Toscana

Una «rete» per valorizzare i «tesori» della fede

di Lorella Pellis

Perché conoscere le opere d’arte per conservarle? E perché conservarle per conoscerle? Alla domanda, che ha fatto da sfondo al convegno sulla salvaguardia dei beni culturali ecclesiastici che si è svolto nel palazzo vescovile di Livorno lunedì 31 maggio, ha risposto nel suo saluto iniziale l’arcivescovo di Firenze e presidente della Conferenza episcopale toscana Giuseppe Betori. «In una cultura, come quella odierna, sensibile all’immagine – che anzi affida alle immagini la comunicazione dei suoi messaggi morali e sociali più importanti – il ruolo dell’arte sacra si rivela fondamentale. Credenti e non credenti – ha affermato Betori – rimangono affascinati dal patrimonio di pittura, scultura e architettura generato dai cristiani nei secoli, non solo per la bellezza formale delle opere, ma perché in esse si trovano faccia a faccia con temi rispondenti a urgenti domande sempre attuali. Nell’Europa dell’aborto legalizzato e che si interroga persino sull’ammissibilità dell’eutanasia, immagini tipiche della tradizione cristiana quali la Madonna col Bambino o Cristo in croce non possono non scuotere le coscienze degli uomini del nostro tempo, insistendo sul valore irripetibile della vita e perfino della vita sofferente».

La bellezza ha dunque il potere di affascinare sempre. Oggi però – ha detto il presidente della Cet riprendendo le parole di Papa Benedetto XVI – «troppo spesso la bellezza che viene propagandata è illusoria e mendace, superficiale e abbagliante fino allo stordimento e, invece di far uscire gli uomini da sé e aprirli ad orizzonti di vera libertà attirandoli verso l’alto, li imprigiona in se stessi e li rende ancora più schiavi, privi di speranza e di gioia». Ecco allora – ha affermato ancora Betori – lo scopo di conoscere e conservare quanto i nostri avi hanno costruito e scolpito e dipinto per esprimere nella bellezza i loro ideali di fede e di vita».

In realtà in tutta l’Italia ma particolarmente in Toscana, vero e proprio «giardino artistico del mondo», l’immenso patrimonio di arte sacra è in gran parte sconosciuto e non valorizzato. Secondo Antonio Paolucci, direttore dei Musei vaticani e presidente di «Memoria ecclesiae», al quale è toccato il compito della prolusione al convegno, «il pericolo più grave è l’incultura dominante di oggi, molto più dei soldi che vanno e vengono; ma la cultura, l’educazione, l’informazione, la scuola quando non ci sono più non tornano indietro». I soldi nei beni culturali – ha affermato Paolucci – hanno fatto quasi sempre disastri. Ma è la mancanza di cultura che impoverisce. E se tutte le meraviglie artistiche che possiamo vedere non ci fossero più, saremmo tutti più poveri. È proprio questo il valore del patrimonio artistico: rendere i poveri meno poveri. Di qui la funzione assolutamente sociale, politica, salvifica, educativa dell’arte».

«Le chiese di una volta – ha continuato Paolucci – erano la prefigurazione del Paradiso. I nostri antenati vivevano in abitazioni modeste, di fango, di paglia. Vestivano di bigio, di lana tinta color marrone. Quando uscivano dalle loro catapecchie ed entravano in chiesa trovavano il fulgore dell’oro, l’iperbole dei colori, avevano l’impressione di entrare nell’anticamera del Paradiso. Oggi invece la gente abita in case con tutti i comfort anche se in quartieri orrendi e quando entra in chiesa trova posti che sono persino più brutti della propria abitazione. Dostoevskij diceva che “la bellezza salverà il mondo”. Ma è piuttosto vero il contrario: siamo noi che dobbiamo adoperarci per salvare la bellezza».

Chiesa ed enti locali uniti nella tuteladi Flavia MarcoE’ giunta nella sessione pomeridiana del Convegno «Conoscere per conservare. Conservare per conoscere» l’inaugurazione del lavoro delle commissioni paritetiche a conclusione di una giornata di intensi dibattiti che hanno manifestato una grande volontà di collaborazione. Il Presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, ha esposto la sua posizione attraverso una lettera non potendo intervenire direttamente: centrale è l’attuazione di quella «leale collaborazione» prevista dal decreto legislativo 42/2004 principio, questo, posto alla base della legge da poco approvata, il Testo Unico del 2010, per cui, però, manca ancora il regolamento ed il nuovo Piano della cultura per la compilazione dei quali la Regione ha intenzione di sviluppare il più ampio confronto con tutti i soggetti. Rossi ha sottolineato, poi, l’importanza della costituzione di una commissione regionale per i beni culturali e la necessità di un approfondimento specifico condotto da Regione, Cet ed Anci Toscana di cui egli stesso vuole rendersi promotore.

Anche il sindaco di Livorno, Alessandro Cosimi, qui soprattutto in veste di presidente dell’Anci Toscana, ha ribadito l’importanza della costituzione di una rete di intervento che leghi queste dimensioni politiche e religiose in un’unica volontà, una cooperazione che deve essere realizzata il più velocemente possibile per evitarne il fallimento.

Fondamentale è stato l’intervento del dottor Gianbruno Ravenni, coordinatore dell’Area Cultura e Sport della Regione Toscana, nelle cui parole chiaro e sincero è stato il ringraziamento inviato al vescovo Simone Giusti per aver sollecitato un convegno su tali tematiche, convegno e riflessione, ha aggiunto, che la politica stessa richiedeva. Evidente è stata l’amicizia sorta con il Vescovo che ha permesso un lavoro preparatorio condotto anche in maniera informale. Ha, dunque, chiarito il concetto di «cooperazione» così come viene inteso nella legge 42/2004 ovvero non più come un concetto di valore personale e individuale bensì di valore giuridico su cui si basa l’equilibrio della normativa. Ha poi puntualizzato come lo spazio d’azione di questa cooperazione sarà il momento della concertazione del Piano della cultura nel quale verranno stabiliti i progetti che la Regione dovrà sostenere. Nel frattempo, cioè mentre aspettiamo questo piano, è necessario cercare di recuperare al meglio i fondi già investiti secondo il piano stipulato dalla precedente amministrazione regionale.

Dopo altri importanti contributi che hanno precisato alcuni aspetti fondamentali della gestione del patrimonio culturale è giunto, finalmente, il momento dell’inaugurazione delle commissioni paritetiche articolate in tre sezioni che riprendono la tripartizione dell’assessorato: Beni architettonici e sistemi informatici connessi; Musei e valorizzazione dei beni culturali incluso il settore dei beni mobili; Beni librari, archivistici e Istituzioni culturali. Per ognuna di queste commissioni avremmo dei rappresentanti della Cet, di ogni diocesi, delle famiglie religiose, della Regione e dell’Anci.

Date le premesse monsignor Simone Giusti,  vescovo di Livorno e presidente della commissione Cet per i Beni culturali, ha potuto, di concerto con Gianbruno Ravenni, annunciare la formazione di un Comitato di indirizzo regionale, per dirimere tutte quelle questioni che esulano dalle tre commissioni o che le tagliano tutte trasversalmente, composto dal presidente della Regione Toscana o da un suo delegato, dal presidente della Cet o da un suo delegato, dal presidente dell’Anci o da un suo delegato, da 2 membri designati da ciascuno di questi enti. L’istituzione di questo Comitato costituisce, come ha suggerito Ravenni, l’approdo del convegno di oggi, la manifestazione dell’intesa raggiunta tra Cet e Regione Toscana.

Già 220 mila opere schedate, ma il lavoro è ancora lungodi Claudio Turrini

Don Luca Franceschini, della diocesi di Massa Carrara-Pontremoli, è l’incaricato regionale per i beni culturali ecclesiastici, ruolo che riveste anche a livello diocesano. Lo abbiamo intervistato.

Quando si parla di «beni culturali ecclesiastici» cosa si intende esattamente?

«Si tratta di una definizione generica che comprende un enorme patrimonio culturale composto di edifici, suppellettili, argenterie, opere d’arte, tessuti, libri, materiale archivistico che nei secoli la Chiesa ha realizzato per il culto a Dio e per la vita delle comunità. Ovviamente non si tratta di un patrimonio ad uso esclusivo della comunità ecclesiale bensì di un tesoro a cui possono attingere tutti: studiosi, turisti, fedeli e non. Quando si dice che la Chiesa è “ricca” si dice la verità talvolta senza capire che questa ricchezza realizzata e custodita con amore nei secoli e resa fruibile a tutti è una ricchezza al servizio di tutti per una crescita umana, culturale, spirituale ben oltre l’interesse della singola comunità».

La Toscana è particolarmente ricca di questi beni…

«Si sente spesso dire che buona parte del patrimonio artistico mondiale si trova in Italia e la Toscana è la regione con maggiori ricchezze. Talvolta si dimentica di aggiungere che questo enorme tesoro di storia e cultura è in buona parte prodotto dalla Chiesa o di proprietà della Chiesa sia nelle sue organizzazioni più grandi, quali le Diocesi, sia capillarmente nelle più piccole e sperdute comunità di montagna. Talvolta non si comprende di come la realizzazione nel tempo del patrimonio culturale sia stata motore per lo sviluppo dell’artigianato e la crescita in tutti i sensi delle comunità anche più sperdute, oggetto di scambi, incontri, spostamenti di persone che hanno reso la storia meno chiusa e oscura».

Si ha un’idea complessiva della consistenza di questi beni in Toscana?

«Un censimento preciso di tutto il patrimonio non è ancora stato concluso nonostante l’impegno delle Soprintendenze e, per quanto ci riguarda, degli uffici nazionale e diocesani per l’Arte Sacra e i Beni Culturali. Di alcuni beni, tranne rari casi, non si hanno neppur in germe inventari: penso ad esempio alle campane».

La Cei, però, attraverso l’Ufficio nazionale dei beni culturali ecclesiastici, sta promuovendo una catalogazione.

«È stato profuso un enorme impegno innanzitutto per l’inventariazione delle opere d’arte anche perché sono più soggette al furto e di più difficile controllo. Ovviamente si tratta di un lavoro lungo e difficile; e anche costoso. Non esiste comunità anche piccolissima e sperduta tra le montagne che non abbia importanti testimonianze storiche e artistiche. Inoltre si tratta di un patrimonio in continua evoluzione perché le comunità non sono morte e continuano a commissionare e realizzare nuovi rami di questo filone prezioso».

A che punto è questa catalogazione?.

«Ad oggi hanno finito il lavoro di inventariazione delle opere d’arte soltanto Massa Carrara – Pontremoli con 32.697 schede e Grosseto con 6.806 schede. In Toscana (i dati sono di un paio di mesi fa) benché molte diocesi siano ancora un po’ indietro con il lavoro si sono schedate, descritte, fotografate a colori in alta definizione 224.855 opere. Non tutte sono di autori famosi e di valore inestimabile ma non per questo rivestono meno importanza».

Questo per le «suppellettili». E negli altri settori?

«Si è iniziato il censimento degli archivi parrocchiali e, ultimo, il censimento delle chiese che, per la maggior parte delle diocesi è al primo livello: la realizzazione dell’“elenco” delle chiese. Per queste poi sarà realizzata una scheda corredata delle notizie e delle fotografie. Ad oggi non sappiano quante siano esattamente le chiese in Italia. In Toscana vi sono Diocesi piccole. La nostra di Massa Carrara – Pontremoli ha 244 parrocchie e oltre 400 chiese; Diocesi come Arezzo si aggirano praticamente su numeri doppi rispetto a questo».

Quali sono le maggiori difficoltà che si incontrano in questo lavoro?

«Le difficoltà sono molte e vanno dal coordinamento del progetto che non sempre è facile al fatto che le cose da inventariare si trovano sparse su un territorio impervio. Piccoli paesi con strade che d’inverno sono quasi impercorribili, chiese collocate in luoghi irraggiungibili, parroci che non hanno tempo per accompagnare gli schedatori che si trovano a lavorare talvolta tra le ragnatele. Non mancano casi di poca sensibilità da parte delle comunità locali che guardano con sospetto la visita di qualcuno che viene da fuori».

Forse molti non sanno che la proprietà dei beni ecclesiastici è molto variegata….

«Ovviamente. Non tutte le chiese sono di proprietà ecclesiastica e la Chiesa cattolica non possiede solo edifici di culto. Talune chiese sono di privati altre appartengono allo Stato (FEC), talvolta ai comuni. Una conoscenza globale forse non è neppure possibile, tuttavia con il censimento delle chiese di proprietà degli enti soggetti al vescovo diocesano, si farà un importante passo in avanti».

C’è collaborazione tra i vari soggetti coinvolti per la tutela e la valorizzazione di questi beni?

«La collaborazione è difficile. Ognuno ha i suoi problemi da affrontare e la situazione è molto diversificata. Il mantenimento e il restauro dei beni è oggi molto oneroso, la loro valorizzazione difficile; molte chiese rimangono spesso chiuse, i musei non hanno le forze economiche per il mantenimento del personale e talvolta hanno pochi visitatori. Tuttavia posso dire che nessuno si arrende e si continua l’impegno ricercando via via le collaborazioni che si riescono a realizzare».

Lei è l’incaricato regionale, oltre che della sua diocesi. Esiste una commissione regionale? Che tipo di attività fa o avete in programma di fare?

«La commissione esiste – si chiama Consulta Regionale per i Beni Culturali Ecclesiastici – ed è presieduta con grande entusiasmo e competenza da mons. Simone Giusti. Ci si incontra regolarmente per tentare un coordinamento tra le Diocesi e soprattutto nel desiderio di avere linee comuni. Inoltre si cerca via via di chiarire gli aspetti burocratici sia per il reperimento delle autorizzazioni sia dei contributi. Un’eccesso di burocrazia sta rendendo onerosissimo il nostro lavoro ripagato con una sempre minore disponibilità di fondi a disposizione per i contributi. Non mancano tuttavia interessanti collaborazioni con le Soprintendenze e la Regione alla ricerca di sempre nuove strade di sinergia».

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