Vita Chiesa

Abbé Pierre, le avventure di un prete stravagante

di Graziano ZoniPresidente Emmaus ItaliaHo avuto il privilegio e la responsabilità di condividere 35 anni della mia vita con l’Abbé Pierre. Lo conobbi, la prima volta a Firenze, nel marzo 1971 dopo una conferenza in Palazzo Vecchio. L’emozione per quei suoi occhi così pungenti, per la sua voce tuonante contro ogni ingiustizia, non la dimenticherò mai. Anche perché da quegli attimi di emozione è scaturito un impegno in Emmaus che dura tuttora, a livello nazionale ed internazionale e che cerco di «modellare» come posso ricordando le sue parole e soprattutto le sue azioni sempre piuttosto originali per la giustizia e la fraternità, da un capo all’altro del mondo.«Lo Spirito soffia dove e come vuole. Ma non basta. Occorre che noi siamo come vele tese perché il vento, il soffio dello Spirito ci trovi pronti e possa essere efficace».

Rivedendo oggi la vita un po’ «stravagante» di questo «prete fuori da tutti gli schemi», come lo ha definito il suo amico cardinale Roger Etchegaray, con le diverse, infinite provocazioni e realizzazioni di cui è stato capace riusciamo a capire come ha saputo «essere disponibile al soffio dello Spirito» ed anche come il Signore si sia divertito a «mandargli all’aria i suoi programmi».

A 16 anni decide di farsi cappuccino, ma dopo qualche anno deve lasciare il convento a causa della salute cagionevole. Viene nominato vicario alla cattedrale di Grenoble. Lì una notte accoglie in casa dei polacchi ricercati dalla Gestapo e li aiuta, falsificando i loro documenti e accompagnandoli in Svizzera attraverso le Alpi. E così si iscrive nelle Guide Alpine per moltiplicare questi soccorsi. Partecipa alla resistenza partigiana. Dopo la guerra gli viene chiesto di diventare deputato. Rimane cinque anni e poco più. Con l’indennità parlamentare acquista una vecchia casa a Neuilly-Plaisance, alla periferia di Parigi, e la ripara lui stesso. Ha in programma di farne un ostello internazionale della gioventù per poter far incontrare i giovani di tutta Europa, figli di coloro che si erano reciprocamente uccisi durante la guerra, affinché potessero conoscersi meglio e dar vita insieme ad una nuova società di fraternità e di pace. Chiama questo ostello «Emmaus», pensando ai discepoli del Vangelo che riconoscono Gesù nello spezzar del pane ed abbandonano la paura e se ne ritornano di corsa a Gerusalemme.

Ma presto, anche questo programma salta. Un incontro particolare (novembre 1949) segna ancora di più la condivisione della sofferenza degli ultimi, dei senza cittadinanza, senza casa, senza pane, senza tutto: l’incontro con Georges. Georges aveva ucciso suo padre in un momento di rabbia e di follia. Scontata una ventina d’anni di lavori forzati, ritorna a Parigi. Sua moglie convive con un altro uomo; ci sono bambini che portano il suo nome, ma non sono suoi… nessuno vuole più saperne di lui, perché è ammalato, alcolista… Disperato, vuole farla finita. Tenta di togliersi la vita. Non ci riesce. Quando l’Abbé Pierre arriva al capezzale di Georges, gli dice: «Georges, tu sei libero, se vuoi ucciderti, nulla te lo impedisce… ma prima di riprovarci, perché non vieni ad aiutarmi a terminare le venti case per senzatetto che sto costruendo illegalmente? Da solo non ce la faccio…».

Il volto di Georges cambiò improvvisamente. Accettò… capì che era, che poteva essere ancora utile a qualcuno, a qualcosa. Appena dimesso dall’ospedale, si mise con l’Abbé, a lavorare… in solidarietà. E così nacque la prima comunità Emmaus. «Per caso» come ha sempre detto l’Abbé Pierre. Ma l’Abbé sapeva bene che dietro quel «caso» c’era il Soffio dello Spirito che si divertiva… Oggi Emmaus è un Movimento internazionale presente in 42 paesi del mondo con oltre 300 gruppi e comunità.

È facile vedere, in questo episodio, quanto l’Abbé Pierre rispettasse la persona umana. Non solo ritenne Georges capace, lui così disperato, di dargli una mano, ma addirittura questa proposta non fu fatta «per recuperarlo», per «reinserirlo» come si direbbe oggi. No. L’Abbé gli disse: «Prima di ritentare di suicidarti…». Il suo rispetto per Georges arrivò a questo livello, per noi, forse, eccessivo o quantomeno strano. Il rispetto assoluto anche della sua libertà.

Rispetto e fiducia nella Persona. Caratteristiche che l’Abbé Pierre ha sempre vissuto ed ha saputo infondere nel movimento Emmaus. A chi bussa alla porta delle nostre Comunità infatti, non viene chiesto nulla del proprio passato. Se sia credente o meno, di destra o di sinistra, «regolare» o «clandestino». Gli si chiede se ha bisogno di mangiare, di farsi una doccia, di un letto per dormire. E gli si propone «solo» di lavorare per guadagnarsi da vivere, di stare insieme in comunità e di destinare quanto rimane del frutto del proprio lavoro, in azioni di solidarietà in Italia e nel mondo. Una proposta di vita: non per avere, ma per essere! E qui sta il vero «recupero», la vera trasformazione della persona.

Quando Georges morì, dopo quindici anni di vita solidale e sobria a Emmaus, confessò all’Abbé Pierre che qualsiasi cosa gli avesse dato, quel giorno, non avrebbe risolto nulla. «Non mi mancava di che vivere! Mi mancavano valide ragioni per vivere». E Georges trovò LA ragione della sua vita, nel vivere il resto dei suoi giorni in solidarietà con gli altri, cominciando dai più deboli e dai più poveri.Come conclusione a questo semplice, provvisorio ricordo del nostro Fondatore «per caso», prete «scomodo» un po’ per tutti, dentro e fuori la Chiesa, mi sembra alquanto significativa la lettera di Pierre Hervé, ex redattore capo de L’Umanité e compagno dell’Abbé Pierre nella Resistenza: «Padre, se un giorno ci sarà qualcosa che mi porterà a condividere la tua fede e la tua speranza, più che le esortazioni appassionate ed erudite di tanti ‘predicatori’ sarà l’esempio dei tuoi amici stracciaioli. Poveri che lavorano non per arricchirsi, ma per donare».

E la Toscana deve sentirsi fiera di avere nel suo territorio quattro di queste Comunità, e deve fare di tutto, di tutto! per tenerle vive, efficaci, aperte all’accoglienza ed alla provocazione: «Comunità di poveri che lavorano non per arricchirsi ma per donare!».

Le quattro comunità in ToscanaLaterina (Arezzo)La Comunità è nata nel dicembre del 1972. Mediamente, accoglie 23 persone, molte delle quali hanno una permanenza superiore ai 5 anni. L’area di lavoro è la provincia di Arezzo, ed occasionalmente quella di Siena. La sede è a Laterina, nel comune di Pergine Valdarno, tel. 0575/896558. San Martino alla Palma (Firenze)E’ l’ultima nata tra le comunità Emmaus in Toscana. Furono i responsabili dell’Opera Madonnina del Grappa di Firenze a segnalare il bisogno urgente di una Comunità Emmaus nell’area fiorentina, e dettero la disponibilità a cedere l’uso della loro Villa a San Martino alla Palma, nel Comune di Scandicci, per concretizzare la proposta: la Comunità nasce nel 1983. Da allora ha accolto una media di 15 persone provenienti dalle diverse esperienze di esclusione e di emarginazione. Particolarmente attivo e costante il collegamento con il vicino carcere di Solliciano e con la Madonnina del Grappa. Tel. 055.768718. Castelnuovo (Prato)Le 5 persone che nel 1978 aprirono la comunità Emmaus a Le Caserane sono diventate attualmente, 30 e vivono a Castelnuovo. Un paese come tanti altri, nella campagna pratese a due passi dalla strada provinciale che collega Prato con Poggio a Caiano. Il metodo di lavoro e di vita è quello «classico» delle Comunità Emmaus: raccolta a domicilio di ferro, carta, stracci, vetro ed oggetti vari, sgombro gratuito di soffitte e cantine. Questo materiale viene professionalmente selezionato e riutilizzato. Il superfluo di alcuni, diventa la risposta alle necessità di altri… Il «cantiere» ed il «mercatino dell’usato», e naturalmente, il lavoro dei Comunitari sono la fonte economica della vita e della solidarietà della Comunità. Emmaus, a Prato, ha dato vita al negozio « Artigiani nel Mondo», situato in Via Convenevole 42, ove possono essere acquistati oggetti dell’artigianato africano, asiatico e latinoamericano. Ancora, a Narnali, la Comunità ha favorito un centro di smistamento di indumenti usati con la collaborazione di alcune persone ospiti di una Casa Famiglia di Iolo. Tel. 0574/541104. Quarrata (Pistoia)La Comunità è situata su una delle tante colline che circondano Quarrata, piene di olivi e di vigneti, e accoglie persone in difficoltà, ex-carcerati, ex-etilisti… Oltre al lavoro classico di Emmaus del recupero, selezione e vendita di materiale usato, la Comunità si sostiene anche con l’attività agricola, specie della produzione di olio d’oliva. L’ambiente è piccolo, e l’accoglienza massima è di 10 persone. Tel. 0573/750044. La sua ultima volta in Toscana: «Tutti insieme, continuiamo»La grande sede di Emmaus, a Laterina (Arezzo) è affollata di «compagnons». Sono giunti dall’Europa, dall’Africa e dall’America per festeggiare i trent’anni di quella comunità. Per salutare l’Abbé che è lì in mezzo a loro. Ed è facile riconoscerlo, la barba bianca, il fisico esile e quegli occhi, vivi come fuoco. «Ho riservato per voi il discorso più lungo», esordisce. Quel discorso, in realtà, contiene solo tre parole: «Tutti insieme, continuiamo!». Era il maggio 2003. La cronaca diventa storia ora che quell’abbraccio con la sua gente diventa l’ultimo, in Toscana, ora che l’Abbé Pierre ha raggiunto l’Amico tanto atteso.

«Tu sei un polmone di Dio», così lo aveva definito in quei giorni Luigi Ciotti. E come un buon polmone la sua vita è stata un pompare aria nuova nella vita di migliaia di diseredati, di ex carcerati, di alcolizzati, di persone senza speranza. Il lunedì di Pasqua del 1949 l’ incontro con un uomo disperato, di cui riesce a sventare il suicidio, è la scintilla che accende il fuoco di Emmaus. Quell’uomo diviene un suo prezioso collaboratore nel cammino di costruzione delle comunità impegnate nel più paradossale dei servizi: uomini rifiutati dalla società si rifanno una vita raccogliendo, risistemando e rivendendo ciò che la società rifiuta, come carta, stracci, metalli, vecchi mobili.

«Bisogna servire per primo chi soffre di più» è una delle sue espressioni più famose. Parole che sono energia, scossa, vibrazione; e dall’epicentro di Parigi questo terremoto di dignità e di amore arriva in tutto il mondo: oggi gli «stracciaioli» di Emmaus sono presenti in tutto il mondo. Ma mentre le sue comunità crescono, l’Abbé trova spazio anche per far sentire la sua voce in difesa dei poveri. «Da Dio ho ricevuto un dono – dirà – quello di far passare alcune mie idee servendomi di insolenze moderate». Sono famose le sue provocazioni come l’occupazione di case vuote per segnalare l’emergenza abitativa, come le continue denunce pubbliche: nel 1954, in un inverno rigidissimo a Parigi riesce a coinvolgere un intero Paese in soccorso dei senzatetto che rischiano di morire di freddo e spinge il governo francese a finanziare la costruzione di 12mila nuovi alloggi. «L’insurrezione della bontà»: così in Francia ricordano quell’episodio.

Nel suo Paese l’Abbé Pierre è nel cuore di tutti: per anni la classifica del cittadino più popolare lo vede al primo posto, lui, il prete dei senzatetto, davanti ora a Jean Paul Belmondo ora a Zidane. Ma lo conoscono e lo amano anche in tutto il resto del mondo per le sue battaglie accanto agli ultimi, in difesa della pace. E per la forza delle sue intuizioni, sempre rivestite di concretezza: «Per me esistono solamente tre certezze: Dio è amore, nonostante tutto; noi siamo amati, nonostante tutto; noi siamo liberi, nonostante tutto».

Solo negli ultimi anni accetta di frenare i ritmi instancabili della sua vita. Il suo rifugio sono due stanze, alla periferia di Parigi. È qui che lo incontro ormai ultranovantenne per una intervista che compare nel suo libro di poesie Foglie sparse, pubblicato dalla Fraternità di Romena. Quanto tempo potrà dedicarmi? Gli chiedo timido, davanti alle poche energie che gli restano e alla voglia di non approfittarne. «Quanto ne occorre», risponde. Parliamo per due ore. Di tutto. Anche di quell’appuntamento con la morte, atteso già allora: «Non stiamo andando verso uno sconosciuto, verso un giudice. Si va a incontrare un amico. L’amico che ci aspetta, l’amico di cui si ha bisogno».

L’ora dell’incontro è arrivata, lunedì sorso. Per salutarlo e ringraziarlo non bastano, come a lui, tre parole. Sceglierei una sua, indimenticabile frase: «La vita è un minuzzolo di tempo concesso alle nostre libertà per imparare ad amare».Massimo Orlandi