si ammali o si cronicizzi?

«Sulla sanità di iniziativa credo che sia in atto una discussione molto aperta. Per quanto mi riguarda sono convinto sia necessaria la medicina di iniziativa sul territorio. In questo modo si può prevenire la riacutizzazione delle problematiche croniche, ma è anche vero che una volta che c’è la riacutizzazione il paziente non può essere curato a gocce quindi deve essere necessariamente portato in ospedale, pure per quanto riguarda la patologia cronica o altre. Anche lì potrebbero esserci molte idee organizzative perché potremmo creare strutture dove lo stesso medico di base può gestire il cronico prima di inviarlo in ospedale, integrate a quelle che dicevo in precedenza in modo da dare un’autonomia gestionale al medico di base che non deve fare solo una medicina d’iniziativa, quindi preventiva, ma deve anche curare la fase acuta».

«See & Treat», se al Pronto Soccorso trovi l’infermiere«See & Treat», che significa «Vedi e tratta». La sperimentazione riguarda i Pronto Soccorsi di sei ospedali toscani: Santa Maria Annunziata di Firenze (Ponte a Niccheri), Misericordia e Dolce di Prato, Misericordia di Grosseto, Valdelsa a Campostaggia, Felice Lotti di Pontedera, ospedale di Livorno. Si tratta di una nuova modalità organizzativa per affrontare i problemi clinici «minori». Infermieri esperti, opportunamente formati, affiancati per i 6 mesi di sperimentazione da un medico tutor, gestiranno e daranno risposta a una serie di problematiche minori, definite e approvate dal Consiglio sanitario regionale: per esempio, piccole ferite e abrasioni, contusioni minori, ustioni solari, punture di insetti, rinite, congiuntivite, ecc. Gli infermieri che lavoreranno negli ambulatori See & Treat hanno seguito un corso di formazione regionale di 180 ore per la certificazione delle competenze esperte ed opereranno in base a protocolli elaborati da un gruppo di professionisti (medici e infermieri) individuati dal Consiglio sanitario regionale, che ha proposto questa modalità di lavoro.

«Sono stato uno dei fautori del See & Treat – dice il direttore del Pronto Soccorso di Careggi Stefano Grifoni –. Lo condivido. Sono favorevole all’autonomia degli infermieri per alcune patologie. L’infermiere agirà su protocolli che sono condivisi attualmente col medico dopodiché vedremo quali saranno i risultati. Il See & Treat libera le mani al medico, sempre più preso da cose più importanti, da patologie che possono essere affrontate insieme al medico ambulatorialmene».

Il See & Treat è una modalità di lavoro già da tempo in atto in molti Paesi europei, in particolare nel Regno Unito.

Pisa: Il nuovo Cisanello non ancora a misura di malatodi Andrea Bernardini

Un palazzone abitato ogni giorno da centinaia di persone, tra malati, medici, infermieri, operatori socio sanitari: è il nuovo Dea, acronimo di Dipartimento di emergenza accettazione, dell’ospedale di Cisanello a Pisa. Qui, da poco più di tre mesi, si è trasferito il pronto soccorso fino ad allora ospitato dal vecchio nosocomio di Santa Chiara, destinato ad andare definitivamente in pensione nel 2015. Un palazzone grande quanto quattro campi da calcio. Tanti (il solo Pronto Soccorso di Cisanello è grande 20 volte quello del Santa Chiara) forse troppi per malati e feriti che qui si rivolgono per cercare le prime cure e che, in alcuni casi, vedi un po’ spaesati tra triage, ambulanze che arrivano, barelle che corrono, box, ambulatori, ascensori che caricano flotte di pazienti. «Un po’ di pazienza. Il nuovo Dea è appena nato, la sua organizzazione è complessa ma già, in tre mesi, siamo riusciti a renderlo più a misura del malato» dice Eugenio Orsitto, direttore del dipartimento.

«È pur vero che la dotazione organica non è ancora a pieno regime – commenta Lorella Marini, sindacalista di Cisl funzione pubblica –. Mancano soprattutto diversi operatori socio sanitari, chiamati a supportare l’assistenza di base: gli Oss accolgono, ascoltano, accompagnano i pazienti  dalla sala di attesa agli ambulatori o ai reparti, e, all’occorrenza, prestano semplici medicazioni, in attesa dell’intervento del medico. La loro assenza si fa sentire. La direzione ha promesso di porre rimedio a questa situazione entro l’estate. Vigiliremo».

Pronti, via. Il nostro viaggio all’interno del Dea inizia al piano seminterrato, dove trovano posto neuroradiologia (con tanto di agiografo, di tac e di due risonanze magnetiche nucleari ed una terza in arrivo), il laboratorio di analisi, studi medici, ma anche un’area destinata alla protezione civile e all’ unità di crisi. Qui si trova sede il gruppo di chirurgia d’urgenza diretta dal professor Giuseppe Evangelisti che si è resa protagonista di numerosi interventi in aree terremotate in tutto il mondo.

Il triage è al piano terra. O meglio, i triage. Uno è destinato ai pazienti più gravi, ossia i barellati, un secondo ai pazienti in grado di camminare, un terzo ai diversamente abili. Qui vengono consegnati a tutti i pazienti accettati braccialetti di riconoscimento, in cui sono riportati in chiaro, e su codice a barre, nome, cognome, codice fiscale e numero progressivo di riconoscimento nella cartella clinica elettronica del Pronto soccorso. I codici assegnati? Il rosso: indica pericolo di vita. «I codici rossi non hanno tempi di attesa, vengono immediatamente presi in carico nella shock room o in un’altra, apposita sala, se provenienti da altri ospedali dove è già stata fatta loro una prima diagnosi». Il giallo: ci dice che il paziente è grave ma non in pericolo, il verde: definisce un paziente  mediamente grave. «Aspetta un po’ di più. Ma la velocità non sempre è sinonimo di efficienza: ci sono alcune malattie – dice Massimo Santini, direttore del Pronto Soccorso – che è bene tenere sotto osservazione, per essere ben valutate, prima ancora di intervenire»; infine l’azzurro e il bianco: codici che indicano una bassa priorità: i pazienti cui vengono assegnati questi codici hanno a disposizione più ambulatori specialistici, dove possono trovare il pediatra, l’oculista, l’otorino, l’urologo, il dermatologo, lo psichiatra e l’ortopedico.

Al piano terra troviamo sei letti, in cui il ferito o malato «acuto» viene osservato costantemente; il pronto soccorso pediatrico, aperto 24 ore al giorno, e quello ortopedico (dotato di radiodiagnostica dedicata), un reparto di radiodiagonistica (dove si trovano 2 radiografie digitali e due tac) e tre ambulatori ecografici.

Si sale. Al primo piano, ecco il reparto di medicina d’urgenza: venti posti letto, di cui 4 riservati a chi ha avuto un ictus, sei a chi deve ricevere una terapia sub intensiva per problemi diversi, 4 a bambini; l’unità operativa universitaria di chirurgia generale e di urgenza ha 33 posti letto, l’unità operativa di traumatologia 8. Fra chirurgia d’urgenza e traumatologia, 4 posti letto per la terapia sub-intensiva. Ci sono poi quattro sale operatorie, e un reparto di anestesia e di rianimazione dotato di 12 letti (8 per la terapia intensiva, 4 per la sub intensiva).

Si sale ancora. Al secondo piano: la neurochirurgia universitaria e quella ospedaliera (46 posti letto, di cui 8 per pazienti che chiedono una terapia sub intensiva), 4 sale operatorie, il secondo reparto di anestesia e rianimazione, dotato di otto posti letto, di cui uno isolato. Al primo ed al secondo piano troviamo una ricovery – room, una sala dotata di posti letto riservati a malati appena operati, monitorati ed in attesa di spostamento.

Sopra tutto c’è una pista di atterraggio per elicotteri, finora inutilizzata, perché i vigili del fuoco hanno chiesto di fare alcune verifiche strutturali prima di autorizzare l’atterraggio non tanto degli elicotteri Pegaso, quanto piuttosto di quelli militari, ben più pesanti.

Insomma, una grande cittadella del soccorso, dotata di un totale di 133 posti letto ed 8 sale operatorie e che a fine anno potrebbe contare circa 100 mila accessi.

Orbetello: «Superlavoro» per l’afflusso turisticodi Antonella Monti

Sta proprio in un bel posto, l’ospedale di Orbetello, un plesso giovane (è stato inaugurato nel 2003) e moderno costruito rispettando i canoni architettonici che vogliono edifici on impattanti con il territorio. Ma è grazie alla bellezza naturalistica della località scelta per la costruzione che l’intero edificio perde gran parte dell’austerità del ruolo che riveste come ospedale e ha dvanti a sè la parte finale della laguna di Orbetello con a lato l’archeologia industriale dell’ex Sitoco, e davanti, oltre lo specchio d’acqua, il verde dell’oasi WWF di Orbetello senza contare l’immediato e rassicurante «colpo d’occhio« dei fenicotteri rosa che rallegrano con la loro presenza colorata anche i più grigi giorni invernali della laguna di Orbetello.

Grazie all’amenità di tale vista, i parenti in visita all’ospedale prima o poi attraversano la strada che divide il plesso dai giardinetti che la separano dall’acqua e riescono a distrarsi dimenticando per un attimo gli asettici corridoi da cui sono appena usciti dopo la visita ai loro malati. E per dirla tutta… i corridoi dell’ospedale di Orbetello sito in località Madonnella, tutto sono meno che asettici considerando che, alle pareti degli stessi, pendono foto artistiche e quadri di diversi stili pittorici regalati al momento dell’inaugurazione, da artisti locali e non. L’ospedale di Orbetello è provvisto di un efficiente pronto soccorso, guidato da soli due mesi dal primario dott. Giancarlo Meucci, validamente supportato dai colleghi.

«Gestiamo 25.000 accessi all’anno – spiega Meucci – e accogliamo persone in tutto l’arco della loro vita , in pratica dai neonati ai centenari». «Ci definiamo medici tuttologi – continua – perché rispondiamo a qualunque tipo di richiesta appoggiandoci chiaramente a Grosseto nei casi più gravi. Il periodo di maggior afflusso per noi resta comunque quello estivo, da Pasqua in poi, perché siamo chiaramente legati al flusso turistico di tutta la zona. In inverno trattiamo circa settanta accessi al giorno mentre d’estate raddoppiamo (da maggio fino a settembre e principalmente nei fine settimana). Restiamo operativi 24 ore su 24, siamo di primo livello e il nostro è considerato il pronto soccorso che lavora di più dopo quello di Grosseto che ha 45.000 accessi l’anno. Rispondiamo a tutte le domande e anche se non abbiamo più la maternità in caso ci arrivi una partoriente e non fosse più possibile inviarla a Grosseto dobbiamo agire qui. L’ambulatorio pediatrico è aperto dalle 8 alle 20 ed è successo che facciamo anche urgenze pediatriche. Abbiamo due medici per turno (due per la notte e due per il giorno) e di notte, nel caso ci fosse bisogno, operiamo anche in corsia». Importante anche l’apporto del volontariato. «Siamo validamente supportati – sottolinea – dalla locale Misericordia e dalla Croce Rossa dunque il volontariato è molto importante. Da qualche mese è stata inaugurata la piazzola per l’elisoccorso che è diurno e notturno, compatibilmente alle condizioni meteo. E quando non è possibile avere l’elicottero, gestiamo le nostre urgenze su gomma interessando sempre la Toscana (area vasta fino a Siena).Nel caso del fuori regione scelto dall’utente resta quest’ultimo a doversene occupare. Cinque le tipologie mediche di cui ci occupiamo:insufficienza respiratoria, insufficienza renale, anemie, problemi vascolari, problemi cardiaci. Molte restano comunque le patologie traumatiche e, d’estate, abbiamo anche fatto diagnosi per embolie gassose poi dirette a Grosseto dove c’è la camera iperbarica. Con l’estate non mancano sindromi da annegamento… ma c’è da considerate che la nostra popolazione da 50.000 nel periodo di maggio, con il turismo passa a 250.000. Sono di casa ormai i romani e proprio da loro ci arrivano molti ringraziamenti per l’efficienza dei nostri servizi e per la gestione dei tempi di attesa del nostro pronto soccorso». Attualmente nell’ospedale di Orbetello ci sono dei reparti di eccellenza con quindici posti come l’ortopedia con il primario Luigi Becherucci.