Toscana

Sì alle cave, no allo scempio: Apuane, una partita infinita

Alla fine non è neppure del tutto chiaro chi abbia vinto e chi abbia perso. Il sì – votato a maggioranza dal Consiglio regionale – all’adozione del piano paesaggistico, emendato in Commissione rispetto all’impostazione originaria dell’assessore Anna Marson, ha fatto storcere il naso alle associazioni ambientaliste, a cominciare da Italia Nostra, e ha fugato i maggiori timori dell’imprenditoria del marmo e di tutto quanto ruota attorno a questo comparto, amministrazioni locali comprese. Dal canto suo il presidente Rossi, intervenendo in aula, ha parlato di «opera monumentale che inciderà nel dibattito culturale futuro, un dato che segnerà questa legislatura» e di «svolta che permette alla Toscana di evitare scempi futuri, di superare incertezze normative, arbitrio e indeterminatezza» attraverso «chiarezza e di semplificazione per la vita dei cittadini».Un nodo problematicoIl fatto che il piano riguardasse in generale il territorio regionale e non solo il destino delle Alpi Apuane è passato decisamente in secondo piano. A tenere banco infatti, nel dibattito politico-amministrativo così come sui mezzi di comunicazione, sono state unicamente le questioni legate alle cave di marmo. Che però, a ben guardare, rappresentano certamente il nodo più complesso e problematico di tutta la Toscana, soprattutto da quando le nuove tecnologie hanno moltiplicato le capacità estrattiva, con conseguenze immaginabili in materia d’impatto ambientale ma anche con un corollario di non poco conto dal punto di vista economico e occupazionale, ossia la netta diminuzione della mano d’opera necessaria a «coltivare» una cava, come si dice con un termine tecnico che rischia di far rabbrividire chi pensa che un simile verbo significhi innanzitutto far crescere qualcosa.Non solo: in tempi ancor più recenti, al tradizionale settore lapideo ornamentale – il marmo com’è stato sempre tradizionalmente inteso – si è aggiunto il business della cosiddetta «scaglia», che ormai rappresenta ben oltre la metà del materiale estratto. Marmo che non finisce ad abbellire edifici o arredamenti interni, che non serve agli artigiani e agli scultori, ma che semplicemente viene polverizzato e usato come carbonato di calcio, sbiancante naturale che ritroviamo per esempio nei tubetti di dentifricio. D’altra parte, l’istituzione del Parco Regionale delle Alpi Apuane nel 1985 e la successiva trasformazione in ente nel 1996 non è servita a favorire la nascita di reali alternative economiche, soprattutto nel settore turistico, anche se le potenzialità non sarebbero certamente mancate.Ritorno al passatoIn questo quadro, nei giorni precedenti il dibattito e il voto in Consiglio dello scorso 2 luglio, la contrapposizione che si è venuta a creare tra mondo del marmo e ambientalisti ha purtroppo riportato il calendario indietro nel tempo, agli anni ’80 e ’90, quando lo scontro tra cavatori da una parte ed escursionisti e speleologi dall’altra portò anche ad atti vandalici come la distruzione del bivacco spelelogico Lusa-Lanzoni, in prossimità della cima del Monte Corchia, in seguito alla chiusura temporanea di una vicina cava da parte della magistratura. Da una parte una petizione on-line su www.avaaz.org, giunta mentre scriviamo oltre le 90 mila firme; dall’altra una serrata di due giorni da parte delle imprese del marmo ma anche – come denunciato dalla sezione Cai di Pietrasanta – la distruzione della segnaletica verticale dei sentieri nella zona di Arni, dove sono ricomparse anche le scritte tipiche di 20 o 30 anni fa.Sul piano del dibattito in Regione, se dopo il testo licenziato all’unanimità dalla Commissione con i significativi emendamenti proposti in larga parte dal centrodestra l’assessore Marson era sembrata quasi sul punto delle dimissioni, successivamente è parsa almeno per il momento fare buon viso a cattivo gioco, parlando dopo il voto in Consiglio di «significativo progetto per il futuro della Toscana, segnale di un diverso sviluppo possibile», e affermando che «il passo indietro degli emendamenti passati in commissione è servito comunque ad approvare un punto di svolta e andare avanti con maggiore consapevolezza, cultura e regole più chiare relative alle trasformazioni del territorio». «Per quanto riguarda le cave nelle Apuane – ha affermato ancora la Marson – lungi dal bloccare tutte le attività, il piano si propone invece di farle evolvere in modo più sostenibile, sia in merito all’occupazione che alla tutela del paesaggio. Anzi, in questo caso si può dire che tutela dell’occupazione e tutela del paesaggio possono evolvere positivamente soltanto insieme». «Statico – ha concluso – non è certo il piano, ma la posizione di coloro che intendono mantenere le loro rendite di posizione senza confrontarsi con gli interessi collettivi e diffusi, e con le molteplici economie che un territorio può supportare se trattato con maggiore cura».«Mai siamo partiti dall’idea di chiudere le cave – ha precisato dal canto suo il presidente Rossi nel suo intervento in Consiglio – ma di superare quelle interne al perimetro del parco delle Apuane. Non abbiamo mai pensato di bloccare l’attività economica di estrazione del marmo, ma vogliamo introdurre regole precise e generali, quello sì, per le autorizzazioni, le procedure, con il superamento di situazioni di incertezza e mancanza di vincoli». E ha richiamato l’applicazione della legge Galasso del 1985 come «punto irreversibile» per «salvaguardare vette e creste sopra i 1200 metri», perché «lo skyline delle Apuane va tutelato». Solo che dall’85 a oggi, sopra i 1200 metri, gli stravolgimenti non sono mancati, vedi Passo della Focolaccia che di metri ne conta oltre 1600. Altro obiettivo da raggiungere previsto nel piano, ha ricordato ancora Rossi, è «che entro il 2020, almeno il 50 per cento dell’estratto sia lavorato in loco». Per la «scaglia», però, ci sarà ben poco da lavorare.La nota del ParcoSignificativa, alla vigilia del voto, è stata anche una nota pubblicata sul sito del Parco, che, dopo aver criticato le posizioni estremiste degli opposti schieramenti, ha pronosticato: «Di sicuro vincerà solo il Parco perché si è tenuto fuori dalla mischia e ha mantenuto una propria dignità. Lo ha fatto da sempre e non solo in quest’ultima fase. Il Parco vincerà perché non era e non è…. né con Atene, né con Sparta. Quando le polveri si adageranno, sarà tra i pochi rimasti in piedi ai margini del campo di battaglia. Il Parco vincerà perché è già pronto per il prossimo e più importante match, quello che si giocherà sul Piano estrattivo delle Alpi Apuane. La cronaca di questi giorni insegna a tutti che c’è bisogno di un vero arbitro, perché di giudici alla Moreno ne abbiamo visti fin troppi, anche fuori dai campi di calcio». Per restare in termini calcistici, dunque, si può forse dire che per ora la partita è finita in pareggio. I tempi supplementari arriveranno dopo l’estate, perché tecnicamente, con il voto del 2 luglio, il piano è stato appunto «adottato» e ora sono previsti 60 giorni di tempo per le osservazioni prima che torni in aula per l’approvazione definitiva. Chissà che l’estensore della nota del Parco non finisca per avere una qualche ragione. Certo che finora non è parso dei più cristallini il comportamento del suo presidente, Alberto Putamorsi, che alla sua promessa di dimezzare l’escavazione del marmo nel Parco entro quattro anni, avanzata nel gennaio 2013 al momento del suo insediamento, dopo neppure un anno e mezzo si è fatto notare per essere stato tra i primi ad opporsi duramente all’impianto originario del piano.Coltivare la qualitàL’impressione comunque è che per il risultato finale non bastino nemmeno i tempi supplementari. Serviranno i rigori, prevedibilmente a oltranza. Ma intanto è un bene che le Apuane siano tornate sotto i riflettori, dopo anni di escavazione selvaggia da un lato e di sostanziale atteggiamento pilatesco della politica dall’altro, con stralci, rinvii e annacquamenti di tutto ciò che riguardava le cave. Che non devono assolutamente chiudere, per carità, devono solo essere governate e tornare a essere quelle di un tempo, non certo per la durezza del lavoro ma per una loro filosofia di fondo, impostata sulla qualità del materiale estratto e sulla possibilità, appunto, di una filiera locale che faccia tornare a crescere il numero degli occupati del settore.

Il business del carbonato, che distrugge molto e arricchisce pochi, dovrà invece andare progressivamente a scomparire, passando magari per lo sfruttamento e quindi la bonifica dei cosiddetti ravaneti, le colate bianche formati da scarti dell’estrazione che rivestono come neve i fianchi di molte montagne. «Coltivare» dunque solo la qualità e dare lavoro, anche promuovendo (finalmente!) alternative occupazionali grazie soprattutto a un Parco degno davvero di questo nome. Il resto, con tutto il rispetto, è scempio.