Toscana

Università toscane alle prese con la crisi

Avviare una fase di riflessione sul futuro del sistema universitario e della ricerca per elaborare strategie di cambiamento e trovare nuovi modelli di governance per superare la crisi. È la proprosta lanciata mercoledì scorso in Consiglio regionale dall’assessore alla Ricerca e all’Università Eugenio Baronti, nella sua «comunicazione» sulla situazione degli atenei toscani. La situazione è grave. «Se nel 2006 erano quattro gli atenei che superavano il limite del 90% del fondo di finanziamento ordinario di spesa per il personale (Firenze, Napoli Orientale, Pisa, Trieste), nel 2008 – ha ricordato Baronti – sono diventate sette ma sarebbero 26 (Siena compresa ovviamente) se si tenesse conto del personale convenzionato con il servizio sanitario e degli incrementi stipendiali annuali, che non incidono sul paniere». Per questo è necessario «potenziare il sostegno del governo nei confronti della ricerca», in linea con l’appello di Giorgio Napolitano che lunedì scorso a Perugia aveva ritenuto maturi i tempi per «rivedere scelte di bilancio improntate a tagli indiscriminati» alla ricerca. «Se non ci sarà un cambio nei finanziamenti del Governo assisteremo a un tracollo nel 2010-2011», questa la previsione del presidente Claudio Martini, intervenuto nel dibattito. Per il governatore toscano «la logica del Governo non può essere solo finanziaria e le esigenze di bilancio di uno Stato non possono rappresentare una riforma. Come Regione possiamo solo dare una mano e non è possibile esulare da una riflessione nazionale».

Nella comunicazione, l’assessore ha evidenziato la necessità di una riduzione dei corsi di laurea, spesso con pochi immatricolati e pochi iscritti. Ha poi ammesso che in seguito alle contrarietà delle università, delle forze politiche e alle critiche emerse durante gli incontri con docenti, ricercatori, è stata abbandonata l’idea della fondazione come possibile modello di governance.

«È necessario – ha detto – un modello di governance meno rigido e più flessibile, capace di coordinarsi in un grande progetto integrato che si propone di rendere operativo, entro il 2010, lo spazio regionale della ricerca e dell’innovazione per favorire la competitività e l’internazionalizzazione del sistema pubblico e privato della ricerca».

La comunicazione dell’assessore è stata criticata da Stefania Fuscagni (Fi-Pdl) per la quale «dovremmo impegnarci per valorizzare gli studenti e indirizzarli verso un lavoro certo e accogliere i ricercatori, mettendoli in contatto non solo con le università ma anche con le aziende e il documento di Baronti non mi sembra avere questa strategia». Fuscagni ha sottolineato la necessità di individuare le competenze tra livello locale e nazionale e l’importanza di edistribuire le risorse per ottimizzare gli investimenti in campo universitario: «La Regione ha il diritto di finanziare borse di studio internazionali, l’alternanza università-lavoro». «È importante – ha detto la vicepresidente della commissione Cultura – distinguere tra il finanziamento dello Stato per la ricerca di base e quello per la ricerca prototipale di privati».

Anche per Marco Carraresi (Udc) «le università hanno avuto indipendenza ed autonomia nel nome dell’indipendenza e dell’autonomia della ricerca e della cultura da preservare e tutelare, adesso non si può derogare per necessità economiche». Riguardo all’ipotesi di una fondazione nella quale le università si potessero costituire per assicurare una diversa governance al sistema, Carraresi ha ribadito di non aver «mai condiviso questa scelta».

I numeri dell’Università in Toscana

4 università statali (su 61 in Italia)4 istituzioni universitarie superiori (su 6 in Italia)162 dipartimenti        70 Firenze        56 Pisa        34 Siena        2 Siena per stranieri34 facoltà537 corsi di laurea        233 Firenze        178 Pisa,        125 Siena        1 Siena per stranieri18 sedi        9 Firenze        5 Siena        4 Pisa127.000 gli iscritti11.642 (9,1%) studenti  con una borsa di studio4.114 (3,2%) ha un alloggio messo a disposizione dall’agenzia per il diritto allo studio

Ateneo    Imm. 2007/2008    Imm. 2006/2007    Var. %

Firenze    8.748    9.328    -6,2Pisa    7.765    7.933    -2,1Siena    3.191    3.227    -1,1Siena stranieri    114    150    -24,0Totale università statali    292.312    302.099    -3,2 FIRENZE,Crisi finanziaria, ma non solo di Pier Angelo MoriOrdinario di Economia politica – Università di Firenze

L’Università di Firenze sta indubbiamente attraversando un periodo difficile ma questo è un periodo difficile per l’università italiana in genere. In larga misura i problemi di Firenze sono i problemi di tutta l’università, pur con alcune specificità negative che la pongono in una posizione di coda tra le università italiane, soprattutto sul piano finanziario. Tuttavia queste differenze sono destinate ad attenuarsi nei prossimi anni per il prevedibile deterioramento della posizione finanziaria degli altri atenei, e quindi per comprendere i problemi di Firenze, quelli più seri e di più lungo respiro, è indispensabile partire dal quadro generale.

La storia dell’università dalla fine degli anni sessanta ad oggi è tutto un susseguirsi di periodi difficili, riforme necessarie mancate, riforme disastrose attuate. Ci sono tre principali chiavi per leggere il declino dell’università in Italia: il cambiamento organizzativo, l’evoluzione della didattica, l’andamento del sostegno finanziario pubblico.

Giusto per ricordare, il problema più antico è quello dell’organizzazione, soprattutto del corpo docente: grazie alla legge 382 del 1980 – che tentava di sistemare l’eredità caotica del decennio precedente (’68 e dintorni) – ci fu negli anni ’80 una forte immissione di docenti senza un vero e proprio vaglio di qualità, che ha determinato un primo abbassamento del livello qualitativo medio. Negli anni ’90 l’introduzione dei concorsi locali e la quasi contestuale riforma didattica del cosiddetto «3+2» (laurea triennale più laurea specialistica biennale) ha dato la stura da un lato a un’ondata di immissioni di docenti con un controllo di qualità ancor più basso che nelle stabilizzazioni del decennio precedente, e dall’altro all’esplosione dei corsi di laurea e alla frammentazione degli insegnamenti in una minutaglia sempre più minuta, che ha prodotto in alcuni casi eccessi talmente ridicoli da finire sulle pagine dei giornali. Questo a grandissime linee quanto è avvenuto sul piano dell’organizzazione e della didattica.

A partire dalla crisi della finanza pubblica dei primi anni novanta si è poi aperto il terzo fronte, quello delle risorse finanziarie. Prima con una serie di misure che non citiamo per esteso ma che in sostanza hanno comportato il mancato adeguamento delle dotazioni statali (che fino agli anni novanta avveniva in modo quasi automatico sia per il recupero dell’inflazione che per la copertura degli oneri derivanti dai contratti nazionali di lavoro), poi con la riduzione in termini nominali delle dotazioni negli ultimi anni. Il famoso D.L. 25 giugno 2008 è la classica ciliegina sulla torta, anche se, come stanno a ricordare gli avvenimenti testé richiamati, non è la torta, né la causa della torta. E veniamo così all’oggi.

Il problema urgente, anzi urgentissimo, che sta assorbendo tutta l’attenzione almeno all’interno dell’università è quello finanziario. La manovra del governo sulla finanza pubblica – che non possiamo qui commentare per esteso – introduce per l’università un taglio consistente alle dotazioni ordinarie. I tagli naturalmente sono diretti alle voci che si possono tagliare e il margine di manovra nel brevissimo e breve termine trova un forte limite nelle spese indispensabili – essenzialmente quelle per il personale – che per l’università nel complesso rappresentano attualmente l’89% del fondo di finanziamento ordinario (dato 2007, IX rapporto MIUR sullo stato del sistema universitario): in pratica i tagli non possono superare nell’immediato il 10% del contributo statale. Il decreto prevede tuttavia in un arco di tempo più lungo consistenti risparmi sui costi del personale attraverso l’abbattimento del turnover (un assunto ogni cinque cessati), misura che peraltro interessa tutta la pubblica amministrazione.

In questo quadro l’Università di Firenze è tra gli atenei che stanno peggio, come del resto le altre due grandi toscane, Pisa e Siena. Firenze ha consistenti debiti pregressi per l’edilizia ed ha già dovuto dare corso negli anni passati a dismissioni di immobili anche di prestigio, come Villa Favard e il complesso delle Montalve (oggi non c’è più nulla di rilevante che sia immediatamente realizzabile). Sul bilancio fiorentino gli effetti del decreto saranno relativamente contenuti nel 2009 (una dozzina di milioni su cinquecento di bilancio totale) ma è anche vero che i margini di manovra, per quanto appena detto, sono nell’immediato assai limitati e anche il reperimento di una cifra non particolarmente impegnativa in termini assoluti diventa un problema.

Il 27 dicembre scorso il Consiglio d’Amministrazione dell’Università ha approvato un primo pacchetto di misure a valere sul 2009. Sono misure che vanno a raschiare il fondo del barile, ma è tutto quanto era possibile fare: riduzione delle spese per energia elettrica e riscaldamento con riduzione dell’orario di erogazione e degli orari di apertura delle sedi, aumento del prelievo sulle unità operative che hanno entrate proprie (convenzioni, contributi da enti esterni, formazione a pagamento, ecc.), riduzione degli affitti passivi, riduzione del 50% nel 2009 e azzeramento negli anni successivi dei contratti per supplenze e didattica integrativa e poco altro. Tutto sommato nel 2009 ci si accorgerà poco dei tagli, ma preoccupa la progressione prevista dal decreto con risparmi molto maggiori – a meno di interventi correttivi – da attuare negli anni successivi: di qui al 2013 secondo alcune stime potrebbero complessivamente raggiungere il 40%. E naturalmente anche la qualità degli interventi necessari per realizzare risparmi di tale entità dovrà essere diversa e ben più incisiva: la grande leva su cui fa conto il governo è la riduzione della spesa per il personale, ovvero quel blocco di quasi il 90% della spesa complessiva delle università.

Se è vero che solo aggredendo quel macigno si può ridimensionare la spesa, però è anche vero che i due pilastri su cui si regge l’università – ricerca e didattica – sono attività ad altissima intensità di lavoro e che, ridimensionando la quantità dell’input, si ridimensionerà prima o poi anche il prodotto, se non si interviene in qualche modo. L’unica via d’uscita per sfuggire a questa mesta conclusione è una riforma dell’assetto organizzativo che controbilanci in qualità ciò che si perde in quantità, partendo dal reclutamento (assumendo studiosi di maggior qualità, grazie a selezioni più severe) e finendo con gli incentivi (a tutti i livelli sono necessari incentivi che inducano i docenti a riqualificare sia ricerca che didattica).

Come si vede, questi che sono i reali problemi non sono specifici dell’università di Firenze e il singolo ateneo può nell’attuale quadro normativo fare ben poco. Non resta che guardare alla politica ma da quella parte non vengono segnali positivi. Tutta l’attenzione è ora concentrata sugli aspetti finanziari, indubbiamente vitali nell’attuale frangente, e nessuno ha la forza di affrontare i veri nodi dell’università italiana che, come abbiamo visto, sono antichi e poco o nulla hanno a che fare il problema delle risorse finanziarie. Non è certo questo il momento favorevole alle riforme strutturali ma sappiamo con certezza che, se non si verificano, l’università italiana è condannata a una drammatica, forse irreversibile accelerazione del declino che ha vissuto negli ultimi trent’anni e di cui l’attuale crisi finanziaria è solo il catalizzatore, non la causa.

Al voto a giugno per eleggere il successore di MarinelliSi terranno a giugno le elezioni per il nuovo rettore dell’Università di Firenze per il quadriennio accademico 2009-2013. Il decreto è stato firmato nei giorni scorsi dal decano del corpo accademico, professor Giorgio Talenti. La prima votazione per eleggere il successore di Augusto Marinelli (nella foto) è fissata per il 3 e 4 giugno prossimi. L’eventuale seconda votazione si terrà il 10 e 11 giugno e il ballottaggio, se necessario, il 22 e 23 giugno. Hanno diritto al voto i professori di ruolo e fuori ruolo, i ricercatori e i rappresentanti degli studenti nel Cda, nel Senato accademico e nei Consigli di facoltà. Alle urne anche il personale tecnico-amministrativo, gli esperti linguistici e i dirigenti in servizio presso l’Ateneo: il voto di queste ultime categorie conterà nella misura del 10%. Le candidature, sottoscritte da almeno 30 elettori, dovranno essere presentate, a partire dal 6 aprile, entro il 4 maggio 2009. Cinque al momento le candidature annunciate: Sandro Rogari, Alberto Del Bimbo, Guido Chelazzi,  Alberto Tesi e Paolo Caretti. Sarà utilizzato, con il supporto del Consorzio interuniversitario Cineca, il sistema del voto elettronico. PISAParla il rettore: «Il Paese investe troppo poco»

di Andrea Bernardini

«L’Italia investe meno dell’1% del suo pil in alta formazione, cifra notevolmente inferiore a quella degli altri stati della comunità europea. Con questi presupposti come possiamo essere competitivi?». Se lo chiede il professor Marco Pasquali (nella foto), 62 anni, nativo di Cremona, laureato a Pisa, dal 1990 ordinario di chimica generale e inorganica, dal ’96 preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali e dal febbraio 2003 rettore dell’ateneo pisano.

Professore: il governo stringe la cinghia, riduce i finanziamenti agli atenei, che oggi più di ieri (e dal 2010 più di oggi) hanno difficoltà a far quadrare i propri bilanci…

«È vero. Le risorse messe a disposizione per le università già erano relativamente poche e, di certo, i nuovi tagli mettono in gravi difficoltà gli atenei. Un investimento così modesto è incompatibile con la competitività a livello internazionale del sistema italiano nell’alta formazione».

Secondo i dati del ministero almeno sette atenei in Italia spendono per il personale oltre il 90% del budget fino ad oggi messo a disposizione. Tra questi anche Pisa?

«No. Nel 2008 l’ateneo pisano ha destinato al personale l’89,04% del finanziamento ordinario».

Per il ministro Gelmini esiste un numero esagerato di corsi di laurea, di cui molti con pochi immatricolati e pochi iscritti, il cui mantenimento non sempre appare giustificato da necessità formative per esigenze specifiche particolari. L’ateneo pisano, secondo i dati del MiUr riferiti al 2007, offre 56 dipartimenti e 178 corsi di laurea. Verrebbe da dire: tutti necessari?

«La domanda ha un senso e ce la siamo posta noi per primi. Ma per rispondervi occorre una premessa: con la riforma Berlinguer – Zecchino del sistema universitario di dieci anni fa, i percorsi formativi sono raddoppiati: dal corso di laurea ante-riforma sono nati una laurea triennale ed una specialistica (oggi la chiamiamo magistrale). Ecco, tenendo conto di questa premessa, almeno a Pisa l’aumento del numero dei corsi di studio è stato misurato. Ciononostante anche noi stiamo rivedendo la nostra offerta didattica».

Apporterete dei tagli?

«Tra il dieci ed il venti per cento dei corsi attuali».

E sui 56 dipartimenti che cosa dice?«56 dipartimenti, dunque 56 centri di spesa sono effettivamente troppi. Anche questo dato, però cambierà: infatti c’è una commissione che è stata incaricata di studiare le modifiche allo statuto del nostro ateneo. Le proposte elaborate saranno adesso valutate dal Senato accademico. E uno degli obiettivi del nuovo statuto sarà anche quello di diminuire il numero delle strutture».

L’altra faccia della medaglia: l’ateneo pisano si conferma, nel ranking 2008 realizzato da The Times Higher Education Supplement uno dei migliori 400 atenei al mondo nell’insegnamento delle scienze naturali, dell’ingegneria e della medicina.

«Sì, io reputo l’ateneo pisano uno dei migliori in Italia. Un ateneo che gode di una buona reputazione a livello internazionale in molti ambiti di studi».

Manca solo il riconoscimento dello Stato…

«Il decreto Gelmini prevede di indirizzare alcune risorse del Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) a quelle gestioni che risultano essere virtuose. Ma ancora non sappiamo quali saranno i criteri secondo cui saranno assegnati questi fondi. Mi auguro che tra questi criteri abbia grande peso l’attività di ricerca, effettivamente oggettivabile; in questo caso la nostra università non potrà che trarre beneficio».

In Italia gli studenti universitari sono meno numerosi che negli altri paesi europei ed, in particolare, sono meno numerosi quelli che conseguono una laurea: l’11,6% degli uomini ed il 12,8% delle donne italiane tra i 25 ed i 64 anni. Per quale motivo, secondo lei?

«Il valore simbolico e culturale di una laurea è fuori discussione. È pur vero, però, che la laurea oggi non offre opportunità di lavoro tali da giustificare un percorso di studi medio-lungo. E in una congiuntura non favorevole come quella in cui viviamo, se un giovane, dopo il diploma, trova un lavoro, facilmente rinuncia all’università».

Parliamo della figura dei ricercatori. Sono sufficientemente produttivi?

«Lo sono. Non nego però che il loro eccessivo coinvolgimento nelle attività didattiche finisce per limitare la produttività scientifica».

Il decreto Gelmini ha previsto un aumento dei finanziamenti da destinare al diritto allo studio. Le università pubbliche manteranno la caratteristica di poli formativi alla portata delle tasche di tutti?

«La mia impressione è questa: i tagli decisi dal governo indeboliscono l’alta formazione pubblica, la rendono meno competitiva, aprono dunque lo spazio a iniziative private alle quali potranno accedere solo studenti di classi sociali più fortunate, con maggior disponibilità economica».

«Normale» e «Sant’Anna», due scuole specialiA Pisa vi sono altre due strutture universitarie, due scuole di alta formazione i cui iscritti frequentano anche i corsi dell’università di Pisa. Sono la celebre Scuola Normale Superiore, fondato da Napoleone nel 1810 come succursale dell’École Normale Supérieure di Parigi, e la più recente Scuola Superiore di Studi Universitari e Perfezionamento Sant’Anna nata nel 1987 dalla fusione delle preesistenti Scuola Superiore di Studi Universitari e Perfezionamento e Conservatorio Sant’Anna (quest’ultimo era stato istituito dal Granduca Pietro Leopoldo nel 1785). La prima ha (dati 2008) circa 270 allievi, la seconda (dati 2005-2006) conta 185 allievi ordinari e 166 «perfezionandi». Ad entrambe si accede per concorso. In generale gli ammessi al primo anno della «Normale» sono di solito 30 per la Classe di Scienze e 24 per quella di Lettere e Filosofia. Stessa forte selezione anche al Sant’Anna dove però è possibile frequentare all’Università di Pisa tutti i corsi di laurea delle facoltà di Agraria, Economia, Giurisprudenza, Medicina, Scienze Politiche e molti dei corsi della facoltà di Ingegneria. Gli allievi dei corsi ordinari devono riportare, per ciascun anno accademico, una media non minore di 27/30, e in ogni singolo esame voti non inferiori a 24/30. SIENACostretti a tagliare i corsi«Non ci sono le condizioni», con questa frase sibillina è stata annullata qualche giorno fa la cerimonia per l’inaugurazione dell’anno accademico all’università di Siena, già posticipata nel novembre scorso. È la conseguenza della critica situazione finanziaria dell’ateneo senese. Una situazione sulla quale indagano da mesi magistratura e guardia di finanza, indagini che hanno portato all’emissione di sei avvisi di garanzia. Difficile dire come si è arrivati a questo, così come è  difficile individuare origine e consistenza del dissesto. La somma del debito è molto elevata, ha detto Emilio Miccolis, nuovo direttore amministrativo dell’università senese. Unico dato certo è la somma di 67.324.765,99 euro da versare all’Inpdap (l’ente di previdenza dei dipendenti pubblici). Tra i provvedimenti annunciati per il risanamento dei conti, è la chiusura di cinque dipartimenti e la sospensione di alcuni contratti per l’affitto di immobili, tra i quali lo splendido palazzo che si affaccia su piazza del Campo, prestigiosa tribuna per assistere al Palio.

Della critica situazione finanziaria dell’università di Siena si era cominciato a parlare da tempo. Nel 2006 sembrava che il deficit si aggirasse intorno ai 30 milioni di euro, una cifra che allora era sembrata enorme, considerato che l’ateneo non è tra i più grandi d’Italia. Nel maggio 2006 la professoressa Michela Muscettola aveva denunciato come «lo sviluppo degli organici, docente e tecnico amministrativo, non è stato frutto di una reale programmazione dell’ateneo, ma di meccanismi interni incontrollabili e di presunte risorse esterne». Critiche poi ripetute nel dicembre 2006 e nel maggio 2007. Nel novembre scorso il consiglio di amministrazione dell’ateneo senese ha approvato un piano di risanamento “per uscire dalla difficile situazione finanziaria e riprendere un percorso di sviluppo positivo”. Tra le misure previste i tagli alla ricerca, al personale e alla didattica, prepensionamento senza sostituzione delle unità mancanti, riduzione dei corsi di laurea, vendita di parte del patrimonio immobiliare. Fra i beni destinati alla dismissione sono la Certosa di Pontignano, il palazzo Bandini-Piccolomini, il collegio Santa Chiara. Una boccata di ossigeno è stata annunciata da Miccolis: «Oltre ai 46,3 milioni già accreditati dal ministero dell’Istruzione, quale acconto sul fondo di finanziamento ordinario 2009, sono stati accreditati sul conto dell’ateneo altri 35 milioni, quale ulteriore anticipo della stessa voce. Queste entrate ci hanno permesso di effettuare a oggi pagamenti per 54.762.401 euro, ricorrendo in minima parte all’anicipazione bancaria concordata con Mps». Parte da qui il risanamento dei conti dell’università di Siena, non la più grande, ma certo tra le  più prestigiose università italiane.

Ennio Cicali