Toscana

Statuto, in commissione confronto serrato

DI SIMONE PITOSSIPresto la Commissione Statuto del Consiglio regionale riprenderà il lavoro. Ma a che punto sono i lavori per la stesura del testo? E, quali i problemi ancora sul tappeto? Per rispondere a questi quesiti e per fare il punto della situazione abbiamo sentito – in collaborazione all’Osservatorio giuridico-legislativo della Cet che presto uscirà con un’agenzia informativa – Angelo Passaleva, vicepresidente della Regione e assessore alle riforme istituzionali, e Piero Pizzi, vicepresidente del Consiglio Regionale e presidente della Commissione Statuto.

«La discussione sul nuovo Statuto – attacca Angelo Passaleva – è ancora bloccata sulla forma di governo e sui principi della legge elettorale. Ritengo che da parte dei cittadini venga manifestata una forte richiesta di stabilità nei governi e che sia richiesta la massima trasparenza circa la responsabilità. Inoltre: chi è eletto deve poter governare a nome di tutti e tenendo conto dei giusti diritti (ma anche dei doveri) di ciascuno. L’elezione diretta del presidente della Giunta regionale, insieme al premio assegnato a chi ha ottenuto la maggioranza, garantiscono in modo efficace la prima delle istanze. La pari dignità degli eletti (Consiglio e presidente) assicurata dal loro mandato elettorale, garantisce la terza».

Con le ultime riforme elettorali, il potere del responsabile del governo è molto accresciuto: «Ciò che occorre, e che trovo legittimo, è vincere la sfida di assicurare un bilanciamento sostanziale rafforzando anche i poteri (legislativo, di indirizzo e di controllo) del Consiglio regionale».

In particolare, continua Passaleva, «trovo indispensabile, anche modificando la struttura amministrativo-burocratica dei Consigli, l’esigenza di rafforzare i poteri di controllo, da parte delle assemblee, sull’efficacia dei provvedimenti assunti dagli esecutivo. In particolare occorre avere il giusto spazio, e gli strumenti efficaci, per sviluppare ed estendere il controllo ex post, anche al fine di stimolare il governo a modificare (in tutto o in parte), se necessario, le proprie scelte».

Per quanto riguarda, infine, la parte introduttiva dello statuto – cioè quella più specificamente rivolta alla sottolineatura dei valori e delle idealità – il vicepresidente della Regione non ha dubbi. «Trovo fondamentale – sottolinea – un forte richiamo ai valori già contenuti nella Carta Costituzionale del 1948. La nostra è, in assoluto, una delle migliori Costituzioni del mondo, una delle più avanzate, una delle più attente a rispettare il comune sentire su cui i Padri Costituenti, subito dopo la tragedia del nazifascismo, seppero trovare unità. Abbiamo una Costituzione che, nei principi generali, è ancora all’avanguardia: come uomini e donne delle Regioni italiane dobbiamo esserne fieri e marcare una coerenza anche in fase di riforma statutaria». E per quanto concerne i cosiddetti «nuovi principi» e «nuovi diritti»? «Il contesto sociale – risponde Passaleva – è fortemente mutato, penso anch’io che sarà necessario introdurre qualcosa di nuovo: ma sono convinto che ci si debba limitare solo ai principi che siano largamente condivisi: mi riferisco a sussidiarietà, adeguatezza, prossimità, solidarietà e alla novità conseguenti alla realizzazione dell’Unione Europea. Sui cosiddetti “nuovi diritti” devo confessare di avere difficoltà ad accettare un confronto, pure nel massimo rispetto per coloro che, in buona fede, si fanno paladini di tali battaglie: in primo luogo perché sono convinto che non siano affatto nuovi, poi perché manca (e questo è un dato oggettivo) una loro ampia condivisione all’interno di una comunità comunque complessa. Ho infine anche qualche dubbio sul fatto che questi cosiddetti “nuovi diritti” rispondano a criteri condivisi di giustizia».

A questo proposito Passaleva conclude con un appello: «Se proprio vogliamo cogliere l’occasione del nuovo Statuto regionale per riflettere sui valori che tengono unita la comunità toscana, cerchiamo di indirizzare gli sforzi comuni non sulle cose che possono dividere o alzare steccati bensì su quelle capaci di unire. Se imboccheremo questa strada, insieme a una seria riflessione sui temi “tecnici” che ho cercato di introdurre all’inizio, faremo qualcosa di utile non solo ai palazzi della politica ma anche ai cittadini. Che ci guardano giorno dopo giorno e che, da noi, aspettano non confronti ideologici ma impegni a servizio della comunità intera».

Secondo Piero Pizzi, la Toscana e l’Italia stanno vivendo «un momento di eccezionale valenza istituzionale e politica». «La riforma costituzionale ed i nuovi Statuti regionali – spiega il presidente della Commissione Statuto – è importante per il futuro della democrazia italiana e per l’assetto istituzionale complessivo. Occorre dire che siamo dinanzi ad una grande riforma non preceduta, come di solito accade in simili circostanze, da un’assemblea costituente. Le nuove regole, approvate senza la necessaria, ampia condivisione, sono incomplete e lacunose. Da parte di molti si è rilevata, ad esempio, come la mancata previsione di una Camera delle Autonomie renda impossibile parlare di una vera riforma federale. Le difficoltà del momento politico (sui temi istituzionali spesso assistiamo ad un vero e proprio scontro) e le incertezze normative spiegano il ritardo delle Regioni nell’approvazione dei nuovi Statuti».

In Toscana le forze politiche hanno affidato ad una Commissione Speciale, frutto di un accordo istituzionale, il compito di elaborare il nuovo Statuto. «Il confronto politico – continua – è serrato in Commissione, dove si sta lavorando su ipotesi di articolato che saranno sottoposte quanto prima ad una verifica con la società toscana. I temi sono molti: principi e diritti; caratteri generali della forma di governo e legge elettorale; organi della regione, sussidiarietà ed Enti locali; organizzazione e funzionamento; partecipazione e referendum».

Di particolare rilevanza, secondo Pizzi, due questioni. La prima attiene al rapporto Regione, Enti locali, società. «La Regione – spiega – dovrà operare “con” i poteri locali, non “sopra” ad essi. Le cosiddette “leggi Bassanini” prima e la successiva riforma costituzionale non hanno disegnato uno Stato federale ma uno Stato delle autonomie: di conseguenza o le autonomie locali fanno sistema o si condannano all’inefficienza ed alla emarginazione politica. La Regione come centro propulsore del sistema regionale delle autonomie, gli Enti locali come codecisori e realizzatori di gran parte degli interventi: questo il quadro normativo con cui dovremo misurarci (la cosiddetta sussidiarietà verticale)».

Altrettanto importante il rapporto con la società civile, che secondo Pizzi «dovrà ispirarsi senza riserve al principio della sussidiarietà orizzontale secondo il quale la Regione e gli Enti locali non intervengono a gestire direttamente servizi pubblici laddove l’autonomia di soggetti singoli od associati è in grado di svolgere adeguatamente un certo servizio, oppure potrebbe esserlo se debitamente promossa».

«Sono dell’opinione – conclude Piero Pizzi – che nello Statuto dovrà essere chiaramente scritto che la Regione riconosce e valorizza, anche con strumenti di tipo fiscale ed economico, il ruolo degli enti non profit e dell’associazionismo rivolto allo svolgimento di servizi di rilevanza pubblica – ed il riferimento è alla possibilità di prevedere agevolazioni fiscali, nelle imposte regionali, a favore degli enti non profit – precisando, inoltre, che la Regione promuove, anche qui con strumenti di tipo fiscale ed economico, la libertà di scelta tra servizi erogati dagli Enti pubblici e servizi erogati da privati – ed il riferimento è a strumenti come il buono scuola, e, qualora un futuro sistema di federalismo fiscale lo consenta, alla possibilità della deducibilità fiscale di determinate spese sociali sostenute dai cittadini presso enti pubblici o privati».

Il parere del costituzionalista Emanuele Rossi

Che cos’è uno Statuto regionale e cosa dovrebbe contenere? È un «tecnico» a rispondere a questa domanda, il costituzionalista Emanuele Rossi, della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. «Chiariamo, in primo luogo, – spiega Rossi – un aspetto che mi pare preliminare: lo statuto non è una Costituzione, né ha la forza (e il compito) di derogare alla Costituzione nazionale. Ciò ha alcune conseguenze: in primo luogo che lo statuto non può diminuire (o addirittura eliminare) la portata dei principi costituzionali. E nemmeno vi è alcun bisogno di una ripetizione di essi nello statuto: a cosa potrebbe servire, ad esempio, scrivere nello statuto che tutti i cittadini toscani hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, quando ciò è già scritto per tutti i cittadini italiani? Analogamente deve dirsi per i diritti di libertà: anche per essi ciò che è scritto in Costituzione non può essere né eliminato né contraddetto o limitato dallo statuto».

Possono trovare spazio nello statuto «nuovi» o «diversi» principi oppure è bene che di tutto ciò lo statuto non si occupi, limitandosi a disciplinare gli aspetti organizzativi dell’ente regione?

«Su questo punto il dibattito è aperto. Le preoccupazioni espresse al riguardo da Ugo de Siervo sono assai pertinenti, quando egli afferma di temere “che la cattiva cultura politica ed istituzionale di buona parte della classe politica, nonché la sua forte tendenza a qualificarsi in termini astrattamente ideologici o a cercare così di mettere strumentalmente in difficoltà gli avversari politici, porterà ad animati dibattiti sui massimi sistemi per giungere a formulare alcuni o molti principi direttivi dell’attività regionale dall’inesistente efficacia giuridica o vane rivendicazioni di spazi ulteriori rispetto al disegno costituzionale ed alle sue leggi attuative”. Malgrado questo, credo che sia possibile prevedere nello statuto alcuni principi ulteriori rispetto a quelli contenuti in Costituzione, o che rappresentino delle specificazioni di principi contenuti o tratti da essa».

Si spieghi meglio…

«Ciò è coerente con la modifica introdotta dal legislatore costituzionale del 1999, che ha sostituito la versione precedente dell’art. 123 Cost. (che demandava allo statuto la determinazione delle “norme relative all’organizzazione interna della Regione”) con la nuova formulazione sopra richiamata, nella quale si impone allo statuto la determinazione dei “principi fondamentali di organizzazione e funzionamento” della Regione: e mentre i principi di organizzazione possono (e debbono) riguardare le modalità di definizione interna delle competenze e di attribuzione di esse ai diversi livelli, i principi di funzionamento altro non possono essere che l’indicazione delle finalità e degli obiettivi che la Regione pone in termini generali alla propria azione. A mo’ di esempio, in altre occasioni ho provato ad indicare quali potrebbero essere questi principi per la Regione Toscana, ricercandoli tra quelli che connotano quella che potremmo chiamare l’identità ovvero la “vocazione” regionale, in relazione alla sua storia, alle sue tradizioni, alla sua cultura. Non per dividere il Paese, ma per offrire ad esso un apporto in termini positivi».

Ma lo Statuto si deve occupare anche di altre cose…

«Soprattutto di altre cose, quali l’individuazione di un modello di autonomia regionale che sia capace di dare risposte adeguate al forte investimento che la recente riforma del titolo V ha fatto sia sull’ente regione che sugli enti locali “minori”. Ciò richiede una decisione, in primo luogo, sulla “forma di governo” regionale, relativamente alla quale la normativa costituzionale delimita e circoscrive l’ambito di manovra (in base ad essa infatti ogni Regione deve avere un Consiglio con potestà legislative, una Giunta con funzioni esecutive ed un Presidente con funzioni di rappresentanza), ma con rilevanti spazi lasciati all’autonomia statutaria. Tra questi le modalità di elezione del Presidente, che l’art. 122 Cost. prevede in via diretta da parte del corpo elettorale regionale, ma che lo statuto può diversamente disciplinare, ad esempio ritornando ad un’elezione da parte del Consiglio, ovvero separando l’elezione del Presidente da quella del Consiglio, ovvero ancora stabilendo criteri di incompatibilità tra i membri del Consiglio e quelli della Giunta. Il punto centrale, nelle scelte sulla forma di governo, mi pare sia tuttavia costituito dall’individuazione delle modalità mediante le quali valorizzare il ruolo del Consiglio regionale, consentendo ad esso, come sottolineato da Paolo Caretti, “di entrare in una rete decisionale dalla quale oggi è del tutto estromesso”, specie con riguardo alle procedure che regolamentano il rapporto tra esecutivi regionali e Governo nazionale».