Toscana

Sinagoghe e moschee, in preghiera contro il terrorismo

Dalla Sinagoga di FirenzeMonsignor Maniago: le lacrime non hanno religionedi Rebecca RomoliUno «shabbath» uguale a quello degli altri sabati: i fedeli che si mettono in coda per entrare nella sinagoga e iniziare la preghiera; la macchina della polizia davanti al cancello principale. Ma sabato 22 novembre, in via Farini a Firenze, c’era qualcosa di diverso. Di fronte a quel cancello non c’erano solo ebrei, ma anche cattolici e musulmani: insieme contro il terrorismo.

Molte persone che forse avevano ascoltato l’appello lanciato da Gad Lerner e Dino Boffo e ripreso anche dal presidente della Giunta regionale, Claudio Martini, che aveva invitato tutti i toscani, a recarsi sabato mattina alle sinagoghe di Firenze, Pisa, Siena e Livorno per portare la solidarietà alla comunità ebraica dopo i terribili fatti di Istanbul.

Un giorno di preghiera come molti altri che è stato interrotto per rendere omaggio alla vittime del terrorismo per ribadire con ancora più forza di quanto non è stato fatto finora, che la strada delle bombe, dell’odio e della violenza non condurrà a niente se non a piangere altri morti innocenti.

«Sono venuto qui – commenta Mahmoud Salem Elsheikh, musulmano – a testimoniare la mia solidarietà all’amico rabbino. Nel libro del Corano i musulmani sono chiamati a combattere a difesa dei luoghi di culto, siano essi sinagoghe o moschee, e personalmente sono promotore di incontri interreligiosi che trovo fondamentali per costruire la pace e il rispetto di tutte le culture».

«Le lacrime, in questo caso non hanno religione. È in questi momenti difficili, di grande sconforto, di paura e di stristezza che – spiega monsignor Claudio Maniago, vescovo ausiliare di Firenze – bisogna appellarci a valori più alti, a quegli stessi valori che hanno dato vita alla nostra civiltà e soprattutto dobbiamo invocare l’unico Dio e pregarlo di darci forza e speranza in un futuro migliore».Insieme a Martini, si sono recati in sinagoga il sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, e il presidente della Provincia, Michele Gesualdi, e con loro numerosi esponenti politici dei vari schieramenti.

Rivolgendosi a tutti i presenti, il rabbino capo Joseph Levi ha detto che «il momento che stiamo vivendo è particolare. Non so se nel pubblico ci siano dei musulmani, ma lo spero perché è importante capire che Dio e Abramo sono gli elementi fondamentali che uniscono le nostre culture e attraverso le quali dobbiamo continuare a costruire la pace nel mondo».

«Questo giorno è importante – spiega Dario Bedarida, vice presidente della comunità ebraica – perché si vede che la comunità è aperta a tutti, perché questa è una casa di preghiera, di incontro e di riunione. Per vivere insieme la parola chiave non è tolleranza, ma integrazione e lo scopo di questi attentati è stato proprio quello di dividere la comunità ebraica dal resto della città, aumentare la paura e la tensione. Ma la risposta della città è stata chiara».

Alla celebrazione hanno partecipato anche alcuni aderenti al Firenze Social Forum che hanno consegnato alla comunità ebraica una lettera, nella quale esprimevano dolore per l’attentato di Istanbul e per tutte le guerre e i morti provocati senza distinzione di nazionalità o di credo religioso.

Dalla Sinagoga di SienaGiuseppe Lattes: solidarietà inaspettatadi Cecilia MoriLa vita di ciascuno di noi si orienta e trova un senso grazie ai valori che ne sono il fondamento. La civiltà autentica del popolo, che è l’umanità, si manifesta nell’impegno che mette per realizzare tali valori positivi. In merito a questo, tutte le grandi religioni del mondo sottolineano l’importanza di principi universali, che danno senso all’esistenza: la spiritualità, la preghiera, il rispetto per la vita propria e altrui, quindi la pace. E proprio di pace, ora che se ne profila l’assenza, abbiamo parlato con Giuseppe Lattes, capo della comunità ebraica di Siena.

Professor Lattes, come vive la comunità ebraica senese questa serie di violenze perpetrate verso altre comunità?

«Dopo gli attacchi terroristici alle sinagoghe di Istanbul abbiamo avuto da parte della cittadinanza una grande manifestazione di solidarietà che non ci aspettavamo. Veramente i senesi si sono stretti intorno alla nostra comunità che, inutile a dirsi, è rimasta molto scossa».

La richiesta di Gad Lerner e di Dino Boffo e poi, qui in Toscana, del presidente della Regione, Claudio Martini, di recarsi sabato nelle sinagoghe com’è stata accolta?

«Come ogni shabbath ci siamo riuniti nel tempio per la funzione religiosa, abbiamo letto un brano tratto dal Pentateuco e uno dai Profeti, e abbiamo ricordato i caduti di Istanbul, augurandoci che questa linea trasversale di terrore finisca. Per noi ebrei, non importa la nazione di provenienza – turchi, americani, tedeschi, italiani… – ciò che ci unisce è la religione, è la fede in Jahvé. Abramo è il padre delle genti, infatti, in ebraico, il nome significa padre di molte nazioni».

A Siena si è parlato di pace anche il 6 novembre scorso…

«Quel 6 novembre di 60 anni fa, era il 1943, 14 ebrei della comunità senese furono deportati e uccisi nei campi di sterminio, tra loro c’era anche un ragazzo di tredici anni… A distanza di molti anni la città di Siena ha voluto commemorare quanti sono morti a causa dell’odio, perché quello che è successo non si ripeta più. Quel ragazzo era Ferruccio Valech ed era in classe con mio padre. Vede, se vogliamo davvero la pace, dobbiamo impegnarci tutti, con la testimonianza e la preghiera in primo luogo, perché le persecuzioni di ieri, come quelle di oggi, cessino definitivamente».

Dalla Sinagoga di LivornoQuell’antica amicizia tra ebrei e cattolicidi Chiara DomeniciLivorno si è stretta intorno ai più di 700 ebrei che vivono nelle sue strade e sabato, giorno dello shabbath, decine di persone: cattolici, valdesi, praticanti e non, esponenti politici e gente comune, si sono recate alla sinagoga labronica. È stato un lungo gesto di solidarietà, che si è protratto per tutta la mattina. Anche ai non ebrei veniva offerto il kippah, il tradizionale copricapo da indossare per assistere alla celebrazione; donne e uomini venivano accompagnati nei settori riservati e chiunque era accolto con calore. In questa giornata di solidarietà dopo i recenti attentati, Livorno ha fatto memoria dell’amicizia che lega gli ebrei ed i cristiani della città da tempo immemorabile.

Anche il vescovo Diego Coletti si è recato al tempio per portare il suo messaggio di solidarietà. «Questa visita ci ha fatto molto piacere – afferma il dottor Funaro – sentiamo che la città ci è vicina. Sono venuti frati, preti, suore, cattolici praticanti, gruppi di altre religioni… il sindaco è venuto nel pomeriggio: forse ci aspettavamo qualche esponente delle istituzioni in più, ma è lo stesso, ci basta!». «Il nostro è stato un gesto di amicizia – sottolinea frà Fabrizio Civili, parroco della Santissima Trinità – in questo momento triste per il loro popolo, ma in generale per tutti gli uomini». In merito ai fatti di Istanbul parla il dottor Guastalla, responsabile dei beni culturali della comunità: «Siamo rimasti molto colpiti dagli attentati in Turchia, quella è una comunità sefardita come la nostra e avevamo continui scambi con loro. Anche noi abbiamo paura, ma non possiamo farci prendere dal panico e smettere di essere ebrei, sarebbe proprio come fare il gioco dei terroristi. Siamo fiduciosi nelle forze dell’ordine e collaboriamo con loro perché la nostra comunità, ma anche la città intera, siano al sicuro. Qualsiasi attentato è una minaccia per tutti: ebrei e non ebrei, livornesi e non». Tra pochi giorni la comunità ebraica labronica vivrà un altro momento importante. L’anziano rabbino capo Isidoro Kahn lascerà il suo incarico al più giovane Leone Kahlon, originario del Libano.

Dalla Sinagoga di PisaUn invito valido per tutte le settimanedi Francesca ScarpelliniSinagoga aperta a tutti anche a Pisa, sabato scorso, in risposta all’invito di partecipare alla preghiera del sabato come solidarietà al popolo ebraico dopo gli attentati in Turchia. Una preghiera molto sentita, cantata in lingua ebraica, da Valerio Di Porto, che ha poi letto dal libro del Pentaeuco (in italiano) i brani riguardanti la morte di Sara, moglie di Abramo e la ricerca di una moglie per il figlio Isacco, che sarà Rebecca. E ancora, dal Libro dei Re il brano su Davide. Dopo la preghiera, i presenti hanno partecipato alla benedizione del vino, che è simbolo di vita. «Il vino – ha spiegato il professor Di Porto – ricorda la creazione del mondo e l’uscita dall’Egitto, cioè la libertà».

Ma come vivono questo momento i cittadini pisani di fede ebraica?

«Gli ebrei a Pisa – risponde Di Porto – sono solo un centinaio: una delle comunità più piccole della Toscana. Siamo molto preoccupati per l’evolversi della situazione mondiale, per il ritorno, un po’ ovunque, ad un violento antisemitismo, e soprattutto per la violenza cieca dei kamikaze. Vediamo una situazione pesante anche in Italia, forse un po’ meglio a Pisa. Siamo ben integrati, cittadini italiani a titolo pieno, con il nostro lavoro e le nostre famiglie, e viviamo con orgoglio la nostra identità».

Alla sinagoga di Pisa, che ha sede in via Palestro 24, in un palazzo preso in affitto dalla famiglia Serravallini nel 1595 (poi acquistato nel 1647), si sono recati molti fedeli di altre religioni, hanno bevuto il vino benedetto insieme in segno di pace (tolleranza), e, incuriositi, hanno rivolto molte domande al professor Di Porto che, soddisfatto per la risposta pisana all’iniziativa «sinagoghe aperte», ha a sua volta invitato i pisani ad andare in sinagoga tutti i sabati: «La sala del culto è aperta a tutti, anche ai non credenti. A Pisa si trova anche un cimitero monumentale ebraico, vicino Piazza dei Miracoli. Invitiamo a visitarlo, e a partecipare alla giornata europea della cultura ebraica che ogni anno viene fatta anche a Pisa. Solo con la partecipazione e la conoscenza può iniziare una nuova convivenza».

Dalla Moschea di FirenzeCristiani e musulmani per il RamadanVenerdì 21, il giorno precedente alle visite di solidarietà nelle sinagoghe ebraiche, si è svolto a Firenze un incontro tra cristiani e musulmani nella sede della Comunità islamica in via Ghibellina. L’occasione, che conferma un’iniziativa avviata da alcuni anni, è stata offerta dall’ultimo venerdì del mese di Ramadan. All’incontro, condotto dal dottor Mohamed Bamooshmoosh, oltre al presidente Izzedin Elzir, era presente un imam dell’Egitto, Salah Hari, e una folta rappresentanza della comunità musulmana di Firenze.

Da parte cristiana sono intervenuti Massimo Toschi, in rappresentanza della Regione Toscana, la pastora Gianna Sciclone della Chiesa Valdese, il pastore Mario Affuso della Chiesa apostolica in Italia, don Gilbert Shahzad che ha portato il saluto del cardinale Ennio Antonelli, don Giulio Brunella, alcuni rappresentanti della Commissione diocesana per l’ecumenismo e il dialogo, Manuela Paggi Sadun, presidente dell’Amicizia ebraico-cristiana, Lucio Geronazzo del Centro internazionale studenti Giorgio La Pira, Giulio Conticelli della Fondazione La Pira, il dottor Martinucci dell’Ospedale Meyer, rappresentanti del Movimento dei Focolari e della Comunità di Sant’Egidio.

Nei vari interventi, improntati al dialogo, è stata sottolineata l’importanza di prendere posizioni comuni contro il terrorismo e per la pace, muovendo senza superficialità dall’analisi della realtà sociale internazionale, nella comune aspirazione alla fraternità universale (tutti figli di un solo Padre Celeste).

In occasione della fine del Ramadan, anche dal Vaticano è partito l’ormai tradizionale messaggio di amicizia a firma di monsignor Michael L. Fitzgerald, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, che ha ricordato i 40 anni della Pacem in Terris, ribadendo che l’edificio della pace poggia su quattro pilastri: verità, giustizia, amore e libertà. «A questi quattro pilastri sarei incline – scrive Fitzgerald – ad aggiungerne un quinto, la preghiera» e «il mese di Ramadan non è solo tempo di digiuno, ma anche un periodo di intensa preghiera».

In chiave di dialogo si annuncia anche il convegno internazionale sull’arte sacra in programma questo fine settimana a Peccioli e che propone lo studio delle icone russe per creare un dialogo tra cristianesimo e mondo islamico. «Attraverso le tappe più significative della storia e dell’arte russa, cercheremo di riflettere sulI’Islam – spiega Arnaldo Nesti, direttore del Museo delle Icone russe del comune della Valdera –: un concetto che assume significati diversi attraverso i secoli, relativamenente alle etnie e ai paesi con cui diventa tutt’uno. Studiare l’Islam è un modo per comprenderlo e per conoscerlo».

Uscire dal tunnel del terrore. Parlano gli esperti

Il terrorismo non vincerà, ma può non perdere