Toscana

Speciale 30° Georgofili: alla fine lo Stato ha vinto grazie anche agli errori compiuti dai boss più feroci

«Che cosa è la mafia? Che cos’è? Una marca di formaggio?». Così rispose il boss Gerlando Alberti, braccio destro di Pippo Calò, morto in carcere nel 2012 dove stava scontando uno dei tanti ergastoli che gli erano stati inflitti, rispondendo alla domanda di un poliziotto che lo aveva appena arrestato. Chiaro che la mafia, soprattutto in quegli anni e negli anni successivi, quando il comando di quella struttura granitica che era Cosa nostra fu conquistato dallo spietatissimo Totò Riina, mandante ed esecutore di centinaia e centinaia di omicidi e delle stragi del ‘92 dove furono uccisi i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme agli uomini delle loro scorte, non era una «marca di formaggio». Ma forse lo sta diventando e questo «grazie» proprio a Totò Riina (anche lui morto in carcere) e al suo «figlioccio» Matteo Messina Denaro, arrestato nei mesi scorsi dopo 30 anni di dorata latitanza nel suo paese, Campobello di Mazara, dove viveva indisturbato, nonostante la presenza di carabinieri, poliziotti, vigili urbani, guardie forestali etc etc.

Sono stati proprio loro due (Riina e Matteo Messina Denaro) che hanno contribuito alla «degenerazione» e forse della fine della mafia e di Cosa nostra di una volta. Il primo perché così spietato e sanguinario che decimò la potente mafia dei palermitani, quella dei Bontade, degli Inzerillo traditi e uccisi dai loro fedelissimi che erano stati costretti a sottomettersi con varie tragedie e carneficine alla sua volontà e al suo comando: Totò Riina per raggiungere il potere non esitò a uccidere anche familiari, compresi donne e bambini, di mafiosi e pentiti che non volevano sottomettersi al suo potere criminale. Il secondo, Matteo Messina Denaro, il cui comportamento criminale e anche personale e «morale» ha sconcertato non soltanto i vecchi mafiosi ma anche i giovani «aspiranti» che ormai si possono contare sulle dita di una mano. Insomma la mafia ormai è quasi un ricordo anche se continua ancora a esistere, soprattutto nelle borgate periferiche e nei paesi di molte province siciliane. Ma non sono stati soltanto i «comportamenti» di Riina e Matteo Messina Denaro a far perdere prestigio e autorità alla Mafia ma, soprattutto, l’intervento sia pure tardivo dello Stato, delle forze dell’ordine e della magistratura, che soltanto dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, dove furono uccisi Falcone e Borsellino, e dopo quelle di via dei Georgofili a Firenze, il mancato attentato allo Stadio Olimpico di Roma e quello, per fortuna anch’esso fallito, a Maurizio Costanzo, hanno dato finalmente il via libera alla caccia dei grandi latitanti di Cosa nostra, Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca (l’uomo che ha strangolato e sciolto nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo e che poi si è «pentito»), che furono ricercati e arrestati insieme a tanti altri.

Ecco sono stati questi elementi, la spietatezza di Riina, il comportamento di Matteo Messina Denaro e finalmente l’intervento dello Stato, che hanno di fatto disintegrato l’organizzazione mafiosa che ormai è allo sbando e che difficilmente potrà ritornare a essere una grande organizzazione criminale che ormai, da tempo, è stata sostituita dalla silenziosa e «raffinata» ndrangheta calabrese che da anni gestisce il grande business della cocaina a livello mondiale.

Ma torniamo ai giorni nostri all’arresto dell’ultimo «grande» latitante di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro. Era davvero un boss, un capo mafia e soprattutto, un «uomo d’onore»? Negli ambienti mafiosi, soprattutto dopo l’arresto di Totò Riina, Matteo Messina Denaro non è stato mai riconosciuto come capo della mafia ed erede di Totò Riina. Radio carcere rivela un’altra storia. I vecchi boss che da anni vivono in regime di 41 bis (il carcere duro riservato ai mafiosi), Pippo Calò, Leoluca Bagarella, Pietro Aglieri, e anche i «giovani» fratelli Graviano, e lo stesso capo dei capi di Cosa nostra, il defunto Totò Riina, non hanno mai avuto troppo stima nei confronti di Matteo Messina Denaro, figlio di un vero boss, Francesco Messina Denaro, che si è fatto trovare morto dopo lunghissimi anni di latitanza proprio nelle campagne di Castelvetrano, che confina con Campobello di Mazara dove negli ultimi anni ha vissuto e dove è stato arrestato Matteo che viveva indisturbato e «protetto» da due donne, Laura Bonafede (maestra) moglie di un ergastolano, Salvatore Gentile, in carcere perché ha eseguito omicidi per nome e per conto di Matteo Messina Denaro, e Lorena Lanceri moglie di Emanuele Bonafede, cugino di Laura. Amiche ed amanti di Matteo Messina Denaro che ha rivelato con queste due storie amorose che non è e non è stato un vero e proprio «uomo d’onore». Che uomo d’onore è (si chiedono molti veri mafiosi) chi «tradisce» un killer al suo servizio, Salvatore Gentile, marito di Laura Bonafede, che sta scontando l’ergastolo per colpa sua, e diventa l’amante di sua moglie? Chissà cosa avrebbero fatto «don» Leonardo Bonafede (padre di Laura) che era stato capo mandamento di Campobello di Mazara morto in carcere a 88 anni e, soprattutto il padre di Matteo Messina Denaro, Francesco, vedendo che il loro rampollo ha violato tutte le regole di Cosa nostra diventando amante di Laura Bonafede? Non è difficile da immaginare. Per molto meno boss mafiosi hanno addirittura ucciso le loro figlie e figli e sorelle, perché avevano «trasgredito» le regole «d’onore» e avevano tradito i loro mariti o le loro mogli.

Regole di una volta ormai tramontate da anni, che però si credeva che Matteo Messina Denaro avesse incarnato durante la sua latitanza. L’arresto però ha rivelato un’altra realtà. Matteo Messina Denaro ha «trasgredito» le principali regole di Cosa nostra e se le «buonanime» Leonardo Bonafede e Francesco Messina Denaro (padre di Matteo) fossero ancora in vita, Matteo Messina Denaro non avrebbe avuto vita facile. Insomma Messina Denaro ha contribuito, con il suo comportamento, a distruggere il mito di Cosa nostra. E questo è un buon segnale, soprattutto per alcuni giovani «innamorati» di Cosa nostra e del «mito» di Matteo Messina Denaro che, leggendo dopo il suo arresto le cronache delle sue relazioni pericolose, stanno riflettendo su cosa è la mafia oggi e chi era davvero Matteo Messina Denaro. Un boss che, anche per colpa di noi giornalisti e investigatori, è stato sicuramente sopravvalutato. Un boss che con i suoi comportamenti, per fortuna, ha svelato il vero volto della nuova Cosa nostra, che non è più quella di una volta, che non è mai stata un’organizzazione di beneficenza ma un’organizzazione crudele e vile che ha provocato migliaia di morti e intere stragi. Però vi sareste mai immaginato che uno come Totò Riina o Bernardo Provenzano, si sarebbero fatti i selfie con i loro amici o le loro amiche come ha fatto Matteo Messina Denaro? Credo che Totò Riina e il suo prediletto, Matteo Messina Denaro, che ha cresciuto ed allevato, con i loro comportamenti abbiano fatto un bel favore all’Italia perché hanno contribuito a distruggere o quantomeno ridimensionare la mafia.