Toscana

Scuola, studenti in piazza

Il mondo della scuola è in fermento, come spesso accade in autunno. Ma quest’anno gli obiettivi delle proteste sono ampiamente condivisi anche da genitori e insegnanti. I forti tagli ai finanziamenti colpiscono tutti gli ordini e gradi dell’istruzione. Nel mirino il decreto Gelmini, che ha introdotto alcune novità come il ritorno al maestro unico alle elementari, e la legge 133, che ha ridotto al 20% il turn over nelle università, riducendone anche i fondi pubblici. Abbiamo chiesto a due organizzazioni cattoliche del mondo della scuola un parere sulla riforma Gelmini.Le ragioni del «no»

Provvedimenti nati solo per risparmiare

La scuola ha bisogno di un periodo di stabilità», così affermava il ministro Gelmini nel suo intervento del giugno scorso alla VII Commissione della Camera. Niente di più vero, niente di più condivisibile. Gli interventi che sono seguiti sembrano andare in altra direzione. Ritorno del maestro unico, orario ridotto in ogni ordine di scuola e nella primaria orario curricolare di 24 ore (le altre opzioni afferiscono all’aggiuntivo) chiusura di scuole, affacciarsi all’orizzonte di classi preparatorie, ponte o come le si voglia chiamare, comunque diverse dalle classi «permanenti» per integrare gli alunni stranieri, tagli anziché investimenti…

Ogni punto andrebbe approfondito, ma il poco spazio non lo consente. Qualche rapidissimo cenno è però d’obbligo. In un’epoca in cui le competenze del vivere si fanno più complesse, il ripristino del maestro «tuttologo» non trova giustificazione. La contitolarità del team, anche se faticosamente costruita, aveva rotto il binomio insegnante/classe sollecitando i docenti a coprogettare. Le proliferazioni hanno costituito una patologia da sanare, ma da qui a cancellare tutto ce ne corre. Come pure se era necessaria una razionalizzazione della rete scolastica questa poteva toccare, accorpandole, le scuole istituzioni (là dove ci sono gli uffici, la presidenza, con dei costi), ma non i punti di erogazione del servizio (plessi): immaginiamo i piccini di sei anni in un tour giornaliero, magari non breve, prima dell’ingresso a scuola e poi… da tornare a casa! Tempi di trasporto, rischi connessi, stanchezza inevitabile uniti a spese aggiuntive per gli enti locali: quanti potranno garantire il servizio?

«La scuola non è un semplice capitolo del bilancio» era sempre il Ministro ad affermarlo, ma il piano programmatico è la traduzione puntuale dell’art. 64 della finanziaria.

Due aspetti che potrebbero sfuggire presi come siamo da problemi specifici vanno evidenziati.

Il primo: una riforma quella che va in onda, guarda alla secondaria e applica poi gli stessi criteri alle scuole più… in basso. Scuole che funzionavano bene anche a detta delle comparazioni internazionali e per il cui sviluppo in qualità anche il mondo cattolico si era impegnato.

L’altro aspetto riguarda le modalità adottate. La via del decreto, generalmente giustificata da motivi di urgenza, ha tagliato ogni possibilità di previa consultazione, di ascolto, di confronto. La logica facilmente rintracciabile è quella del risparmio, ma un qualche aggancio pedagogico sarebbe stato doveroso. Ne discende un messaggio implicito che non rassicura: screditamento della scuola tanto da non ritenerla in grado di dire qualcosa su di sé: mortificazione del lavoro che la scuola primaria ha compiuto, dei suoi percorsi professionalizzanti, delle sue pratiche d’aula. Quanta fatica per le continue riconversioni, ma anche quanta crescita in competenza professionale!

Ed ora? L’unica speranza è che la buona scuola (e ce n’è) dopo il primo sbandamento ritrovi il suo ancoraggio giusto per accogliere ogni bambino in quanto persona, garantirgli percorsi formativi di qualità, sostenerne il processo di liberazione dall’ignoranza e di crescita in cittadinanza.

Mariangela Prioreschipresidente nazionale Aimc (Associazione italiana maestri cattolici)Le ragioni del «sì»

Riforme necessarie per superare la crisi

Per chi vive dentro la scuola, il divampare della protesta contro il Decreto legge137/08 e il Piano programmatico per la scuola presentato dal ministro Gelmini, non rappresenta una novità. Sono più di 10 anni, infatti, che ministri di ogni parte politica tentano di avviare una riforma dell’istruzione in Italia senza riuscirvi, ostacolati dal rifiuto ad oltranza delle piazze.

Questo è un primo dato di fatto che dovrebbe far riflettere tutti: l’esigenza condivisa da ogni parte politica di riformare la scuola. Ciò si deve non soltanto alla necessità di adeguare il sistema dell’istruzione alla nuova prospettiva introdotta dal Decreto legge 275/99 (Legge Bassanini) con l’autonomia delle istituzioni scolastiche ma, principalmente, alla crisi della scuola italiana. Anch’essa è sotto gli occhi di tutti, sia nei suoi aspetti strutturali (sprechi, diseguaglianze a livello territoriale, difficoltà di funzionamento ordinario, risorse insufficienti), sia nei suoi risultati, in termini di conoscenze (collocazione agli ultimi posti delle graduatorie internazionali, alto tasso di abbandoni a livello di istruzione superiore ed universitaria) ed educazione (episodi di bullismo e di malascuola).

Già nel «Libro Bianco sulla Scuola» presentato dal Ministro Fioroni si ritenevano inevitabili tagli ai finanziamenti per l’istruzione. Perché allora tanta resistenza al cambiamento, da qualsiasi parte venga proposto? È certamente più ragionevole la posizione invocata dal presidente Napolitano, quando afferma che «le condizioni del nostro sistema scolastico richiedono scelte coraggiose di rinnovamento: non sono sostenibili posizioni di pura difesa dell’esistente».

Piuttosto che opporsi ad ogni costo ad ogni tentativo di riforma, creando allarmi ingiustificati e diffondendo ad arte notizie false, come quella sull’abolizione del tempo pieno, conviene rischiare un cambiamento, chiedere un confronto sulle esperienze di buona scuola che pure ci sono e lavorare per costruire un sistema di istruzione svincolato da gestioni centralistiche e burocratiche, fondato sulla libertà di scelta delle famiglie – che il Decreto legge 137/08 di fatto favorisce –, sull’autonomia compiuta delle istituzioni scolastiche e sulla professionalità di docenti e dirigenti.

Non si possono nascondere le maggiori difficoltà per i più giovani ad entrare nel mondo del lavoro, né quelle degli insegnanti di ruolo in vista di un generale riassestamento; tuttavia il ministro e il governo hanno più volte garantito che non ci saranno licenziamenti. Di fronte alla difesa dello status quo nella quale si sono irrigiditi i sindacati, occorre piuttosto rivendicare il bene comune, nella consapevolezza che attraverso l’istruzione si costruisce la persona e quindi la società: in una parola, il futuro del Paese.

Silvia MagheriniDiesse Firenze/ToscanaAnche i «prof» all’occupazionedi Francesco Graziani

Un periodo di fuoco, per molte scuole superiori fiorentine che in questi giorni hanno visto i propri studenti occupare le strutture contro la riforma del ministro Gelmini. Un periodo culminato con la manifestazione di martedì scorso, quando decine di migliaia di ragazzi sono scesi in piazza. Abbiamo cercato di andare a capire come si sono svolte queste occupazioni, parlando con gli studenti, facendoci aprire le loro scuole. Sono i ragazzi del Liceo classico Dante e dell’istituto tecnico Meucci di Firenze, e dell’istituto tecnico e scientifico Russel-Newton di Scandicci.

Gli studenti hanno deciso di non bloccare la didattica e di lasciare la possibilità di seguire le lezioni a tutti gli studenti che hanno sentito propria questa necessità. «Per la prima volta c’è sinergia anche con i professori, una battaglia che vogliamo fare insieme per contrastare il decreto Gelmini» ci spiega uno dei rappresentanti del Dante. Giovanni, uno dei ragazzi del Meucci ci ha raccontato invece come hanno invece distribuito la giornata: «Durante lo svolgimento dell’occupazione si sono svolte varie attività di gruppo nelle quali si parlava di attualità e nello specifico della nuova riforma Gelmini. I gruppi di lavoro più importanti sono stati quello che cercava di capire  la nuova legge finanziaria, il comitato per il decreto Gelmini e infine il gruppo che gestiva i rapporti con la stampa. Questi gruppi di lavoro sono stati fatti per rispondere ai giornali che ci accusavano di non sapere il perché occupavamo. Durante la mattina iniziavamo a lavorare con l’aiuto dei professori. Alla fine di ogni mattinata svolgevamo un’assemblea nella quale si parlava di tutto ciò che era stato trattato nella giornata e allo stesso tempo i gruppi mettevano al corrente tutti gli studenti. Questo è stato fatto per far si che le persone sapessero per che cosa stavano occupando».

Durante le varie assemblee, racconta ancora Giovanni, ci sono stati interventi di esterni universitari e professori che hanno espresso la loro opinione: «Alcuni professori erano d’accordo con i nostri ideali e ci appoggiavano ma soltanto nelle idee, infatti molti di loro  non erano assolutamente d’accordo con l’occupazone della scuola. Durante le notti c’è sempre stata una quarantina di persone a sorvegliare l’edificio.L’occupazione si è conclusa con l’assemblea di sabato mattina che ha chiuso la settimana».

Sul loro giornale scolastico invece i ragazzi del Russel Newton hanno scritto: «Prima di tutto, non avevamo voglia di starcene con le mani in mano a giocare a carte o a pallone (come alcuni hanno fatto): volevamo improvvisarci giornalisti con lo scopo di “far vedere” a tutti che non abbiamo voluto protestare per saltare una settimana di scuola. Inoltre, volevamo approfondire le conoscenze su questi decreti legge: infatti abbiamo scritto articoli a scopo informativo, documentati a dovere. Oltretutto, abbiamo lavorato alla realizzazione di un volantino da distribuire ai cittadini sia di Scandicci che di Firenze. Con un consenso profondamente sentito e pressoché unanime e una partecipazione cospicua, abbiamo messo in atto una protesta costruttiva e organizzata».

Insomma, al di là di quello che ognuno può pensare del decreto Gelmini, la grinta e la consapevolezza  di questi ragazzi e ragazze merita di essere presa in considerazione anche perché loro, insieme ai loro insegnanti e alle loro famiglie, sono i primi ad essere coinvolti dalla riforma della scuola.

AREZZO: «4» in pagella alla ministradi Lorenzo Canali

Per una volta a dare i voti ci hanno pensato gli studenti. Dal banco alla cattedra, all’insegna di una protesta che si sta estendendo anche agli istituti della provincia di Arezzo. Ed è una «seggiola», come si dice in gergo, un quattro senza appello, quello che i ragazzi aretini hanno affiancato alla voce «Maria Stella Gelmini». Lo hanno segnato ben in chiaro nel loro registro immaginario, scandendolo a chiare lettere durante le proteste che hanno «invaso» le aule degli istituti e le piazze della città della chimera e di tutto il comprensorio. A buona parte degli studenti aretini non piace la riforma della «ministra» soprattutto per i possibili tagli che potrebbero penalizzare in modo particolare le scuole dei piccoli centri urbani della provincia. Numerose le iniziative organizzate dai ragazzi delle superiori, a partire dal corteo promosso nei giorni scorsi per le vie di Arezzo fino ad arrivare alle occupazioni.

«Siamo contrari alla reintroduzione del voto in condotta ai fine della bocciatura e al maestro unico. Diciamo “no” ai tagli ai finanziamenti, ai licenziamenti degli insegnanti e alla progressiva privatizzazione della scuola», hanno dichiarato i giovani aretini nella loro marcia lungo piazza Guido Monaco, via Petrarca e piazza della Libertà e sotto le finestre dei palazzi del Comune e della Provincia. Diverse le soluzioni che a loro avviso dovrebbero essere messe in atto per innovare il mondo degli studi. Innanzitutto la reintroduzione dell’obbligo scolastico a 16 anni, con il progressivo innalzamento a 18. «Chiediamo di essere più ascoltati – dicono – anche attraverso la convocazione del forum delle associazioni studentesche maggiormente rappresentative».

Intanto si sono registrate le prime occupazioni di istituti superiori sia in città sia in provincia. Ad Arezzo il liceo scientifico è in autogestione e 80 ragazzi hanno dormito al suo interno, per non abbassare la guardia nemmeno di notte. Anche all’istituto d’arte hanno provato ad occupare le classi, ma il preside ha sedato il progetto sbarrando la porta e lasciando tutti fuori. Stessa musica in Valdarno. Ai licei linguistico, psico-pedagogico e delle scienze sociali «Giovanni da San Giovanni» di San Giovanni Valdarno possono entrare solo alunni e all’interno è tutto un susseguirsi di dibattiti e discussioni, mentre sono scesi in piazza i ragazzi dell’istituto professionalo «Marconi» e del tecnico commerciale «Severi» di San Giovanni Valdarno e quelli del professionale «Magiotti» di Montevarchi, a cui si sono uniti gli studenti del liceo classico e scientifico, sempre di Montevarchi. A fianco degli alunni anche parte del corpo insegnanti, sia dei licei che delle scuole elementari che, guidati dai sindacati, hanno organizzato un proprio sit-in nel centro di Arezzo. A preoccupare in modo particolare è la questione delle nuove normative che prevedono la chiusura per gli istituti con solo cinquanta studenti, o la «fusione», per quelli con meno di cinquecento alunni (300 nei casi di montagne ed isole). Sarebbe, infatti, articolata la lista delle scuole della provincia di Arezzo che rischierebbero la chiusura: 15 le elementari e 9 le medie. Tra l’altro si tratterebbe nella maggior parte dei casi di istituti posti in zone montane o comunque mal collegati con gli altri centri urbani.

E gli Atenei toscani protestano contro i taglidi Claudio Turrini

E’ stata imponente la manifestazione regionale organizzata martedì scorso a Firenze contro i tagli alla scuola e all’Università. In 60 mila per gli organizzatori (40 mila per la Questura) hanno marciato per circa tre ore per le vie del centro fino in piazza Santissima Annunziata. Lì molti studenti medi, universitari, precari e ricercatori toscani hanno preso la parola per dire il loro «no» ai tagli promossi dal Governo e per la difesa dell’istruzione pubblica.

La protesta, condivisa anche da molti professori universitari, non riguarda il cosiddetto «decreto Gelmini» contro il quale si stanno mobilitando studenti, genitori e docenti delle scuole primarie e secondarie, ma il decreto legge 25 giugno 2008 n° 112, convertito nella legge 133 del 6 agosto 2008, riguardante lo sviluppo economico. Per quanto riguarda l’università la legge 133 prevede essenzialmente tre cose: il blocco del turn-over al 20% (cioè ogni 5 unità di personale che andranno in pensione ne potrà essere assunta solo una); la diminuzione del Fondo di finanziamento ordinario (cioè i soldi che il Ministero dà alle Università ogni anno) di 63 milioni di euro per il 2009 e sono previsti tagli crescenti fino a 455 milioni per il 2013; la possibilità delle Università di trasformarsi in fondazioni private. A Firenze, fanno notare i ricercatori, che hanno lanciato anche un appello on line (http//dica133.wordpress.com), a fronte di 801 professori ordinari, 711 associati e 759 ricercatori ci sono quasi 3.500 accademici precari a vario titolo, che insegnano e fanno ricerca e senza i quali l’ateneo chiuderebbe in pochi giorni. Già diverse facoltà hanno annunciato la soppressione di molti corsi di laurea.

In Toscana la situazione è aggravata dalla grave difficoltà in cui si trovano i tre atenei di Firenze, Pisa e Siena. Quest’ultima, in particolare, si trova ad affrontare un buco imprevisto di bilancio di 145 milioni di euro. Una commissione incaricata dal rettore Silvano Focardi per far luce sul dissesto finanziario ha appurato che l’indebitamento più consistente è di 90 milioni euro verso l’Indpap, per mancati versamenti previdenziali. Ci sono poi altri 20 milioni di euro per il mancato pagamento dell’Irap. A questi soldi bisogna aggiungere lo scoperto di cassa, che, si prevede, raggiungerà i 35 milioni di euro entro la fine dell’anno, nonché una quantità ancora tutta da valutare di debiti sotto forma di mutui contratti con le banche e la Cassa depositi e prestiti. La situazione è davvero pesante e sono state necessarie misure urgenti per potere pagare i prossimi stipendi. L’università di Siena spende per il personale il 104% del suo finanziamento statale. Un primato negativo. Quasi come lei sta solo la Federico II di Napoli al 101%. «Se le cose continueranno a seguire questa direzione senza interventi, come riduzione dei corsi i laurea, riduzione delle sedi decentrate e blocco del turnover, – ha spiegato Alessandro Mazzucco, rettore dell’università di Verona e membro della giunta della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) – nel 2010 tutte e 66 le università statali italiane saranno in emergenza». Gli altri sei atenei in grave difficoltà sono quelli di Bari, Cassino, Firenze, l’università Orientale di Napoli e inoltre Pisa e Trieste: spendono oltre il 90% del finanziamento statale per il personale, dove il 90% delle risorse è calcolato in modo «virtuale», introducendo alcuni correttivi.

LA SCHEDALe novità del decreto Gelmini La cosiddetta «riforma Gelmini» che sta agitando le scuole italiane è un decreto-legge del 1° settembre 2008, il n. 137, con «Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università». Approvato già alla Camera il 9 ottobre (con voto di fiducia), con diverse integrazioni e modifiche, è in agenda al Senato questa settimana per la conversione definitiva in legge. Ecco le principali novità previste dal decreto:MAESTRO UNICO: A partire dal prossimo anno scolastico nelle prime classi delle elementari sarà reintrodotto il maestro unico al posto dei tre docenti per due classi (art. 4). Le ore del tempo pieno saranno coperte dallo stesso maestro unico, che dovrebbe lavorare un maggior numero di ore (con aumento di stipendio da quantificare). Per le ore di insegnamento aggiuntive, rispetto all’orario d’obbligo, si potrà attingere per il 2009 dalle casse delle singole scuole. Secondo il ministro il tempo pieno non scompare ma anzi potrebbe avere un incremento del 50%.GRADUATORIE: Per l’immissione in ruolo dei docenti, le graduatorie per le scuole elementari saranno su base provinciale (come richiesto dalla Lega).SSIS E ABILITAZIONE: L’articolo 6, comma 1, attribuisce nuovamente all’esame di laurea in scienze della formazione primaria (con tirocinio) il valore di esame di Stato che abilita all’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella primaria. Gli studenti che frequentano il nono ciclo della Ssis, la scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario, e attualmente esclusi saranno rimessi in graduatoria in base ai punteggi attribuiti ai titoli posseduti (articolo 5-bis).RITORNO AI VOTI DECIMALI: Nella primaria (art. 3) ritorna il voto decimale ma affiancato da un giudizio analitico globale. Nella scuola media invece saranno previsti soltanto voti decimali. Non basterà un’insufficienza per essere bocciati nelle elementari: la bocciatura è prevista «solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione, con decisione assunta all’unanimità dai docenti». Nella secondaria, per la promozione alla classe successiva o l’ammissione all’esame di stato è necessario il «6» in tutte le discipline. Su questo tema è però previsto un «regolamento» per coordinare le varie normative.RITORNO DEL VOTO IN CONDOTTA: Torna (art. 2) il voto in condotta, anche come misura anti-bullismo. Con il «5» in pagella (un tempo il minimo era l’«8») non si è ammessi all’anno successivo. LIBRI DI TESTO: Contro il «caro libri» il decreto (art. 5) prevede che i testi scolastici adottati durino almeno cinque anni nella scuola elementare e sei nella scuola media e superiore (salvo appendici di aggiornamento eventualmente necessarie).EDUCAZIONE CIVICA: Ritorna nelle aule lo studio dell’educazione civica: «Cittadinanza e Costituzione» che potrà essere integrato anche da quello degli Statuti regionali (art. 1).EDILIZIA SCOLASTICA: Sono previste risorse destinate al finanziamento di interventi per l’edilizia scolastica e la messa in sicurezza degli istituti scolastici, impianti e strutture sportive. Nell’articolo 7 bis (aggiunto in sede di approvazione alla Camera) è previsto che per la messa in sicurezza degli edifici scolastici sia assegnato un importo non inferiore al 5 per cento delle risorse periodicamente assegnate per il finanziamento del programma delle infrastrutture strategiche. Scuole di montagna preoccupata l’UncemNascosto nelle pieghe del decreto-legge 154 dal titolo «Disposizioni urgenti per il contenimento della spesa sanitaria e in materia di regolazioni contabili con le autonomie locali» arriva un ulteriore taglio al sistema scolastico. L’intero articolo 3 è infatti dedicato alla riduzione delle istituzioni scolastiche sottodimensionate. Le regioni hanno tempo fino al 30 novembre per disegnare una mappa degli accorpamenti degli istituti con meno di 50 alunni.  Le amministrazioni che dovessero risultare inadempienti, dopo appena 15 giorni, verranno «sollevate dall’incarico». Penalizzati, a questo punto isole e comuni montani. Il ministro Gelmini ha dichiarato che «Non ci saranno la paventata chiusura di 4.000 istituti, né il taglio degli insegnanti di sostegno, né l’attacco all’autonomia degli enti locali. Sono falsità che la sinistra tenta di usare per fare disinformazione». «In tutto il territorio nazionale sono 4.200 i plessi con meno di 50 alunni. Rischiano di ritrovarsi senza scuola i bambini di tanti piccoli centri di montagna e delle piccole isole» replica Oreste Giurlani, presidente Uncem Toscana, che aggiunge: «basta con questo precariato della notizia. Il ministro si assuma la responsabilità di chiarire in maniera completa e certa la posizione rispetto ai piccoli comuni ed alle isole».