Toscana

Terra Santa, Natale dietro al «muro»

“Quest’anno celebriamo il Natale in sordina, senza comunque perderne l’intensità. Non potremo recarci a Betlemme, come di consueto, e resteremo nelle quattro mura della nostra comunità”. Dalle prime parole di suor Anna Gerarda Sironi, superiore delle missionarie comboniane della comunità di Betania, a pochi chilometri da Gerusalemme, si percepisce che per loro sarà un Natale in tono minore. E’ il momento dell’austerità per la piccola comunità delle «Pie madri della Nigrizia» alla vigilia delle celebrazioni per la nascita di Gesù. E a buona ragione. Soltanto qualche mese fa, l’integrità fisica della missione era stata minacciata dal tracciato della barriera difensiva in costruzione in Cisgiordania (ribattezzato «il muro della vergogna» dalla società civile), che secondo il governo di Ariel Sharon dovrebbe prevenire gli attentati suicidi dei kamikaze palestinesi e che avrebbe dovuto passare nel bel mezzo della proprietà delle missionarie.

«Una parte della nostra missione si trova in territorio palestinese e abbiamo temuto che la comunità sarebbe stata tagliata in due dal muro» racconta suor Gerarda. “D’altra parte, la recinzione della casa dei padri passionisti, a pochi passi da noi è stata distrutta” spiega la comboniana. Se l’ombra del muro è in parte arretrata, non è comunque scomparsa del tutto: la barriera di sicurezza israeliana «ci circonderà», dice ancora alla MISNA la missionaria, aggiungendo che «una piccola parte è già stata costruita. Rischiamo l’isolamento».

Alla fine di questo 2003 una nuova sfida attende le religiose comboniane: «Una situazione davvero desolante e continuiamo a non capire come si sia arrivati a questo punto» esclama la superiora. I primi a subire le conseguenze del tracciato del «muro della vergogna» in questo tratto saranno i palestinesi, dal momento chele suore incontreranno maggiori ostacoli a prestar loro assistenza e sostegno. «In cinquant’anni di presenza abbiamo costruito un asilo-nido per accogliere i piccoli palestinesi, assistiamo le loro famiglie e gli anziani» prosegue l’interlocutrice. In totale, circa duecentomila persone, residenti nei villaggi della zona di Betania, hanno trovato nelle comboniane uno stabile punto di riferimento.

La superiora avanza l’ipotesi di aprire punti di passaggio con posti di blocco lungo questo tratto della barriera, per consentire alle persone bisognose della zona di raggiungere la struttura missionaria. In caso contrario, l’accesso alle suore potrebbe rivelarsi se non impossibile, comunque molto complesso: «Costringerebbe a un percorso molto più lungo intorno a Gerusalemme» conclude suor Gerarda.

Ma non sarebbero soltanto i palestinesi a soffrire disagi per la costruzione del muro: «La piccola comunità cristiana qui era composta da 40 famiglie, i cui componenti lavoravano per la maggior parte a Gerusalemme» interviene suor Rosario, una religiosa di origine spagnola che studia teologia e arabo in Terra Santa. «Con il tracciato del muro, molte famiglie cristiane si sono trasferite. Risultato: qui non ne restano che una quindicina» aggiunge. E questa migrazione forzata ha provocato «ripercussioni sulle celebrazioni di culto in termini di presenze». A Natale scorso, le comboniane riuscirono ad andare a Betlemme, dopo aver ottenuto, non senza fatica, le necessarie autorizzazioni. Quest’anno invece resteranno nella propria comunità «facendo causa comune con la popolazione locale» dice ancora alla MISNA la missionaria. «Natale scorso è stato molto violento, quest’anno invece le armi si sentono meno, ma la violenza è comunque psicologica». La comboniana formula un augurio a nome della sua comunità: «Che si riesca a vivere questa situazione comprendendo a fondo il senso di ciascun avvenimento senza strumentalizzarlo. Bisogna cercare le vie della riconciliazione, che passano per la giustizia e conducono alla pace». Parole che rievocano l’appello lanciato un mese fa da Giovanni Paolo II: «La Terra Santa non ha bisogno di muri ma di ponti».a cura di Véronique Viriglio – Misna