Vita Chiesa

50° Comunità Giovanni XXIII: Ramonda, «gli ultimi siano protagonisti di una società più umana»

«Ci sentiamo chiamati all’accoglienza della vita, prima e dopo la nascita, in ogni condizione e circostanza in cui essa è debole, minacciata e bisognosa dell’essenziale. E alla cura di chi soffre per la malattia, per la violenza subita e per l’emarginazione». Lo ha detto Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23), stamani al Palacongressi di Rimini, dove si è svolta la celebrazione dei 50 anni della Comunità fondata da don Oreste Benzi, con la partecipazione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Il presidente ha quindi indicato «gli ultimi, gli emarginati non solo come oggetto di assistenza, ma come protagonisti di una società che, grazie a loro, diventa più umana, più accogliente». E ha indicato l’obiettivo della Comunità: «Mettere la vita con la vita e rimuovere le cause dell’emarginazione». Dopo aver ricordato l’accoglienza, nei giorni scorsi, di 51 profughi giunti dal Niger, Ramonda ha affermato che «riteniamo la scelta dell’accoglienza imprescindibile». «I profughi in mare vanno soccorsi, salvati e integrati, privilegiando i corridoi umanitari». Riferendosi ai giovani «catturati da nuove dipendenze», il presidente ha presentato l’esperienza delle comunità terapeutiche, «basate sulla relazione, sulla responsabilità, aperte a una dimensione spirituale, dove la salvezza non è data da qualcosa ma da qualcuno». E, ancora, l’impegno nella liberazione delle donne vittime della tratta. «Sono settemila quelle salvate negli ultimi 30 anni». Venti cooperative sono state aperte sul territorio nazionale, invece, per dare lavoro a giovani e diversamente abili. «Promuoviamo la scuola del gratuito basata sulla valorizzazione delle capacità di ciascuno – ha concluso Ramonda -. Ci attiviamo per leggi e politiche giuste collaborando con chiunque, senza alcun legame ideologico o di partito».

«Chiediamo l’istituzione di un ministero della pace che sviluppi anche un’educazione alla nonviolenza nelle scuole», ha detto ancora il presidente della Comunità. Ramonda ha ricordato l’impegno per la pace dei giovani del servizio civile nazionale e internazionale, «in prima linea in zone di conflitto», per «lanciare ponti e costruire gesti di pace»: «Siamo in Colombia, in Libano, in Iraq, in Palestina e in Israele – ha aggiunto -. Investiamo ancora troppo per armi e guerre, mentre riteniamo che sia necessario investire sulla pace».

L’intervento di Sergio Mattarella. «Siete testimoni, siete propagatori di speranza, che si fa concreta e diviene realtà se, come diceva don Oreste Benzi, metto la mia vita con la tua vita, se comincio a costruire insieme agli altri qualcosa che inizialmente appare difficile, ma poi si rivela uno straordinario salto in avanti verso una condizione di giustizia maggiore», ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento stamani al Palacongressi di Rimini. «Abbiamo bisogno di sentirci più comunità, nel nostro come negli altri Paesi, aiutare chi ha maggiore bisogno, tendere la mano agli ultimi per portarli fuori da una condizione di marginalità, accogliere i più poveri per condividere con loro un percorso di crescita sociale – ha aggiunto il Capo dello Stato -. Non sono solo atti di solidarietà, ma impegni che arricchiscono anzitutto chi se ne rende artefici». Il presidente ha poi indicato «l’ambiente in cui l’individuo riesce a realizzarsi», cioè «la comunità», che «rimuove gli ostacoli e le barriere che creano emarginazione, iniquità». Poi l’attenzione del presidente Matterella si è concentrata sulle disuguaglianze: «Nella società non ci possono essere scarti, ma soltanto cittadini di identico rango e di uguale importanza sociale».

«Dobbiamo abbattere le barriere che discriminano – ha proseguito il Capo dello Stato – . Vi sono barriere che sono reali, altre che sono di convinzione, di mentalità. Sono barriere che creano esclusione e pregiudizi». «Occorre coraggio, ma andare incontro agli altri per realizzarsi insieme è la nostra realtà, la nostra più profonda vocazione», ha evidenziato il Capo dello Stato. Mattarella si è ancora soffermato sulle «diversità che rendono la nostra vita più aperta, completa, più vivace e anche più forte». Quindi, l’incoraggiamento a «superare le barriere che creano cattiva abitudine». Parlando della tratta di esseri umani, il presidente della Repubblica ha indicato «un impegno molto forte per quanto ci riguarda, un impegno inderogabile» per «combattere senza tregua la tratta degli esseri umani e la riduzione in schiavitù». «Questa piaga non è debellata – ha aggiunto -. Lo vediamo nelle nostre strade. Nessuno può mettere a tacere la propria coscienza di fronte al persistere di questo mercato infame. Meno che mai può farlo lo Stato. E non può esserci incertezza o confusione». Il Capo dello Stato ha ribadito che «non sono le vittime della tratta a dover essere perseguite ma gli sfruttatori». «L’azione di contrasto va svolta nel nostro Paese, al suo interno, ma anche sul piano internazionale. E quest’opera va integrata con politiche di cooperazione e progetti di pace e di sviluppo».

Il messaggio del card. Bassetti. A Ramonda è giunto anche un caloroso messaggio del presidente della Cei. «Cinquant’anni non sono pochi. Soprattutto, perché li avete vissuti assumendo in prima persona le contraddizioni e le sfide di questo nostro tempo. Il diario di questi anni ne racconta le risposte: puntuali, concrete, generose», ha scritto il card. Gualtiero Bassetti. «Davanti ai miei occhi – rivela Bassetti – scorrono immagini indelebili di questi anni, dal memoriale abbraccio di san Giovanni Paolo II alla ragazza nigeriana liberata dalla tratta – era il Giubileo del Duemila – alla visita di Papa Francesco a una vostra casa famiglia, uno dei segni più forti dell’Anno santo della misericordia». «Accanto all’attenzione dei Pontefici, a mia volta – prosegue il cardinale – porto nel cuore i tanti di voi incontrati nelle diverse parti d’Italia e anche all’estero: persone – laici, soprattutto – che hanno preso sul serio il mandato del Vangelo, fino a mettere la loro vita accanto a quella degli ultimi, in quella ‘condivisione diretta’ – per usare le parole di don Oreste Benzi – che nasce dalla consapevolezza che l’altro mi appartiene, è vita che interpella la mia e nella fraternità la rende più feconda».

Bassetti ricorda l’«impegno educativo accanto a ragazzi adolescenti», le «prime Case famiglia», «le comunità terapeutiche, nate non a caso, nel travaglio degli anni Settanta». E ancora «l’impegno di recupero e liberazione delle donne vittime dello sfruttamento e della prostituzione» e «la preghiera davanti agli ospedali, segno di attenzione per la vita nascente e richiamo a percorrere ogni strada pur di salvarla». Il presidente della Cei richiama anche l’impegno verso i «40mila poveri, che in oltre quaranta Paesi del mondo trovano in voi una porta aperta, una pronta accoglienza, una famiglia, un tessuto sociale».

«Di questa storia – sottolinea Bassetti – è parte integrante e qualificante l’impegno a rimuovere le cause che provocano ingiustizia. Come infatti ripeteva don Oreste, ‘non può essere dato per carità quello che deve essere compiuto per giustizia’». Il presidente della Cei conclude affermando che «vorrei farvi sentire la vicinanza attenta e solidale dell’intera Chiesa italiana, di quella Chiesa che – con la vostra testimonianza quotidiana – contribuite a rendere visibile e incontrabile».