Toscana

Se la stampa è «arruolata»

«Enbedded», arruolati. Questa la condizione dei reporter che seguono le truppe anglo-americane nella guerra irachena. In un articolo pubblicato sul Financial Time, autorevole giornale inglese, Mark Nicholson scrive: “Nell’ultima settimana il Segretario alla difesa statunitense Donald Rumsfeld ha usato toni evangelici parlando dell’informazione, lasciando intendere che mai nessuna guerra ha fornito un simile accesso istantaneo e diretto ai campi di battaglia”.

Continuando nel suo articolo il giornalista inglese aggiunge: “Questo è vero, grazie soprattutto ai circa settecento giornalisti ‘arruolati’ nelle forze militari nel Golfo. Ma è anche vero che pochi conflitti hanno generato una simile confusione, o così tante notizie spettacolari che dopo un giorno scompaiono nella vorticosa polvere irachena”. Nicholson ne ricorda alcune: “L’imponente colonna di mezzi corazzati iracheni, che la sera del 26 marzo erano dati in partenza da Bassora in un tentativo di contrattacco contro i commando britannici che controllavano la penisola di Fao. Il giorno dopo questa colonna si era ridotta a una ‘manciata’ di innocui veicoli iracheni fatti rapidamente fuori da aerei anglo-americani”. L’articolo del Financial Time non è gentile coi giornalisti ‘arruolati’ e continua: “Oppure la cinquantesima divisione meccanizzata dell’esercito iracheno, che presidia Bassora e che apparentemente si era arresa in massa a pochi giorni dall’inizio del conflitto, con il risultato di ottomila soldati potenziali prigionieri di guerra. Da allora, invece quella stessa divisione manda fuori dalla città carri armati e blindati e il 26 marzo è stata protagonista della più grande battaglia tra mezzi corazzati combattuta dalle forze britanniche negli ultimi cinquant’anni”.

L’evidente ‘dipendenza’ dei reporter arruolati dalle forze militari che stanno attaccando l’Iraq non sfugge al giornale inglese. “Poi c’è stata l’insurrezione di Bassora, esplosa sugli schermi televisivi come il presunto preludio a una rivolta di massa nell’Iraq meridionale. Ma per quello che si riesce a capire, da allora le strade della città sono tranquille”. Nicholson allora si domanda: “Ci sono molti altri simili scarti e inversioni ‘a U’ nel percorso informativo, tanto da sollevare l’interrogativo se la causa sia la disinformazione o la cattiva informazione”.

La domanda è di grande importanza, perché nel villaggio globale il consenso sulle politiche o sulle scelte delle politiche è in larga parte condizionato dalle informazioni che i cittadini posseggono per accordare o negare il consenso ai propri governanti. I reporter ‘embedded’, al momento dell’arruolamento, accettano un protocollo di comportamento e questo certamente ne limita le possibilità espressive. A questo proposito l’articolista sostiene: “Una causa di gran parte della confusione sull’andamento della guerra è l’eccessiva dipendenza dai giornalisti arruolati come fonte di dettagli dal campo di battaglia, quei dettagli che il comando centrale Usa (Centcom) chiama in gergo la ‘granulosità’ della battaglia”.

Nell’articolo si prende in esame un episodio: “Il caso della resa di Bassora è un caso esemplare. I primi resoconti della sua capitolazione si basavano su un generale che si era arreso, ma più tardi il generale in questione si è rivelato essere un sottufficiale che aveva mentito sul suo grado per ricevere un trattamento migliore – e si continua – altro aspetto della confusione è la nebbia della guerra propagandistica. Tra i giornalisti del ‘Centcom’ è opinione diffusa che gli informatori militari statunitensi non stiano contribuendo alla chiarezza con il loro rifiuto a fornire quella ‘granulosità’ speciale che i giornalisti desiderano più di ogni altra cosa. Il generale di brigata Vincent Brooks, che di solito conduce le conferenze stampa da quello che ha soprannominato ‘il podio della verità’, rifiuta seccamente di parlare se non in termini generici”.

Il Financial Time diventa sarcastico: “I nostri piani stanno funzionando, siamo di un giorno più vicini al raggiungimento dei nostri obiettivi – scrive il giornale inglese – è un tipico brookismo”. Il reporter inglese conclude ricordando una frase frequente del comunicatore americano: “Assistiamo a un regime sempre più disperato nelle sue azioni” e aggiunge: “Un po’ come le centinaia di giornalisti persso il comando Usa. Alcuni hanno gettato la spugna, frustrati. Il canale televisivo Abc, per esempio, ha gia richiamato a casa il suo corrispondente. Eppure il tipo in questione è uno che di manipolazioni dovrebbe intendersene: è George Stephanopoulos, ex portavoce dell’ex presidente Usa, Bill Clinton”.

Misna