Toscana

Solidarietà, nasce un coordinamento regionale

di Francesco PalettiIl culto idolatrico di Baal come «il mito dell’individualismo, il dogma fondamentale del massimo profitto, il principio della relatività delle persone ad un benessere limitato a pochi». La reazione pubblica del profeta Elia all’idolatria come «modalità con cui il tema religioso assume un’articolazione politica».Da una parte la Bibbia, nello specifico il primo libro dei Re, dall’altra la contemporaneità, «con tutte le sue storture ed enormi contraddizioni»: in mezzo la Caritas, l’impegno di chi, «in un’epoca d’individualismo pervasivo», sceglie la solidarietà, mettendosi accanto a chi vive ai margini.

La relazione introduttiva di don Andrea Bigalli, vicedirettore della Caritas di Firenze, che ha aperto il primo convegno delle Caritas della Toscana, è un parallelo continuo fra sacre scritture e vita quotidiana. «Perché – ha detto il sacerdote – l’esperienza delle Caritas è il trait d’union fra la quotidianità e la teologia e deve, continuamente, offrire a quest’ultima materiale da elaborare».

Ad ascoltarlo, nei locali del seminario diocesano di Massa Marittima, un’ottantina di persone: direttori, operatori e volontari delle diciassette Caritas della Toscana.L’obiettivo della giornata di lavoro, è chiaro fin dal titolo:«Tra emergenza e quotidianità, al servizio di Dio, al servizio dell’uomo». Don Bigalli parte dalla reazione del profeta Elia «alla penetrazione in Israele del culto idolatrico di Baal» che, immediatamente, «diviene l’opporsi all’instaurarsi di un nuovo diritto di proprietà, contraddistinto da un potere monarchico assolutista». Per mettere in evidenza come, davanti a fenomeni di palese ingiustizia «la religione, proprio nelle sacre scritture, assume una connotazione marcatamente politica». Il che «non significa schierarsi con questo o quel partito, ma soltanto essere fedeli alla profezia della Bibbia: d’altronde quando si annuncia pace e giustizia non si può non fare politica».Poi la sottolineatura: «Non possiamo definirci cristiani se non riusciamo a fare un’esegesi della sofferenza, ad interpretarla alla luce del Vangelo». Di nuovo il rimando è al libro dei Re, quando Dio si palesa a Elia come «voce di un silenzio sottile», «si manifesta, cioè, non con gesti eclatanti, ma con segni deboli». E «i poveri non sono forse uno di questi segni ? – s’interroga il sacerdote –. Sempre di più i fenomeni di esclusione sociale sono provocati dal mancato accesso alle risorse e alle opportunità necessarie per una vita dignitosa». Da qui la conclusione: «La profezia dei cristiani e, nello specifico, della Caritas, sta proprio nella capacità di lettura del mondo secondo un’intelligenza altra, che ci è possibile nella fede come dono a tutta l’umanità».Parole che hanno riecheggiato l’intervento introduttivo di monsignor Franco Agostinelli, vescovo delegato della Cet alla pastorale della carità: «È necessario dare un supplemento d’anima al nostro impegno perché non sia un semplice fare: noi non siamo né assistenti sociali, né filantropi». Perché il mandato affidato alla Caritas è chiaro: «La massima attenzione a tutti i poveri che incontriamo lungo la nostra strada. Ma anche alla comunità cristiana che deve essere educata: non dobbiamo dimenticare uno dei nostri compiti principali, quello di essere animatori della carità nelle nostre diocesi».

Nei gruppi di lavoro il passaggio dalle enunciazioni di principio alla concretezza del quotidiano. «La novità – ha detto il delegato don Renzo Chesi – è la nascita di un coordinamento regionale per quanto riguarda gl’interventi di solidarietà internazionale, che va ad affiancarsi a quelli già costituiti». Fra le indicazioni operative, invece, «emerge la necessità di spostare un po’ l’ago della bilancia dal fare all’educare per quanto riguarda le Caritas parrocchiali, di proseguire sulla strada della collaborazione con i servizi pubblici e del privato sociale per quel che concerne i centri d’ascolto e di dare maggiore visibilità, anche ecclesiale, alle esperienze del nuovo servizio civile nazionale».