Vita Chiesa

ABITANTI DIGITALI, LE CONCLUSIONI DEL CONVEGNO: ABITARE LA RETE DA CATTOLICI

Un “grande respiro di fiducia, di speranza, d’incoraggiamento”. Con quest’immagine mons. Claudio Giuliodori, presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, ha concluso oggi a Macerata il convegno “Abitanti digitali” promosso dall’Ufficio per le comunicazioni sociali e dal Servizio informatico della Cei. Nella Chiesa italiana gli “operatori dei media e della cultura”, secondo il vescovo, non sono marginali e l’ambiente digitale è motivo di un “salto di qualità”, ricordando che “siamo nel digitale, ma con la consapevolezza che non ne saremo risucchiati dentro”. Creare “partecipazione, ricchezza, condivisione è il modo di abitare la rete da cattolici”.La Chiesa, aveva sottolineato mons. Giuliodori nell’omelia della Messa che ha aperto la giornata, “è da sempre chiamata ad annunciare nei territori tradizionali, consolidando quei percorsi che ci hanno visto per secoli tramandare la fede”; oggi, tuttavia, che “i territori si allargano e diversificano”, “tutta l’opera evangelizzatrice è scossa da questo nuovo contesto”, rispetto al quale occorre prestare attenzione ed essere “formati”. “Come la Chiesa all’inizio ha avuto il coraggio d’interrogarsi sui territori e le persone a cui portare il messaggio”, anche noi oggi “dobbiamo avere il coraggio di confrontarci con questa nuova realtà”. Chiudendo i lavori, il vescovo ha infine delineato quattro piste che la comunità ecclesiale deve tener presente rispetto ai media: educare “in spirito e verità” ossia “lasciarsi guidare dallo Spirito”; avere “un’ottica diacronica” favorendo “uno scambio vitale tra generazioni” nei media; promuovere “l’interazione tra i diversi soggetti” con “un sempre maggiore confronto tra i diversi settori della pastorale”; “inculturare” cioè “cogliere la persona nella sua interezza”, coniugando “i nuovi territori digitali e quelli tradizionali in un percorso d’integrazione armonica”.Il vero “tesoro”, la vera “perla preziosa”, è il fatto che “in questi anni abbiamo costruito una rete di relazioni” che “dobbiamo contemplare con ammirazione”. È una delle ricchezze dell’esperienza del quotidiano che Francesco Ognibene, caporedattore di “Avvenire”, ha messo in rilievo nella tavola rotonda sulle “possibilità di convergenza digitale”. “Noi non facciamo informazione broadcast, ovvero da uno a molti, ma siamo uno strumento nelle mani della gente e sono tante le iniziative che abbiamo fatto per portare una proposta cristiana dentro la comunicazione”. Passando al rapporto tra giornale di carta e web, Ognibene ha notato che un quotidiano è “come un’opera d’arte alla quale si lavora per una giornata intera, nulla è lasciato al caso”, mentre nel web “tutto è più vorticoso e le notizie si possono aggiornare ogni ora, ogni minuto, opportunità appassionante ma angosciante”. Tuttavia, anche in questo contesto l’elemento più importante “è far trasparire chi siamo. Chi ha un contatto con noi non deve trovare una scaletta di notizie fatta bene, ma soprattutto uno sguardo educato”. Secondo Ognibene con “ogni strumento” – giornale di carta, sito, pagine dei social network – “dobbiamo far trasparire la nostra identità profonda”. ”La rete – ha rilevato Francesco Zanotti, presidente della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici), organismo che comprende 189 testate giornalistiche diocesane – detta i ritmi e condiziona i rapporti, perché è una finestra costantemente aperta sul mondo. È una realtà con la quale ci dobbiamo confrontare, è la realtà stessa del mondo moderno”. “I missionari – ha spiegato – partivano e partono ancora oggi per abitare altri continenti e diffondere la buona notizia e la verità del Vangelo. Noi che ci troviamo in questo continente digitale dobbiamo a nostra volta abitarlo e farci vicini alle persone, condividere la nostra buona notizia con loro e diffondere il bisogno di senso”. La persona è importante, ha rimarcato il presidente Fisc, evidenziando come “anche dietro un ‘clic’ ci sono sempre uomini e donne che devono essere amati e rispettati”.Saverio Simonelli, responsabile dei programmi culturali di “Tv2000”, ha portato al convegno l’esperienza del mondo televisivo, segnalando la crescita esponenziale d’immagini che “bombardano” la giornata dell’utente, tanto da creare il rischio di una “confusione tra reale e virtuale”. Ha quindi ricordato la necessità di un discernimento costante dinanzi al video: “Occorre educare le persone a distinguere il piano del vissuto che sperimentiamo e quello dell’immagine lontana da noi”. La tv – ha segnalato – mette in contatto con la cronaca, aiuta ad ampliare gli orizzonti, ci porta altrove, accanto ad altre storie e ad altre persone, ma “è altro rispetto alla vita”. E, per Simonelli, “il web corre questi stessi pericoli”; tanto che, ha aggiunto, “Facebook non è un prolungamento della vita: spesso ci si perde tempo, non sempre ci s’incontra o vi s’instaurano relazioni” costruttive. In questo senso i giovani sono forse più esposti a queste derive. “Da qui – è la conclusione – s’impone la necessità di addestrare le persone, nello spazio della finzione e del virtuale, a cercare il volto dell’altro” e dunque ad entrare in un contatto vero e costruttivo. ”Fare informazione e dare informazioni sono due attività diverse”, ha precisato il direttore del SIR, Paolo Bustaffa, ricordando come internet rischi di “eliminare ogni mediazione giornalistica”. “La rete – ha riconosciuto – è una grande opportunità, ma senza la mediazione giornalistica circa la veridicità e la gerarchizzazione delle notizie” è “la verità a rischiare di essere posta fuori campo”. Certamente “le nuove tecnologie in un quadro in continuo movimento – ha osservato – pongono interrogativi provocatori e sarebbe un errore non considerarli e non cercare risposte all’altezza della sfida, all’altezza della posta antropologica in gioco”. Però “non si possono sacrificare competenze, regole, criteri e percorsi etici a una tecnologia che autorizza molti a ritenersi giornalisti”: la rete, ha messo in guardia Bustaffa, “deve prendere maggior consapevolezza che non può pensare e costruire il proprio futuro sulla debolezza o sull’assenza del giornalismo”. Piuttosto “la verità, cercata, ascoltata e narrata, esige un’alleanza tra nuove tecnologie, antiche tecnologie e giornalismo. Se i tre soggetti non percorreranno questa strada insieme, la rappresentazione della verità, che è molto amata dal potere, dall’ideologia e dal qualunquismo, avrà partita vinta sulla rete e sulla carta. Ecco perché – ha concluso – oltre ai ‘new media’ si dovranno tenere sotto attenta e permanente osservazione anche gli ‘old media’, cioè la televisione e i giornali stampati: il futuro dell’informazione dipende in buona parte ancora da loro”. (Sir)