Toscana
Se il massone non si dichiara
Professore, iniziamo l’analisi della legge dal primo degli articoli che si vorrebbero abrogare, l’articolo 11, che riguarda i consiglieri regionali. Si dice che sia lesivo della libertà di associazione. È vero?
«Basta leggere la disposizione per osservare come essa non vieta in nessun modo la libertà di ciascun consigliere regionale di appartenere ad una qualunque associazione. E nemmeno si impone un obbligo giuridico di comunicazione. Semplicemente si invitano i consiglieri regionali a depositare una dichiarazione illustrativa della propria appartenenza ad associazioni, precisandone la denominazione: dichiarazione che poi sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana».
E se non lo facessero?
«Questo comporta solo, in base alla legge, che il Presidente del Consiglio regionale ne dia notizia e che il consigliere regionale possa, se lo ritiene, chiarire i motivi della mancata dichiarazione. Tutto qui: non è previsto nessun tipo di sanzione se non lo fa. Quindi, ricapitolando: non si limita la libertà di associazione, non si pone un obbligo di manifestare a quali associazioni uno appartenga. C’è solo un invito che, così formulato, costituisce un bilanciamento ragionevole rispetto all’interesse alla trasparenza e alla responsabilità che ciascun consigliere si assume nel momento del voto».
Qualcuno parla addirittura di discriminazione degli aderenti alla massoneria…
«Discriminazione in relazione a cosa? L’invito a dichiarare l’appartenenza è chiesto, ovviamente, ad elezioni avvenute. Quindi, se anche qualcuno volesse ritenere che la dichiarazione sia fonte di discriminazione, questa non riguarderebbe il rapporto con il corpo elettorale che ha già espresso la propria preferenza. Ma a mio avviso non c’è pericolo di discriminazione nemmeno in relazione allo svolgimento dell’attività consiliare: non credo che queste dichiarazioni possano limitare la libertà di azione del consigliere. Se così fosse, il problema sarebbe assai più grave, e sottolineerebbe la pericolosità non della dichiarazione di appartenenza, ma della stessa appartenenza!».
E per quanto riguarda la riservatezza e la cosiddetta privacy?
«Questo è un punto già ampiamente risolto sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza. Il principio della riservatezza, quando vi sono degli incarichi pubblici soprattutto conseguenti ad elezioni, può subire una limitazione maggiore rispetto a quella applicabile ad ogni privato cittadino. Le limitazioni che può subire sono giustificate in ragione del mandato pubblico che uno riceve e delle funzioni pubbliche che esercita. Ciò significa, detto in altri termini, che la riservatezza è principio da garantire anche nei confronti di queste persone, ma in modo meno vincolante rispetto alla generalità delle persone. Nel caso specifico mi sembra che le disposizioni di cui si sta parlando costituiscano una limitazione ragionevole del diritto in questione, in funzione della necessità di garantire altri interessi, quale quello della responsabilità e della trasparenza dell’azione del consigliere».
Quindi si può concludere che non ci sia niente di vessatorio in questo articolo…
«Ciò che la legge prevede non mi pare irragionevole perché richiama il valore della responsabilità che ogni consigliere ha e da cui discende poi il valore della trasparenza, finalizzato a rendere partecipi i propri elettori circa le ragioni della propria azione. A mio avviso, l’esigenza di rendere chiaro e corretto il rapporto politico tra elettori ed eletti richiederebbe forme di rafforzamento della dichiarazione in esame, non un suo affievolimento».
Quello che si è detto finora si può estendere anche a tutti quei comuni come quello di Piombino che prevedono nello statuto e nei regolamenti una norma analoga…
«Senz’altro una norma statutaria o regolamentare dei Comuni può prevedere misure analoghe a questa senza violare nessun diritto, anzi garantendo maggiormente la trasparenza e l’efficienza dell’azione politicoamministrativa».
L’articolo 12 della legge riguarda invece i dipendenti della Regione. Qui la sanzione è prevista: nel caso che uno ometta di dichiarare la propria appartenenza è prevista la decadenza dalla nomina, ovvero il licenziamento. Che cosa ne pensa?
«Qui la disposizione ha carattere vincolante. La fattispecie presa in esame dalla norma attiene ad un rapporto di tipo fiduciario tra chi nomina e colui che è nominato: questo tipo di rapporto presuppone una conoscenza della reale situazione del soggetto che si va a nominare e quindi anche la sua eventuale indipendenza di pensiero in relazione a certe organizzazioni di cui può far parte. In definitiva, si chiede a questi soggetti un curriculum vitae che sia veritiero e non limitato all’attività professionale in senso stretto ma che coinvolga anche la dimensione della loro vita sociale. Tutto ciò è giustificato dal rapporto fiduciario, anche se nell’applicazione concreta non si può escludere che eventuali appartenenze possano dar luogo a comportamenti discriminatori da parte di chi deve operare le nomine. Ma in tal caso possono attivarsi gli strumenti di garanzia previsti dalla legge, per cui non mi pare che un uso distorto della norma possa incidere sulla sua legittimità».
Nel centrosinistra c’è chi si schiera decisamente sull’altra barricata. Secondo Gianluca Parrini (Margherita) attualmente «non c’è nessuna discriminazione nei confronti di chi è massone» e «la norma non mina in alcun modo la libertà di associazione». «Sbagliano quindi conclude il consigliere regionale Sdi e una parte dei Ds a combattere una battaglia contro questa legge». Proprio i Ds, tramite il segretario regionale Marco Filippeschi, dicono che «la Massoneria deve rispettare le regole che prescrivono le dichiarazioni di appartenenza ad ogni tipo di associazione». Ma poi, nel caso specifico di un analogo dibattito nel Comune di Piombino, il partito si è diviso votando in parte per l’abrogazione della norma statutaria, in parte contro. Per quanto riguarda il centrodestra Forza Italia ha dichiarato di essere a favore della proposta di Ciucchi mentre l’Udc ha una posizione più sfumata.
«La Massoneria, dal punto di vista religioso, spiega il capogruppo Marco Carraresi è storicamente e culturalmente inconciliabile con il cristianesimo. Ma tra le posizioni massimaliste e quelle minimaliste dobbiamo trovare una soluzione equilibrata».