Vita Chiesa

2 novembre, il giorno dei defunti. Seppellire i morti, sappiamo ancora come si fa?

Seppellire i morti: lo sappiamo ancora fare o è una delle tante cose che abbiamo imparato troppo in fretta a demandare ad altri? Nei fatti, i morti li seppellisce il becchino al cimitero. Dei documenti e dei permessi se ne occupa l’impresa funebre. Il rito lo presiede perlopiù il sacerdote. Eppure seppellire i morti va oltre tutto questo. Tempo fa, percorrendo la navata centrale al termine di un funerale, davanti ai miei occhi il portone spalancato sul sagrato di Santa Verdiana e alle mie spalle il greve rumore dei passi di chi portava sulle spalle la bara e il lutto composto dei presenti, mi sono chiesto: «Don Alessandro, dove lo stai portando? dove li porti tutti? al cimitero soltanto?».Seppellire i morti ha un prima, un adesso e un poi. Il prima richiede accompagnamento; l’adesso vicinanza; il poi la custodia, la memoria e l’impegno. La morte non giunge sempre allo stesso modo. Non è la stessa cosa seppellire una persona cara o un perfetto sconosciuto, un morto di morte prematura o improvvisa o chi da tempo lottava contro un male incurabile o per età già andava spegnendosi giorno dopo giorno esaurendo forze e respiro. È intorno alla salma ormai ricomposta, specialmente quando ancora è nella sua casa, nel suo letto come nel sonno, che si inizia a fare i conti con la sepoltura, con il momento in cui quella persona sarà tolta al respiro, al contatto e allo sguardo. Emergono a fiotti i ricordi ed è lì che occorre accompagnare il tempo improvvisamente fattosi denso e liquido, infido come sabbia mobile nella quale annaspi ma non vuoi scomparire: lì, dove il nodo della relazione si è come sciolto e non sappiamo se e come riannodarlo.Accompagnare significa spendere poche parole – talvolta nessuna – e prendere per mano, pregare, affidare e ringraziare. In chiesa è la povera fede di un’assemblea comunque composta a stringersi attorno alla Parola e al memoriale della Pasqua. Cristo è risorto e la nostra fede non è vana. Spesso si tratta di un vero e proprio abbraccio comunitario. Nei paesi, lo stringersi affettuoso di un popolo intero che dice a un amico: «Io ti sto accanto e ti sono vicino». Infine si va al cimitero. Oggi questo non sempre accade e la difficoltà ad affrontare la morte e il lutto talvolta spinge a scelte contrarie alla tradizione cristiana. Il cimitero è luogo sacro: raccoglie il ricordo delle famiglie e di un popolo, la dignità e la storia delle persone con l’impronta che hanno lasciato su questa terra. Qui la sepoltura si fa memoria, non per rifuggire il presente ripiegando su un passato che non torna, ma per custodire ciò che non deve essere perduto e farne il punto di partenza per un impegno rinnovato e una responsabilità più piena, quella di far tesoro dell’eredità che ci è stata lasciata. Non c’è torto più grande che si può fare a chi ci ha preceduto di chiudere il libro della vita sulle pagine di ieri senza continuare a scriverne il racconto del domani con generosa e consapevole libertà.Seppellire i morti non è cosa semplice e scontata. Non è soltanto gettare un pugno di terra sulla bara o firmare dei fogli e neppure elevare una qualche preghiera. È opera di misericordia: dà ai miseri il cuore, senza dimenticare che davanti alla morte siamo veramente tutti miseri, mendicanti di senso e pienezza di vita che solo il Crocifisso Risorto può dare.