Toscana

Tsunami un anno dopo. La solidarietà della Toscana

Cerimonie e preghiere si sono tenute in molti dei paesi dell’Asia meridionale per commemorare il primo anniversario dello tsunami. Accanto al cordoglio per i circa 300 mila morti (il numero esatto non si conoscerà mai) la gratitudine per l’opera dei soccorritori, ma anche le preoccupazioni per una ricostruzione ancora lenta e difficile. «Per alcuni aspetti, i giorni più difficili devono forse ancora venire» ha detto il segretario generale dell’Onu Kofi Annan in un messaggio trasmesso in Indonesia in videoconferenza.

Ma il segretario generale ha anche riconosciuto che «progressi notevoli sono stati compiuti in diverse aree… i bambini sono tornati a scuola, le epidemie sono state evitate, molte migliaia di sopravvissuti hanno ritrovato lavori remunerativi e gli aiuti alimentari sono giunti a tutte le famiglie colpite».

Anche Benedetto XVI ha voluto ricordare «le care popolazioni colpite un anno fa dallo tsunami». «Preghiamo il Signore – ha detto al termine dell’Udienza generale di mercoledì 22 dicembre – per loro e per quanti, anche in altre regioni del mondo, hanno subito calamità naturali, e attendono ancora la nostra concreta e fattiva solidarietà».

La Toscana fa «sistema»Ecco gli interventi realizzatiCos’è successo, un anno dopo, con quel fondo regionale («per gli interventi straordinari nei paesi del sud est asiatico colpiti dal maremoto del 26 dicembre 2004») istituito dalla Regione Toscana con la sua prima legge dell’anno appena trascorso? La curiosità è legittima. Si tratta di soldi pubblici ma anche di soldi donati dai toscani con una sottoscrizione che, nel clima di solidarietà del dopo tsunami, coinvolse migliaia di persone. Fra risorse dirette della Regione, doni dei privati, contributi di enti locali e associazioni, la solidarietà toscana fruttò circa due milioni di euro. Cosa è stato fatto in quella parte di globo distrutta da un maremoto che si accanì su terre già piene di ingiustizie?Dalla Regione è partita una campagna di comunicazione perché – come ha detto l’assessore con delega alla Cooperazione internazionale – «è doveroso iniziare un resoconto assicurando tutti che i progetti non sono rimasti sulla carta ma si stanno trasformando in opere concrete. Il nostro tasso di vigilanza – ha aggiunto Massimo Toschi – è elevato e tale continuerà fino al termine delle singole azioni».

Va detto (e negli uffici della Regione lo ripetono con orgoglio) che il «modello» sperimentato dalla comunità toscana ha caratteristiche di «estrema sinergia». Il rischio, in questi casi, è che i soldi della solidarietà si disperdano in mille rivoli, con azioni scoordinate, calate dall’alto su territori così lontani, senza il minimo coinvolgimento dei soggetti locali.

Al contrario si è puntato sulla cooperazione: utilizzando i «tavoli» già aperti in Regione, si è cercato di valorizzare tutti i soggetti toscani, pubblici e privati, e di coinvolgere partners operanti in aree precise: il sud dell’India, il sud dello Sri Lanka, un’area dell’Indonesia.Quattro i progetti su cui si sta lavorando, ciascuno a sua volta distinto in numerose azioni. Per ciascun progetto, ma anche per ciascuna azione, su un coordinamento generale degli uffici regionali, sono stati identificati soggetti «capofila». Due i progetti che hanno per scenario lo Sri Lanka, un progetto opera nel sud dell’India, l’ultimo (affidato a Sant’Egidio) punta su adozioni a distanza nell’Indonesia. Le singole azioni, iniziate nella maggior parte la scorsa estate, proseguiranno per tutto il 2007. Priorità per tipologie precise: ricostruzione di villaggi distrutti, opere di urbanizzazione, centri sociali, sostegno alle attività produttive (pesca, agricoltura, piccolo artigianato, turismo), aiuto all’infanzia e alle famiglie. Fra gli esempi: corsi di formazione per donne sul microcredito, spazi sociali per rafforzare il senso di appartenenza di popolazioni così colpite, strutture mediche e socio-sanitarie, aule per doposcuola e formazione professionale, nuove abitazioni, centri per bambini rimasti orfani, contributi per acquisto di barche, centri per la riparazione delle reti di pescatori. Capofila dei quattro progetti: la Provincia di Pisa, quella di Arezzo, la Croce Rossa, la Comunità di Sant’Egidio. Moltissimi gli enti locali toscani coinvolti e tante le organizzazioni del volontariato che, in una Toscana solidale, hanno stretto un patto di unione con le istituzioni pubbliche. Fra le azioni più singolari una viene da Pistoia: la capitale del vivaismo sta agevolando anche la nascita di un vivaio accanto a uno fra i templi indù più frequentati dell’India. Un’altra è nello Sri Lanka: nel distretto di Galle, su coordinamento della Provincia di Lucca, nasce un centro sociale per le famiglie. L’hanno chiamato «Buena Vista». E il motivo, decisamente, non ha bisogno di tante spiegazioni. Si chiama «Children programme»l’alternativa alla fame e alla guerradi Francesco Palettioperatore Caritas in Sri LankaSelika ha cinque anni e piange, seduta su una panca di uno stanzone della parrocchia di Nostra Signora dei Rifugiati, alla periferia di Jaffna (Sri Lanka settentrionale). Piange perché i genitori non sono andati a visitarla da alcuni giorni e «lei – spiegano i volontari della parrocchia – ha paura di essere stata abbandonata». Selika abitava a Thalaiady, uno dei tanti villaggi rivieraschi della zona di Point Pedro cancellati dal maremoto. Ride, invece, Tilkraj, sette anni, con un ghigno beffardo e incosciente, ripensando alla sua «avventura». Quando l’onda è arrivata, stava andando a messa, alla parrocchia di Saint Thomas. «Mi ha portato via – dice – e poi mi sono ritrovato in cima ad una palma e sono rimasto lassù per qualche ora, finché due fratelli non sono venuti a tirarmi giù».I «fratelli», nel mondo di Tilkraj, sono i soldati dell’LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam), i ribelli delle cosiddette «Tigri Tamil», protagonisti di un conflitto ventennale con il governo di Colombo.

Selika e Tilkraj sono due dei cinquecentoventisei bambini seguiti dal «Children programme» della Caritas diocesana di Jaffna: tredici strutture d’accoglienza, dove i piccoli vivono e studiano. Alcuni di loro sono orfani, a causa di tsunami o di guerra, altri figli di famiglie povere, non in grado, per il momento, di assicurargli prospettive future dignitose.

È su questi centri, spesso l’unica alternativa concreta alla povertà e alla guerriglia, che si concentra l’impegno in Sri Lanka delle Caritas della Toscana nell’ambito dei gemellaggi, coordinati da Caritas Italiana, fra le diocesi italiane e i Paesi colpiti dallo tsunami: circa un milione e mezzo di euro, che andranno ad aggiungersi a quelli delle Caritas del Piemonte e della diocesi di Roma, per un programma forzatamente di lungo periodo. «Perché il maremoto ha evidenziato le profonde contraddizioni di un Paese già povero e ferito dalla guerra – ha spiegato il delegato regionale Caritas dopo la sua recente missione in Sri Lanka – : l’approccio del dopo tsunami, quindi, deve tener conto delle disuguaglianze già presenti in quel contesto sociale. L’intervento in Sri Lanka non può non tener conto di venti anni di guerra civile e delle migliaia di profughi che ha prodotto e della povertà radicale in cui versa un’ampia fetta della popolazione, soprattutto nell’entroterra, in quella parte dell’isola non colpita dal disastro. Occuparci solo delle vittime di tsunami sarebbe chiudere gli occhi di fronte ad una complessità che è provocazione e sfida per la comunità internazionale».

Una sfida raccolta dalle Caritas della Toscana che, su indicazione di Caritas Italiana, ha scelto di andare a lavorare nella regione di Jaffna, a supporto della Chiesa locale, in particolare del «Children Programme». Un territorio in ginocchio: i dati ufficiali dicono che nella regione settentrionale dello Sri Lanka lo tsunami ha ucciso tremilacinquecento persone e distrutto quattromila abitazioni. Oltre 22mila, invece, gli sfollati. Numeri del governo srilankese, quindi scarsamente attendibili: perché chi controlla il territorio, in questa regione, sono le «tigri» tamil, in particolare nella cosiddetta «uncleared zone», una delle aree maggiormente colpite, totalmente controllata e amministrata dalla guerriglia.

In ogni caso cifre che raccontano di un dramma che fa seguito ad un altro: una guerra civile ventennale, che ha causato sessantamila vittime e circa 800mila profughi (quasi la metà dei quali ancora sfollati). Un conflitto messo provvisoriamente e parzialmente a tacere da un «cessate il fuoco» siglato nel febbraio del 2002 che, in quasi quattro anni, è stato violato oltre tremila volte. Le ultime due a Natale: il 23 dicembre un’imboscata tesa dai ribelli è costata la vita a tredici uomini della marina sri lankese; due giorni dopo, nella cattedrale di Jaffna, ignoti hanno ucciso un esponente politico vicino alla guerriglia mentre assisteva alla messa.

Un impegno per almeno quattro anniIl lavoro accanto alle vittime del maremoto nell’ambito del SOA, il programma triennale della rete di Caritas Internationalis. Ma anche un’attenzione privilegiata ai fenomeni e ai problemi strutturali dello Sri Lanka con il supporto a due programmi di Caritas Sri Lanka – programmi nazionali animazione e pace –, senza dimenticare le povertà dimenticate ai margini delle grandi emergenze umanitarie, come nel caso dell’impegno nella diocesi di Chilaw. Oltre al «Children Programme», sono queste le direttrici lungo cui si muove il lavoro di Caritas italiana in Sri Lanka: un impegno di lungo periodo (almeno quattro anni) per un impegno economico di 6,2 milioni di euro. Oltre alle Caritas della Toscana sono gemellate con lo Sri Lanka anche le delegazioni di Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte/Val d’Aosta e Triveneto e le Caritas diocesane di Bologna e Genova. Attualmente Caritas italiana è presente in Sri Lanka con sei operatori espatriati, tutti inseriti nelle strutture della Chiesa locale: precisamente nella Caritas nazionale e in quelle diocesane di Chilaw, Colombo e Jaffna.

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