Toscana

Viareggio, silenzio sul fronte del porto

DI MARIO PELLEGRINI«In nome di Dio, taglia!»: così al megafaono la possente voce di Maurizio o Bertani Benetti – titolari del cantiere «Mb Benetti» – pochi istanti prima che l’ascia recidesse il grosso canapo che reggeva la nave allo scalo. Tutta una formalità, ovviamente, perché l’operazione del varo era già meccanizzata, ma il fascino dell’antico rituale era ancora ben vivo nei proprietari, nei dirigenti, nelle maestranze e soprattutto nella folla che immancabilmente assisteva allo spettacolo, sempre uguale e sempre nuovo. Poco più in là, verso la nuova diga foranea, il cantiere «Sec» (Società Esercizio Cantieri), con la sua avanzatissima tecnologia specializzata nel costruire pescherecci d’altura, navi fattoria, metaniere, petrolchimiche, cannoniere e, in ultimo, traghetti. Incorporato il primo dal secondo e poi fallito quest’ultimo, sul «fronte del porto» di Viareggio è calato il silenzio.Infatti, passeggiando sul molo che nel frattempo è diventato il «suk» di una qualsiasi città araba, non si ode più il rimbombante battito sulle lamiere e il rumore lancinante dei martelli pneumatici, perché tutta l’attività commerciale dello scalo marittimo è completamente finita. E come l’attività commerciale non alludiamo soltanto a quello della realizzazione di imbarcazioni che ormai stavano superando le 13 mila tonnellate di stazza lorda, ma anche quella che per decenni aveva offerto lavoro ai dipendenti della «Compagnia Lavoratori Portuali», e cioè il carico e lo scarico di merci varie (grano, farina, bulloni, olio e altre derrate alimentari e no). Senza contare poi che nel porto di Viareggio per anni e anni è stata di stanza la più importante e numerosa flottiglia peschereccia d’Italia dopo quella di Mazara del Vallo in Sicilia.

In sostanza, centinaia di posti lavoro perduti per strada, ma che finalmente hanno risolto – si fa per dire – l’annoso interrogativo se quello di Viareggio doveva essere considerato un porto commerciale o un porto turistico, e – nel dubbio – quale dei due doveva essere privilegiato. Ebbene, scomparso prima il cantiere «Mb Benetti» e poi fallito quello «Sec», l’industria navale mercantile è uscita dalla comune lasciando ampio spazio a quella d’indirizzo turistico che, fortunatamente, almeno per il momento sembra guardare al futuro con un certo ottimismo, anche se, operando sui mercati internazionali facilmente individuabili, può risentire da un momento all’altro di contraccolpi negativi per crisi politiche, economiche e militari.

Attualmente – al di là delle aziende artigianali che ristrutturano o riparano ogni tipo di naviglio da diporto, che garantiscono la manutenzione ordinaria e straordinaria e i rimessaggi custoditi – sono quattro i marchi di fama mondiale che garantiscono occupazione specializzata nel settore: il «Perini Navi» (grandi imbarcazioni a vela – fino a 60 metri – totalmente computerizzate), il «Codecasa», l’«Azimut» e l’«Overmarine» (tutti e tre impegnati nella realizzazione di «motor yacht»). Ed a proposito di quest’ultimo c’è da dire che entro il prossimo anno dovrà consegnare ben dieci «motor yacht» da 33 metri ciascuno – una commessa da 200 miliardi delle vecchie lire – che è costretto a costruire su terreni posti alla periferia della città.

E qui entrano in ballo, oltre alla cronica mancanza di spazio utile per un logico ampliamento dell’attività cantieristica, altre considerazioni negative: manca un asse di penetrazione che colleghi il porto alle grandi vie di comunicazione esistenti nell’immediato entroterra; la necessità di un fondale non più soggetto a periodici insabbiamenti, mentre è diventata indispensabile la realizzazione di un più facile accesso dal porto alla «passeggiata a mare» della città, dove si concentra la maggior parte degli esercizi commerciali di ogni genere e tipo.

Più in generale, infine, esiste a Viareggio una colpevole carenza di servizi turistici di qualità, senza i quali risulta piuttosto difficile – se non addirittura impossibile – sottrarre la clientela che conta agli approdi ormai saturi di posti-barca, ma abbondantemente dotati di questi servizi (vedi la Riviera Ligure di Ponente e la Costa Azzurra).

Come si può constatare, una situazione alquanto contraddittoria che è necessario sanare, perché il turismo da diporto non si fa soltanto costruendo imbarcazioni, ma anche e soprattutto ospitando in maniera adeguata coloro che possono permettersi di acquistarle. Sul «fronte del porto» di Viareggio non c’è quindi solo il silenzio dell’attività della grande cantieristica, ma anche quello – certamente più sottile – di un’ospitalità che porti valuta pregiata.I servizi• Livorno, un sogno durato poco• Piombino, la parola d’ordine è diversificazione• Porto S. Stefano: pesca in ribasso• Il marmo è la forza di Carrara• Le maglie nere delle spiagge toscane