Toscana

Scuole paritarie, se chiudono è peggio per tutti

di Andrea Bernardini

Le scuole paritarie tirano la cinghia in attesa che lo Stato venda le frequenze televisive del digitale terrestre. Una gara –  che coinvolge soprattutto Sky e Mediaset – da cui il Ministero dell’Economia spera di incassare almeno 2 miliardi e 400 milioni di euro: parte di questi introiti, 245 milioni, sono stati promessi, appunto, agli istituti paritari. Arriveranno mai? Difficile dirlo. Nell’attesa, il Mef ha iscritto a bilancio nel capitolo «contributi alle scuole paritarie» appena 252milioni e 537.738 euro. Gli 8/12 (dunque 167.917.727 euro) sono stati assegnati nei giorni scorsi dal Ministero della pubblica istruzione alle direzioni scolastiche regionali e da questi dovranno essere girati alle scuole. In Toscana, ad esempio, 1.820 sezioni tra materne, primarie, secondarie di primo e secondo grado, si spartiranno 7.144.767 euro di questa prima tranche di finanziamenti. Briciole, rispetto alle loro effettive esigenze.

Dal danno alla beffa. Una curiosità: il contributo inizialmente assegnato alle paritarie con la «Legge di stabilità» era un po’ superiore: ammontava, cioè, a 281 milioni di euro. Perché, in pochi mesi, la cifra è stata  ulteriormente ridotta del 10%? Ve lo spieghiamo noi: la Finanziaria aveva previsto che se lo Stato non riuscirà entro il 30 settembre ad incassare quanto preventivato dalla vendita delle frequenze televisive del digitale terrestre, il Ministero – per far tornare i conti – dovrà tagliare da altri capitoli di spesa. Tra questi, appunto, anche il capitolo dei contributi alle scuole paritarie. Il Mef, dunque, si è, semplicemente… anticipato.

Chiuso per debiti. Negli ultimi dieci anni – ricorda Leonardo Alessi, presidente regionale della Fism (Federazione italiana scuole materne) – in Toscana hanno chiuso una ventina di istituti paritari. A Firenze, nel 2001, l’istituto Alla Querce, che negli anni Novanta ospitava materne, primaria, media, classico e scientifico. «Non ce la facevamo più ad andare avanti» ricorda il superiore dei padri barnabiti fiorentini padre Mauro Espen. Sempre nel capoluogo fiorentino hanno chiuso i battenti: l’Istituto delle suore Mantellate, 400 studenti dalla materna al liceo, la scuola dell’infanzia «Corpus Domini» di via Rucellai, la scuola dell’infanzia «Madonna della Divina Provvidenza» a Petriolo.

Nella provincia di Arezzo, una scuola secondaria di primo grado, mentre nella provincia di Pistoia, se non ci saranno sostanziali novità, chiuderanno, da qui a qualche anno due scuole primarie paritarie.

Aumento delle rette. «Un destino  – commenta Maria Grazia Colombo, presidente nazionale dell’Associazione genitori delle scuole cattoliche (Agesc) – che sarà riservato a molti altri istituti, se lo Stato non li finanzierà a sufficienza». Sì, perché i costi di gestione di una scuola sono molto alti e, per mantenere il loro carattere popolare, gli istituti paritari non possono permettersi di chiedere ai genitori rette troppo onerose. «Ad ogni aumento di retta – dice Colombo – qualche bambino si ritira, il numero degli alunni si assottiglia e il futuro stesso della scuola si fa più incerto».

Quanto investe lo Stato nella scuola. Per provare a capire quanto costa alla finanza pubblica ogni bambino che si reca in una scuola statale, ci può essere di aiuto uno studio realizzato dal Ministero dell’istruzione: la scuola in cifre del 2007. Solo il Miur investe per ogni bambino che frequenta i tre anni della scuola dell’infanzia 17.483 euro, i cinque anni della elementare 32.623 euro, i tre anni della media 21.697 euro, i due anni della secondaria di secondo grado (dunque fino all’obbligo dell’istruzione) 14.295 euro. Se il ragazzo lascia dopo 13 anni di studi, il Ministero avrà investito per la sua istruzione 86.097 euro, se lascia dopo 14 (dunque dopo il diploma di qualifica professionale) 93.244 euro, se lascia dopo sedici anni formazione (dunque dopo aver conseguito il diploma di stato quinquennale) 126.981 euro. Altri investimenti vengono dai Ministeri della Sanità, dei Trasporti, dei Beni culturali, dall’Unione Europea (per i progetti europei), dalle Regioni e dagli enti locali.

Quanto investono, invece, i genitori.  Cifre che, lette una prima volta, appaiono stratosferiche e che invece stratosferiche non lo sono: l’istruzione è il miglior investimento che lo Stato può riservare alle future generazioni. Suonano allora giuste le lamentele dei genitori quando gli istituti –  in difficoltà a far quadrare i bilanci per l’arrivo tardivo dei trasferimenti – ricorrono alle loro tasche per coprire questa o quella spesa. Rita Manzani Di Goro, presidente dell’associazione genitori (Age) della Toscana, fa i conti della serva: «Nelle scuole statali non è prevista alcuna tassa di iscrizione, fatta eccezione per le classi quarte e quinte della scuola superiore. Molte scuole tuttavia chiedono alle famiglie di contribuire alle spese con un versamento volontario che comprende la quota di assicurazione e che, su indicazione del consiglio di istituto, può variare dai 7 ai 50 euro. Per le scuole superiori l’importo richiesto è più alto, in quanto comprende le spese per il mantenimento dei laboratori, e può raggiungere i 200 euro. A questi contributi, richiesti all’atto dell’iscrizione e che sono detraibili con la denuncia dei redditi, si aggiungono spesso le quote che i genitori consegnano per consuetudine nelle mani del rappresentante di classe, per acquistare acqua minerale, sapone e scottex nella scuola dell’infanzia, libri, fotocopie e materali didattici nella scuola primaria e media. Ci sono poi le spese legate all’attività didattica, come l’acquisto di libri di narrativa, i contratti con esperti esterni e le gite scolastiche. Si tratta di costi difficilmente stimabili, ma che si attestano in genere intorno ai 50 euro, se vi è compresa la gita di un giorno, e raggiungono qualche centinaio di euro per viaggi d’istruzione di più giorni».

E se invece il ragazzo frequenta una scuola paritaria? Il contributo del Miur, fino ad oggi, era di circa 6.500 euro per 13 anni di studi, e poco di più (6.655 euro) per sedici. Mentre il contributo dei genitori oscilla, mediamente, tra le 200 e le 400 euro mensili.

Il paradosso della questione – ricostruisce Francesco Macrì, presidente nazionale della Fidae (Federazione istituti di attività educative) – è questo: per ogni bambino in più che frequenta una scuola «paritaria», lo Stato risparmia un sacco di soldi. Se dunque lo Stato decidesse di investire in modo congruo sulla «paritaria», ne beneficerebbero le sue stesse casse, perché il numero degli iscritti aumenterebbe. Invece quando le «paritarie» chiedono nuove risorse,  risponde picche, affermando che non c’è disponibilità… di cassa.

Interessante una ricerca promossa da un cartello di associazioni e realizzata da Luisa Ribolzi dell’Università di Genova e Tommaso Agasisti del Politecnico di Milano, che hanno raccolto i risultati di un sondaggio somministrato a un campione di 728 genitori di sei città italiane (Genova, Padova, Bari, Bologna, Firenze e Catania) e il cui figlio frequentava l’ultimo anno di un ciclo scolastico (infanzia, primaria, secondaria di primo grado), quasi tutti in una scuola pubblica. Ebbene, il 30% circa degli intervistati ha risposto che avrebbe voluto scegliere la scuola paritaria, se non avesse incontrato problemi/ostacoli di natura economica.

In Europa. Com’è garantita in Europa la libertà dei genitori di scegliere, per l’educazione dei loro figli, tra una scuola statale ed una paritaria? In Belgio, Francia, Irlanda ed Olanda (dati 2006) lo Stato copre il 100% del fabbisogno di cassa delle scuole non statali, in Germania il 90%, in Danimarca l’85%, in Spagna il 65%, in Austria il 50%. E in Italia? I contributi statali ricevuti oggi dalle paritarie dallo Stato soddisferebbero appena il 10% del fabbisogno (peggio di noi solo la Grecia, 5% delle necessità).

Eppure le scuole paritarie, già oggi e quasi miracolosamente, offrono un contributo significativo al sistema pubblico dell’istruzione italiana. Secondo i dati Miur, nell’anno scolastico 2007/2008 andavano a scuola 8.953.587 tra bambini e ragazzi, di cui 7.708.241 nelle scuole statali e 1.245.346 nelle scuole paritarie (pubbliche o private che fossero).

Ci sono paesi (in Toscana a Stia, ad esempio), dove, se non ci fosse una scuola paritaria, i genitori sarebbero costretti a viaggiare un bel po’ per portare i loro figli ad imparare a leggere e scrivere.

Quel «senza oneri per lo Stato» che ha fatto tanto discutere. Sulla questione dei finanziamenti statali alle scuole «paritarie» si è molto discusso, sia prima che dopo l’approvazione della legge 62 del 2000, sulla «parità». E c’è ancora chi tira fuori – a sproposito – l’articolo 33 della Costituzione italiana, che dice, tra l’altro: «La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali».

Prendendo alla lettera quel «senza oneri dello Stato» (comma 3) non ci sarebbero dubbi: lo Stato non può e non deve dare un euro alle private.

Pochi sanno, però, che il senso di quel comma fu ampiamente chiarito fin da subito dallo stesso proponente, l’onorevole Corbino, durante il dibattito alla Costituente e in risposta ad una obiezione dell’onorevole Gronchi: «Noi non diciamo che lo Stato non può intervenire mai in favore degli istituti privati, diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. È una cosa diversa: si tratta della facoltà di dare o di non dare».

I contributi statali. Già negli anni Cinquanta le scuole non statali elementari parificate erano destinatarie di contributi economici pubblici in regime di convenzione. È stata la legge 62 del 2000, approvata durante il governo D’Alema, a riconoscere le scuole paritarie di ogni ordine e grado come parte costitutiva del sistema nazionale di istruzione.  Ad esse, nell’esercizio finanziario 2001, il governo ha assegnato 425.010.000 euro (+127.516mila euro rispetto all’anno precedente).

Nel 2002, il governo Berlusconi ha ulteriormente incrementato le risorse per la paritaria, portandoli a 527.474.475 (+102.464.475 rispetto all’ultimo esercizio finanziario). Introducendo, dal 2003, a fianco dei finanziamenti diretti alle scuole paritarie, anche un bonus destinato a quei genitori che hanno iscritto i loro figli a questo tipo di istituti e che, pertanto, devono pagare una retta mensile.  Nel 2006 i finanziamenti alla scuola paritaria saliranno a 532.310.844 euro.  Il bonus per le famiglie sarà eliminato dal governo Prodi.

Nel 2010 i finanziamenti statali alle «paritarie» sono stati di circa 530milioni di euro. Per il 2011, se lo Stato incasserà i diritti per le frequenze televisive del digitale terrestre, si potrà arrivare al massimo a 526 milioni di euro. A questi devono essere sommati i contributi di regioni e comuni, che sono comunque bassi.

Sussidiarietà rovesciata. Riassume così la questione della parità scolastica  il neo presidente del forum toscano delle associazioni familiari Gianni Fini: «Gli articoli 30 e 33 della Costituzione proclamano il diritto dei genitori alla libera scelta della scuola, con garanzia di uguaglianza di trattamento equipollente a quello degli alunni delle scuole statali. La legge 62/2000 ha poi definito in modo inequivocabile il sistema pubblico d’istruzione generale, formato da scuole pubbliche statali e paritarie, ma non ha attuato, ingiustamente, il conseguente piano finanziario necessario a garantire l’uguaglianza tra gli allievi che frequentano la scuola statale e quelli delle scuole paritarie. La conseguenza è che il principio di sussidiarietà nel caso della scuola paritaria risulta rovesciato: le famiglie che liberamente la scelgono, sollevando lo Stato dagli oneri per l’istruzione dei loro figli, di fatto finanziano lo Stato stesso, consentendo un rilevante risparmio di spesa pubblica, così come è ben documentato da recenti ricerche».

Rinnovo contrattuale. Sindacati e Associazione gestori dipendenti autorità ecclesiastica (Agidae) hanno firmato, di recente, il rinnovo del contratto per i dipendenti delle istituzioni educative e scolastiche cattoliche di ogni ordine e grado per il triennio 2010-2012. Ferme invece le trattative per il rinnovo del contratto collettivo nazionale nelle scuole Fism. È stata la stessa Federazione delle materne di ispirazione cristiana – come riferisce il suo segretario nazionale  Luigi Morgano  -  molto preoccupata per il futuro dei contributi statali, a chiedere ufficialmente alle organizzazioni sindacali il rinvio dell’apertura della trattativa.

I sindacati, pur comprendendo la difficoltà del momento, si son dette contrarie a questa ipotesi, sollecitano un costruttivo confronto, e, in sua assenza, si dicono costretti a dichiarare lo stato di agitazione. Solo nelle scuole cattoliche paritarie (che rappresentano la gran fetta del numero complessivo della paritarie) gli insegnanti – secondo l’elaborazione del Centro studi sulla scuola cattolica (Cssc) su dati del Miur e riferiti all’anno scolastico 2009/2010 – sono 73.447 (di cui 5.998 destinati al «sostegno»): di questi 45.619 con contratto a tempo indeterminato, 19.539 con contratto a tempo determinato, 8.289 a titolo gratuito. 1.670, invece, gli Ata: 1.432 addetti all’amministrazione, 734 alla cucina e 1.670 alla vigilanza. In molti cominciano adesso a chiedersi quale sarà il loro destino.

Nel 2012 organici tagliati soprattutto per lingua straniera e attività di laboratorioManca poco alla chiusura dell’anno scolastico 2010/11 e già si fanno i conti con i problemi del prossimo: tagli alle cattedre, classi smembrate per mancanza di docenti, supplenze impossibili, scuole penalizzate per il tempo prolungato. Sono questi i «sintomi» della sofferenza che la scuola manifesta anche in Toscana. «Siamo di fronte a un’emergenza che chiama tutti alla responsabilità» afferma Stella Targetti, vicepresidente di Regione Toscana con delega all’Istruzione.

Per le scuole dell’infanzia è confermato il blocco dell’organico e questo vuol dire, spiega Stella Targetti, «che 156 sezioni di scuola materna restano scoperte dall’organico statale con uno scostamento fra richieste e disponibilità che ormai accade da tre anni». Negli scorsi anni era stato possibile per la Regione salvare le scuole dell’infanzia, stavolta «il contesto è davvero più grave e stiamo cercando di trovare una soluzione in giunta».

Confermato il taglio di 498 posti nella scuola elementare: nonostante la cifra importante, l’Ufficio scolastico regionale (Usr) tende a confermare tutte le sezioni a 40 ore esistenti, senza aumentare gli alunni per classe. La scuola superiore avrà 392 docenti in meno (-3,32%). Meno colpite la scuola media (-24 docenti) e la scuola materna (-3 docenti).

«Siamo preoccupati per la qualità della scuola pubblica che dovrà sopportare per il terzo anno consecutivo un taglio di risorse non indifferenti», dice Cristina Zini, segretaria generale della Cisl scuola toscana. «Tagli che vanno a ridurre gli interventi che potevano essere di potenziamento dell’attività scolastica – continua – e mettono a rischio in alcune realtà la funzionalità del servizio. A essere colpiti saranno soprattutto l’insegnamento specialistico della lingua straniera nella scuola primaria e le attività di laboratorio nella scuola secondaria superiore con un evidente impoverimento dei percorsi formativi». Le tabelle sono ancora provvisorie, ma i tagli indicati sono superiori, seppure di poco, rispetto a quanto previsto.

Quanto ai posti di sostegno (con una previsione di alunni diversamente abili che si attesta sulle 9.770 unità) l’Ufficio scolastico ha già chiesto al Ministero di incrementare il numero degli insegnanti in conformità a quanto, alla Toscana, spetterebbe se davvero fossero rispettati i parametri di organico.

C’è poi il dramma del personale ausiliario: sono più di 1.200 persone che in Toscana potrebbero ritrovarsi senza lavoro. Si tratta del personale non docente, bidelli, custodi, addetti alle pulizie, in agitazione da mesi per chiedere la proroga degli appalti.

La situazione è costantemente monitorata dalla Regione, con l’apporto dell’Usr, di tutti i sindacati della scuola e delle rappresentanze istituzionali degli enti locale della Toscana (Anci, Uncem, Upi).

L’assessore Targetti ha parole di apprezzamento per Angela Palamone, nuovo direttore dell’Ufficio scolastico regionale: «ci sentiamo in buona sintonia attorno alla necessità di affrontare, a servizio della scuola, un momento così difficile sulla base di un metodo di lavoro nuovo e condiviso».

Intanto la Regione ha stabilito il calendario del prossimo anno scolastico. In Toscana la prima campanella suonerà mercoledì 14 settembre, ma le singole scuole, per comprovate esigenze e d’intesa con gli enti locali, la potranno anticipare anche a lunedì 12. Le lezioni dovranno terminare non oltre sabato 9 giugno 2012. Il calendario scolastico può essere «adattato» da ogni istituzione scolastica, in base al proprio Pof (Piano offerta formativa), purché rispetti la durata minima di 200 giorni di lezione, stabilita a livello nazionale.

Ennio Cicali