Vita Chiesa

50 anni di Migrantes. Don De Robertis, «un cammino da proseguire accanto ai tanti che sono in viaggio»

«In questi cinque volumi è tracciato un cammino, che è ancora all’inizio e che dobbiamo proseguire perché è ancora incompiuto. Si tratta del cammino di tante persone che oggi sono in viaggio per i motivi più diversi ma è anche il cammino della Chiesa che ha il compito di camminare accanto a queste persone. Un cammino che siamo chiamati tutti a percorrere facendoci noi stessi stranieri». Lo ha affermato don Gianni de Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes, chiudendo a Roma la presentazione di «Impronte e scie. 50 anni di Migrantes e migranti» (Tau Editrice), opera scritta da Simone Varisco. A 30 anni dalla nascita della Fondazione Migrantes e ad oltre 50 dell’Ufficio centrale per l’emigrazione italiana (Ucei) che l’ha preceduta, in cinque volumi viene ripercorso l’itinerario degli immigrati e dei profughi che giungono alle nostre frontiere, ma anche quello dei sempre più numerosi emigranti italiani all’estero, dei rom e dei sinti, nonché dei circensi, dei fieranti e della gente dello spettacolo viaggiante.

«Quello della Chiesa italiana è stato un impegno costante, difficile perché è difficile far passare il messaggio che il migrante va considerato nella sua integralità di persona», ha spiegato Varisco. «L’idea prevalente, purtroppo sbagliata – ha aggiunto -, è quella della migrazione come emergenza alla quale rispondere con strumenti e iniziative, contingenti e limitate che spesso rischiano di abbandonare il migrante a se stesso». «A questo – ha proseguito – si somma l’idea del migrante come persona con soli bisogni materiali (cibo, alloggio)». Per Varisco, «questi 50 anni ci dimostrano che c’è invece stato un impegno costante della Chiesa che è andato oltre agli interventi materiali, sacrosanti perché senza cibo o senza alloggio è più difficile coltivare la fede. Ma questi non bastano a soddisfare la persona nella sua integralità». «Da qui – ha rilevato – l’attualità di una storia della pastorale e la necessità di continuarla anche oggi». Alcuni passaggi significativi di questa storia sono stati richiamati da mons. Silvano Ridolfi, ultimo direttore dell’Ucei e memoria viva della pastorale migratoria in Italia. «Il nome ‘Migrantes’ – ha affermato – è nato ispirandoci a ‘Caritas’: dicendo ‘Migrantes’ volevano sottolineare i soggetti delle migrazioni, perché le persone che emigrano sono più importanti del fenomeno».

«Le migrazioni sono un segno dei tempi non solo da leggere ma da scrutare, bisogna andare a fondo», ha affermato questa mattina mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e già direttore generale di Fondazione Migrantes, nel suo intervento. Ricordando «la presenza in Italia di 198 nazionalità diverse e 5 milioni di migranti nelle nostre comunità e città», mons. Perego ha richiamato le «quattro passioni di Migrantes». «La prima – ha spiegato – è quella per la conoscenza dei migranti». Per questo, «l’impegno di Migrantes perché l’azione pastorale della Chiesa fosse aggiornata sulle migrazioni e sulla mobilità umana». Ciò è stato possibile anche con il «favorire la nascita di strumenti come il Dossier e il Rapporto immigrazione». Ma oltre allo studio del fenomeno sociale, non è mancato «una ricerca di studio e un contributo importante per quanto riguarda le leggi» da quella Foschi, alla Bossi-Fini, «con proposte e critiche rispetto ad alcuni passaggi».

C’è poi «la passione per l’accoglienza». «Migrantes – ha rilevato Perego – ha aiutato la Chiesa ad avere un volto accogliente», aiutandola ad essere «una Chiesa in cammino per una santità ospitale». Oggi, «5 su 10 nelle comunità cristiane coniugano immigrazione e paura». Anche da qui la necessità di «educare le comunità sul tema dell’incontro e di costruire un percorso di attenzione all’altro come a te stesso». L’arcivescovo ha poi parlato della terza passione, quella «per l’accompagnamento». Che significa «accompagnare e prendere per mano chi è in cammino, educando la comunità a non lasciare nessuno fuori dalla porta delle Chiese». L’accompagnamento – ha aggiunto – «chiede alla Chiesa di stare in città, anche in periferia» e implica l’impegno per «salvaguardare la tutela della dignità della persona, della famiglia». Questa è la quarta passione, quella «per la dignità dell’uomo». Da qui, per esempio, l’impegno per i ricongiungimenti famigliari, aspetto per il quale «l’Italia è al penultimo posto per i tempi, visto che ci vogliono 8 anni».