Toscana

Si scrive DICO si legge PACS

di Umberto Santarelli

Son tante le cose che si son dette scritte vociate e fors’anche pensate sul disegno di legge in materia di «diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi». Intervenendo in punta di piedi nella disputa, cerchiamo di far meno rumore che sia possibile e di mettere insieme non più che un elenco di argomenti sui quali potrebb’essere opportuno ragionare ancora, ma pacatamente.

Prima di tutto sembra indispensabile fare due constatazioni, non del tutto irrilevanti ma che sono state tranquillamente dimenticate quasi da tutti. La prima è che per ora siamo appena agl’inizî d’una lunga strada che alla fine porterà (se e quando porterà) all’approvazione d’una legge su questa materia; la quale potrebbe anche non somigliare affatto al disegno che è stato approvato dal Governo e che tutti invece hanno commentato come se si trattasse d’una legge già pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Intendiamoci; questo progetto resta sempre un atto politico particolarmente rilevante: non soltanto per l’autorevolezza del collegio che lo ha fatto suo, ma anche per l’effetto (che necessariamente avrà) d’imporre al Parlamento la discussione d’una materia così rilevante.

Questa volta c’è anche un’altra ragione che rende in certo modo straordinaria questa deliberazione governativa. Ed è che un disegno di legge che propone di apportare mutamenti di grandissimo rilievo nell’ordinamento giuridico italiano, è stato approvato dal Governo malgrado il dissenso, solennemente e ripetutamente dichiarato, del Ministro della Giustizia. Non c’è bisogno d’esser un costituzionalista per accorgersi che la cosa è abbastanza fuori dell’ordinario ed esigerebbe una valutazione non frettolosa né evasiva. La seconda constatazione, sulla quale parrebbe perlomeno imprudente sorvolare, è che la lunga strada che resta ancora da fare perché questo disegno governativo diventi legge, spetta tutta e solamente al Parlamento; il quale dovrà procedervi usando sovranamente e fino in fondo i suoi poteri sovrani. Invece qualche voce (anche di personaggi, formalmente almeno, autorevoli) s’è già levata per chiedere che la Camera e il Senato non rimettano in discussione il risultato così faticosamente raggiunto e si limitino perciò a una presa d’atto di quanto è già stato deliberato dal Governo. C’è invece da sperare che una discussione parlamentare vera e profonda ci sia, nella quale gli argomenti vengano dibattuti senza nulla metter tra parentesi: in altri termini, auguriamoci che una riforma così incisiva, se si riterrà di doverla fare, sia deliberata a occhi ben aperti e senza riservatezze inutili: tutti i cittadini dovranno sapere chi e perché ha voluto quel che sarà stato deliberato. E veniamo alla sostanza del progetto. È stato detto che questa vuol essere una «battaglia di libertà». Vero o no che questo sia, non si può mai dimenticare che ogni società civile ha i suoi valori, alla stregua e per l’affermazione dei quali essa costruisce il proprio sistema di regole. Un maestro della scienza giuridica italiana del Novecento, Riccardo Orestano, scrisse un giorno che «senza farina non si fa pane, senza uva non si fa vino, senza valori non si fa diritto ». I valori della società civile, naturalmente, sono soggetti ai mutamenti che la storia via via produce; ma non sarà mai possibile sostituire a valori oggettivi una tutela assoluta e indiscriminata di qualunque volontà privata indipendentemente dal suo contenuto: la differenza tra libertà e licenza, insomma, è destinata a restare anche se possono mutare i criterî di valutazione. Il principio che questo disegno di legge vuol affermare si trova scritto all’art. 1: «Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela […] affinità […] adozione, affiliazione, tutela […] sono titolari dei diritti, dei doveri e delle facoltà stabiliti dalla presente legge ». Perché questo accada è sufficiente che le due persone, insieme o separatamente, dichiarino questo loro stato all’anagrafe del Comune dove risiedono. Se la dichiarazione sarà stata fatta separatamente, le due persone se lo dovranno comunicare per lettera raccomandata. Non mancano norme destinate ad evitare un uso fraudolento di questa possibilità. Gli effetti di questa formalizzazione della convivenza (una formalizzazione che appare ridotta all’indispensabile, forse per non lasciar posto a ritualismi che imitassero una parvenza di quella cerimonia nuziale che gl’interessati non hanno mai voluto) riguardano la possibilità dei due conviventi di assistersi l’un l’altro in caso di degenza ospedaliera; la facoltà di delegarsi reciprocamente i poteri per quanto attiene alle «decisioni in materia di salute e per il caso di morteconto della convivenza […] ai fini dell’assegnazione di alloggi di edilizia popolare o residenziale pubblicaagevolazioni e tutele in materia di lavoro » (dove è particolarmente evidente l’intenzione di parificare il convivente al coniuge); la dichiarata intenzione di prevedere, nell’imminente riforma del sistema pensionistico, una tutela specifica del convivente superstite; i diritti alla succesione del convivente defunto dopo almeno nove anni di convivenza (e qui, a tacer d’altro, il progetto non affronta neppure il problema -gravissimo- della possibile compresenza del convivente e del coniuge del defunto quando non sia stata pronunziata sentenza definitiva di divorzio); infine l’obbligo di prestare gli alimenti al convivente che versi in stato di necessità anche dopo la cessazione della convivenza. Non è di certo questa la sede adatta per ragionare diffusamente dei singoli contenuti di questo disegno di legge: ci penseranno gli specialisti, se e quando ci sarà stata l’approvazione del Parlamento e la promulgazione del Capo dello Stato. Una cosa, però, si può constatare fin da ora: molti di questi effetti legali che si vorrebbero far derivare da una convivenza formalmente dichiarata potrebbero già fin da ora esser prodotti, o con la redazione d’un testamento, o con la stipulazione d’un contratto (sol che si potesse riconoscere il contenuto d’un simile contratto come diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento dello Stato). Se a questa possibilità nessuno ha voluto pensare, una ragione ci dev’essere: o s’è ritenuto che queste innovazioni tendono a realizzare interessi che oggettivamente contraddicono ai principî generali del vigente ordinamento dello Stato (che devono perciò esser legislativamente variati); ovvero il progetto mira, non tanto a definire e regolare diritti ed obblighi patrimoniali ritenuti meritevoli d’un’esplicita disciplina, quanto piuttosto a proclamare solennemente una nuova forma di convivenza diversa dalla famiglia. In quest’ultimo caso, però, ci sarebbe da chiedersi se per fare un’operazione di questa portata possa bastare una semplice riforma della legislazione ordinaria o non sia necessario piuttosto procedere a una revisione costituzionale. La scheda Si intitola «Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi» il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri giovedì 8 febbraio e che verrà presentato al Senato. Il testo, composto da 14 articoli, è stato predisposto dal ministro per la famiglia Rosy Bindi e da quello delle pari opportunità Barbara Pollastrini, ma dietro la loro «mediazione politica» c’è il lavoro di due giuristi, entrambi cattolici (uno ha avuto anche responsabilità nella Fuci): Stefano Ceccanti, docente di diritto costituzionale all’Università La Sapienza di Roma, e Renato Balduzzi, anche lui docente di diritto costituzionale a Genova. Caposaldo del disegno di legge è l’articolo 1 dove si definisce a chi si applichi la nuova normativa. Eccone il testo integrale: «Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela in linea retta entro il secondo grado, affinità in linea retta entro il secondo grado, adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno, sono titolari dei diritti, dei doveri e delle facoltà stabiliti dalla presente legge». Se rimarrà questo il testo le norme non si potranno perciò applicare a parenti e affini in linea retta entro il secondo grado, come, ad esempio, un nonno e un nipote. (N.B.: il testo definitivo è stato modificato così: “…non legate da vincoli di matrimonio, parentela in linea retta entro il primo grado, affinità in linea retta entro il secondo grado, adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno…”; adesso è dunque possile un Dico tra nonna e nipote, ad esempio). 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