Toscana

Se il lavoro è nero

di Ennio CicaliÈ un frammento, neanche tanto piccolo, dell’«universo lavoro» dove 8 persone su 100 sono costrette a lavorare in nero in Toscana per sbarcare il lunario. Sono alcuni dei tanti dati dell’indagine «Lavoro sommerso e lavoro regolare» curata da Alberto Baccini, presentata Unioncamere Toscana. Un’indagine basata su dati reali: l’attività ispettiva dell’Inps nelle aziende toscane. Tante tipologie caratterizzano il lavoro sommerso: dal nero per poi passare alle varie tonalità del grigio.La presenza del lavoro nero vero e proprio in Toscana ha una diffusione relativamente limitata. Vi sono prove, secondo l’indagine, di lavoro totalmente sommerso per lavoratori delle imprese di pulizia, che svolgono lavori periodici come la lucidatura di pavimenti o il lavaggio dei vetri, o dei pubblici esercizi dove il lavoro sommerso è considerato assolutamente normale per alcuni impieghi come camerieri, aiuti in cucina o servizi negli alberghi. Una presenza consistente di lavoro nero è stata rilevata nei servizi alle famiglie – colf e badanti, servizi domestici – lavori spesso svolti da stranieri tra i quali spiccano i lavoratori provenienti dalle Filippine.I lavoratori in nero hanno in comune alcune caratteristiche che l’indagine sottolinea. La forza lavoro è assai instabile, costituita per lo più da donne, giovani e immigrati che fanno registrare altissimi livelli di ricambio del personale. In alcuni casi siamo di fronte a individui espulsi dal mercato del lavoro per l’età, mancanza di qualifica adeguata all’inserimento o al reinserimento o per caratteristiche emarginanti. A fronte di una limitata diffusione del lavoro nero, notevole è la varietà e la diffusione del lavoro «grigio».Una forma di «grigio» molto diffusa, tanto frequente nel settore privato, con l’eccezione delle grandi imprese, consiste nel pagamento fuori busta del lavoro straordinario, una pratica applicata in tutti i settori, dal manifatturiero ai diversi rami del terziario. Il pagamento non regolare dello straordinario implica una corrispondente evasione degli oneri contributivi e fiscali. Una seconda forma di «grigio» diffusa in Toscana consiste, secondo l’indagine Unioncamere, nell’uso improprio del part-time, che permette all’impresa di ridurre simultaneamente il costo del lavoro e avvalersi di forza lavoro funzionalmente flessibile.

Un’ampia varietà di forme di sommersione «grigia» è rappresentata dai contratti di collaborazione coordinata e continuata – i famosi co. co. co. ormai prossimi alla scomparsa – un settore delicato poiché è molto difficile distinguere l’uso lecito dall’abuso. In Toscana l’utilizzo dei rapporti di collaborazione è ampio e crescente, in particolare nella grande e piccola distribuzione, nel terziario (laboratori di analisi mediche, studi professionali, ecc.). Più in generale, rileva l’indagine, molte delle forme contrattuali atipiche si prestano ad abusi che determinano lo sconfinamento del rapporto di lavoro nel «grigio».

Le imprese del terziario usano più lavoro nero rispetto all’artigianato e all’industria. Vari sono i fattori: la produttività del lavoro sommerso è generalmente inferiore a quella del lavoro regolare a causa della difficile integrabilità del lavoratore nel sistema produttivo. Inoltre, più dipendenti ha un’impresa meno lavoro sommerso sfrutta, fino ad azzerarsi nelle imprese con oltre i 50 addetti. Le imprese industriali e artigiane estrattive, metallurgiche, della carta, del tessile e del legno fanno meno uso del lavoro nero, circostanza dovuta all’adozione di tecnologie avanzate che richiedono personale altamente specializzato.Il lavoro nero è diffuso in maniera uniforme in Toscana. Solo Arezzo e Siena registrano tassi nettamente più bassi della media regionale, mentre a Prato aumentano i lavoratori irregolari. Il fenomeno più macroscopico di lavoro sommerso è legato alle attività di produzione di articoli in pelle delle imprese appartenenti a membri della comunità cinese, presenti soprattutto nell’area fiorentina e pratese. Una realtà estremamente complessa: il contatto con la comunità cinese presenta difficoltà specifiche anche per le istituzioni preposte al controllo.Sarà possibile eliminare, o ridurre, il lavoro nero? L’indagine, basata sui dati dell’Inps per il 2001–2002 rileva una diminuzione del sommerso, dovuta anche alla intensificazione delle ispezioni. Da tenere conto poi che il lavoratore in nero è molto meno produttivo. In definitiva, rileva Enrico Ciabatti dell’Unioncamere Toscana, può rivelarsi un boomerang per l’azienda. L’indagine, comunque, propone varie soluzioni come gli interventi per differenziare la produttività dei lavoratori regolari e di quelli sommersi. Oppure, interventi in grado di modificare la soglia di legalità socialmente accettata. Co. co. co. a rischio arriva il progettoRischiano di finire nel sommerso i co. co. co. – i collaboratori coordinati e continuativi – conosciuti anche come lavoratori parasubordinati. Una figura nata con le forme contrattuali atipiche introdotte dalla legge 196/97 il cosiddetto «pacchetto Treu» e che il decreto attuativo della riforma del mercato del lavoro abolisce.La legge prevede, infatti, per gli attuali lavoratori subordinati – poco meno di 200 mila in Toscana – l’assunzione legata a uno specifico «progetto» di cui dovranno essere precisati durata, contenuto del progetto o programma di lavoro, corrispettivo salariale. In mancanza di questi requisiti i rapporti già instaurati potranno essere considerati come «lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto».

Tutto bene dunque? Il governo parla di «stabilizzazione del rapporto di lavoro» mentre la Confindustria lancia l’allarme rigidità. Sono di tutt’altro avviso sono gli economisti della Voce.info, secondo i quali solo un quinto degli attuali co.co.co. è riconducibile, oggi, a un lavoro «a progetto». Per gli altri ci potrebbe essere un’assunzione a tempo indeterminato oppure, secondo l’articolo 86 del decreto, contenuto nelle norme transitorie e finali, il datore di lavoro ha un anno di tempo per decidere se assumere o licenziare il lavoratore. Per molti il futuro rischia di essere «nero».

I co. co. co sono molto diffusi in Toscana. Firenze è la seconda provincia in Italia, dopo Trieste, secondo uno studio della Cgia di Mestre che ha elaborato i dati Inps e Istat, per numero di collaboratori coordinati e continuativi: 60 mila 800, il 15,92 per cento della forza lavoro. Nove province toscane su dieci sono nei primi 38 posti della graduatoria nazionale per il rapporto con gli altri lavoratori. Solo Grosseto è a metà classifica con 8 mila 874 contratti, ma con una crescita altissima tra il 2001 e il 2002 seconda solo a Siena (13 mila 217 co. co co.). Pisa è, dopo Firenze, la provincia che ha il maggior numero percentuale (13,35) di contratti (21 mila 095) che la pone al nono posto della graduatoria nazionale.