Toscana

Statuto, per Pizzi alcuni «nodi» da sciogliere

DI MAURO BANCHINIIl punto sul nuovo statuto della Regione, qualche spunto di riflessione generale, un po’ di appunti per un contributo che i cattolici toscani intendono fornire alla costruzione di un atto così importante. Potrebbe essere questa la sintesi dell’incontro – presso l’Oasi «Sacro Cuore» di Firenze – che mons. Gastone Simoni ha promosso domenica scorsa fra gli aderenti al Forum toscano dei cattolici impegnati in politica. Un Forum – ha spiegato il vescovo – che non si riuniva da qualche tempo in quanto gli ultimi sforzi sono stati rivolti all’avvio del Collegamento Sociale Cristiano, ma che adesso torna a far sentire la sua voce su un argomento di notevole rilevanza: lo Statuto che la Regione Toscana, insieme alle altre Regioni, deve darsi anche in seguito alla recente riforma del titolo V della Costituzione.

Il «punto» è stato affidato a Piero Pizzi, vicepresidente del Consiglio Regionale e presidente della Commissione speciale che, in 18 mesi, ha lavorato per mettere alcune fondamenta nella costruzione della nuova «casa comune» regionale. Piero Pizzi è stato introdotto da Alberto Migone e dallo stesso mons. Simoni. Quest’ultimo ha anche fornito alcune indicazioni sulla compatibilità di «Forum» e «Collegamento»: organismi – ha spiegato – che «non sono alternativi né si complicano la vita a vicenda» in quanto il primo sarà destinato a dar voce ai cristiani che svolgono ruoli attivi nei livelli regionali della politica mentre il «Collegamento» avrà una caratterizzazione assai più radicata nel territorio e assai più rappresentativa della «base».

Nella sua non breve storia il «Forum» toscano ha già prodotto alcuni documenti capaci di dare una voce decisamente «alta» ai cattolici impegnati in politica nei diversi schieramenti. Dal 1997 al 2001, con l’aiuto di esperti, sono stati «partoriti» documenti su famiglia, scuola, sottosviluppo e, da ultimo, proprio sul nuovo statuto della Regione Toscana. Caratteristica di ogni atto non è solo la serietà dell’impianto teorico ma anche la circostanza di essere preceduto da un sereno dibattito fra persone divise dalle diverse appartenenze politiche ma unite da un’unica appartenenza di fede.

Pizzi ha fatto il punto su una «riforma non certo facile»: il nuovo Statuto, infatti, si colloca nel contesto della grande riforma costituzionale che ha radicalmente mutato le competenze fra Stato e Regioni lasciando al primo solo limitati ambiti generali, prevedendo altri ambiti di competenze «concorrenti», attribuendo il resto alla competenza diretta delle Regioni. Oltretutto – ha aggiunto Pizzi – con la elezione diretta dei presidenti delle Regioni si sono modificati i rapporti interni fra Giunte e Consigli, a tutto svantaggio della centralità di questi ultimi.Dopo l’ultima riforma della Costituzione e tralasciando la circostanza che il governo Berlusconi – con la devolution bossiana – vorrebbe introdurre ulteriori modifiche di federalismo spinto, il riassetto dei poteri non sembra destinato a procedere velocemente. Pizzi ha detto che il Parlamento nazionale deve varare qualche decina di leggi generali («anche per evitare eccessivi contenziosi fra Regioni e Stato centrale»). Ma la Toscana non intende stare ferma e vuole darsi in tempi brevi il nuovo Statuto: ecco dunque spiegato il cammino percorso dalla Commissione speciale del Consiglio regionale.

Dopo confronti interni ed esterni – ha spiegato Pizzi – non si è certo arrivati a stendere lo Statuto, ma si è giunti a un quadro generale piuttosto ben definito che adesso può consentire ulteriori passi verso una prima scrittura dell’articolato. Fra i nodi importanti da affrontare, Piero Pizzi ha indicato la nuova legge elettorale, la elezione del presidente della Giunta (in teoria sarebbe pure possibile cancellare l’elezione diretta), le correzioni da introdurre per favorire un maggior equilibrio fra assemblea ed esecutivo, la titolarità del potere di varare regolamenti e testi unici, il peso da attribuire alla sussidiarietà non solo nella sua accezione «verticale» (il passaggio di competenze fra Regioni ed enti locali) ma anche in quella «orizzontale» (l’effettivo coinvolgimento della società civile), la scelta di una «Camera» delle autonomie sociali.

Capitolo a parte, infine, sulla grande questione dei «principi». In effetti uno Statuto regionale non ha l’obbligo giuridico di aprirsi con richiami a questo o a quel valore di fondo: se il compito dello Statuto è quello di regolare il funzionamento di una istituzione, non si vede perché debba avere una prima parte dedicata a rivendicare principi generali. Dovrebbero bastare, si dice da più parti, quelli scritti, in modo così eccellente, nella Carta del 1948. «Ho però l’impressione – ha sottolineato Pizzi – che su questo le voci saranno diversificate: sarà allora necessario “trovare soluzioni equilibrate” e affidarsi a una saggezza comune».

Proprio su questi ultimi aspetti il «Forum» di inizio aprile ha visto vari interventi e una sostanziale unità attorno a una assai precisa consapevolezza: porre, alla necessaria mediazione politica, alcuni «paletti» che identifichino la centralità dei valori cui si ispira la Costituzione – in sintesi, quel personalismo comunitario su cui concordarono l’anima cattolica, quella socialista, quella laica dei costituenti – non significa combattere chissà quale battaglia di contrapposizione. Ma significa, se proprio nello Statuto devono trovare spazio alcuni principi, ricordare a tutti che la persona (che è cosa diversa dall’individuo), la comunità (che è cosa diversa dal collettivo) e i «corpi intermedi» (iniziando dalla famiglia) sono ambiti di condivisione non confessionali ma laici. E dotati di una attualità mai destinata a scadere, almeno fino a quando resterà la passione nel difendere la dignità dell’uomo.

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