Toscana
Tsunami un anno dopo. La solidarietà della Toscana
Cerimonie e preghiere si sono tenute in molti dei paesi dell’Asia meridionale per commemorare il primo anniversario dello tsunami. Accanto al cordoglio per i circa 300 mila morti (il numero esatto non si conoscerà mai) la gratitudine per l’opera dei soccorritori, ma anche le preoccupazioni per una ricostruzione ancora lenta e difficile. «Per alcuni aspetti, i giorni più difficili devono forse ancora venire» ha detto il segretario generale dell’Onu Kofi Annan in un messaggio trasmesso in Indonesia in videoconferenza.
Ma il segretario generale ha anche riconosciuto che «progressi notevoli sono stati compiuti in diverse aree… i bambini sono tornati a scuola, le epidemie sono state evitate, molte migliaia di sopravvissuti hanno ritrovato lavori remunerativi e gli aiuti alimentari sono giunti a tutte le famiglie colpite».
Anche Benedetto XVI ha voluto ricordare «le care popolazioni colpite un anno fa dallo tsunami». «Preghiamo il Signore ha detto al termine dell’Udienza generale di mercoledì 22 dicembre per loro e per quanti, anche in altre regioni del mondo, hanno subito calamità naturali, e attendono ancora la nostra concreta e fattiva solidarietà».
Va detto (e negli uffici della Regione lo ripetono con orgoglio) che il «modello» sperimentato dalla comunità toscana ha caratteristiche di «estrema sinergia». Il rischio, in questi casi, è che i soldi della solidarietà si disperdano in mille rivoli, con azioni scoordinate, calate dall’alto su territori così lontani, senza il minimo coinvolgimento dei soggetti locali.
Selika e Tilkraj sono due dei cinquecentoventisei bambini seguiti dal «Children programme» della Caritas diocesana di Jaffna: tredici strutture d’accoglienza, dove i piccoli vivono e studiano. Alcuni di loro sono orfani, a causa di tsunami o di guerra, altri figli di famiglie povere, non in grado, per il momento, di assicurargli prospettive future dignitose.
È su questi centri, spesso l’unica alternativa concreta alla povertà e alla guerriglia, che si concentra l’impegno in Sri Lanka delle Caritas della Toscana nell’ambito dei gemellaggi, coordinati da Caritas Italiana, fra le diocesi italiane e i Paesi colpiti dallo tsunami: circa un milione e mezzo di euro, che andranno ad aggiungersi a quelli delle Caritas del Piemonte e della diocesi di Roma, per un programma forzatamente di lungo periodo. «Perché il maremoto ha evidenziato le profonde contraddizioni di un Paese già povero e ferito dalla guerra ha spiegato il delegato regionale Caritas dopo la sua recente missione in Sri Lanka : l’approccio del dopo tsunami, quindi, deve tener conto delle disuguaglianze già presenti in quel contesto sociale. L’intervento in Sri Lanka non può non tener conto di venti anni di guerra civile e delle migliaia di profughi che ha prodotto e della povertà radicale in cui versa un’ampia fetta della popolazione, soprattutto nell’entroterra, in quella parte dell’isola non colpita dal disastro. Occuparci solo delle vittime di tsunami sarebbe chiudere gli occhi di fronte ad una complessità che è provocazione e sfida per la comunità internazionale».
Una sfida raccolta dalle Caritas della Toscana che, su indicazione di Caritas Italiana, ha scelto di andare a lavorare nella regione di Jaffna, a supporto della Chiesa locale, in particolare del «Children Programme». Un territorio in ginocchio: i dati ufficiali dicono che nella regione settentrionale dello Sri Lanka lo tsunami ha ucciso tremilacinquecento persone e distrutto quattromila abitazioni. Oltre 22mila, invece, gli sfollati. Numeri del governo srilankese, quindi scarsamente attendibili: perché chi controlla il territorio, in questa regione, sono le «tigri» tamil, in particolare nella cosiddetta «uncleared zone», una delle aree maggiormente colpite, totalmente controllata e amministrata dalla guerriglia.
In ogni caso cifre che raccontano di un dramma che fa seguito ad un altro: una guerra civile ventennale, che ha causato sessantamila vittime e circa 800mila profughi (quasi la metà dei quali ancora sfollati). Un conflitto messo provvisoriamente e parzialmente a tacere da un «cessate il fuoco» siglato nel febbraio del 2002 che, in quasi quattro anni, è stato violato oltre tremila volte. Le ultime due a Natale: il 23 dicembre un’imboscata tesa dai ribelli è costata la vita a tredici uomini della marina sri lankese; due giorni dopo, nella cattedrale di Jaffna, ignoti hanno ucciso un esponente politico vicino alla guerriglia mentre assisteva alla messa.
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