Vita Chiesa

Aborto: cardinale Betori, se ‘privatizzato’ la donna sarà ancora più sola

Questo il testo dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, durante la Messa celebrata oggi nella cattedrale di Santa Maria del Fiore

Il cielo è l’immagine con cui cerchiamo di rappresentarci la destinazione trascendente a cui siamo chiamati, l’unione perfetta con Dio, la meta verso cui ci hanno preceduti Gesù, nella sua Ascensione, e Maria, nella sua Assunzione. A questa immagine mi affido per avviare la nostra riflessione nella festa dell’Assunta, a cui è dedicata la nostra Cattedrale, in questo anno in cui celebriamo l’inizio della costruzione della sua cupola, avvenuto seicento anni e otto giorni fa. La cupola è un potente invito a volgere il nostro cuore al cielo, ovvero, con le parole dell’Apocalisse, al «tempio di Dio che è nel cielo» (Ap 11,19a), sia per il suo innalzarsi oltre l’orizzonte dello sguardo comunemente attratto dalle cose umane, sia per il suo riprodurre un cielo a portata di sguardo per quanti si raccolgono in questo spazio sacro.  Questa tensione verso l’oltre della vita, oltre quanto possiamo di essa percepire nei giorni terreni, e questo desiderio di renderci prossima, quasi tangibile, la presenza di Dio, che abita il cielo, animò i nostri padri a sfidare le capacità costruttive del tempo, trovando in Filippo Brunelleschi l’uomo che seppe misurarsi con l’estremo infinito e ricreare per noi un cielo, in cui poi si sarebbero stagliate, ad opera di Giorgio Vasari e Federico Zuccari, le figure della gloria divina, esito del giudizio di Cristo sulla storia, in cui si colloca la Vergine Assunta alla destra del suo Figlio. In questo mistero, che pone in evidenza l’assoluta alterità di Dio rispetto alla condizione umana e la sua volontà di condividere il suo amore con le sue creature, si colloca oggi la figura di Maria Assunta. La mostra in particolare il testo dell’Apocalisse, nella rilettura che ne fa la liturgia della Chiesa. È lei la Madre che offre al mondo il Signore della storia, l’immagine della Chiesa contro cui si scagliano invano le potenze infernali, la donna vestita di sole per la quale Dio ha preparato un rifugio che la sottrae alle vicende di questo mondo e la introduce nella pace dell’eternità. Nella vicenda di Maria giunge a pieno compimento il disegno che Dio ha preparato per la salvezza degli uomini e che, come ha ricordato san Paolo, ha trovato in Cristo, e nella sua vittoria sulla morte, lo strumento e la primizia. La vittoria sulla morte, da Cristo si estende a quelli che sono di lui, cominciando dalla Madre. Così che la festa di oggi è annuncio di gioia e di speranza per tutti noi, perché in Maria assunta nel cielo di Dio possiamo riconoscere la meta della nostra vita. Le letture bibliche ci esortano inoltre a pensare questo primato della trascendenza, figurato nel cielo dell’Assunta, come un’indicazione che non ci fa uscire dalle nostre responsabilità storiche, ma, come illustrano le parole di Maria nella pagina evangelica, contribuisce a dare una lettura della storia con categorie che contrastano quelle mondane per offrire ad essa una speranza umanamente inattesa. Questo accade in quanto proiettare le vicende umane verso la meta trascendente del cielo si svela come un potente correttivo delle logiche di prepotenza che annientano il volto vero dell’umanità e sconfigge superbi, potenti e ricchi per esaltare umili, affamati, quanti temono Dio. E questo con un processo di redenzione della storia mediante l’esercizio della misericordia che tocca sia l’anima della serva del Signore sia le generazioni del popolo dei figli di Dio. Il richiamo al cielo, alla trascendenza, che ci orienta oltre le cose visibili e caduche appare di particolare rilevanza in questi giorni in cui l’esperienza della fragilità, che tutti ci riguarda e che la pandemia ha svelato nella sua radicalità, se non ben intesa potrebbe rischiare di gettare nella disperazione. Il necessario richiamo che ci giunge a porre in crisi i miti dell’autosufficienza e dell’illimitata potenza dell’umano, per una riconquistata consapevolezza del limite, non deve alimentare sentimenti di abbandono e di angoscia. Il limite che sperimentiamo deve piuttosto farci comprendere che la nostra vulnerabilità non può essere curata dalle prospettive di un postumano frutto di azioni sempre meno legate alle relazioni personali e sempre più affidato agli esiti di atti tecnologici, come già accade nella fecondazione artificiale; un mondo abitato da uomini bionici, con la conseguente creazione di squilibri sociali legati alle possibilità economiche di accesso al ricambio degli organi. Non sono questo scenari postumani e transumani la risposta al limite; lo è invece la scoperta, proprio grazie al limite, dell’altro e dello spazio che egli deve poter occupare nella mia vita per renderla piena. Se io non sono e non posso essere tutto, solo l’incontro con l’altro può dare compimento alla mia attesa di pienezza. Di questa ricchezza del limite, che apre alla condivisione e alla cura, abbiamo visto testimonianze feconde tra noi in questi tempi di emergenza sanitaria. Viene spontaneo pensare che altrettanta fecondità possa scaturire dall’incontro e dalla dedizione anche nella presente e futura emergenza economica e sociale. Il cielo dell’Assunta non è una condizione individuale, ma comunitaria, se è vero che Maria è solo la prima di un popolo di beati che attende di compiersi nella fine dei tempi. Anche questo messaggio assume particolare rilevanza oggi, un tempo in cui siamo chiamati come mai a pensarci nella nostra responsabilità sociale, che sola potrà porre ostacolo alla continuazione della diffusione del virus. Ma il richiamo è anche a chi ha il compito di prendersi cura delle persone nella vita sociale, in cui solo la logica della vicinanza e dell’accompagnamento può sconfiggere le paure della solitudine e dell’abbandono. In tale prospettiva appare doveroso segnalare che non è un segno incoraggiante la logica di privatizzazione che sta dietro alle recenti modifiche normative che permettono di lasciare ancora più sola la donna di fronte al dramma dell’aborto. Farsi carico dell’altro e creare condizioni di condivisione è principio che deve valere in tutte le vicende critiche dell’esistenza umana, da quella appena ricordata a quella delle tradizionali e nuove sacche di povertà e di emarginazione, fino al sempre urgente problema migratorio. I richiami sono forti ed esigenti, ma ancor più forte e ricco è il messaggio di speranza che viene dall’odierna festa. Una speranza ben fondata, perché il cielo del nostro desiderio non è un traguardo di trascendenza irraggiungibile, ma una meta alla nostra portata. Non per nostra capacità, ma per dono di Colui che è il nostro salvatore e ci colma della sua misericordia. Il cielo si è chinato sulla terra, si è fatto vicino a noi, e noi siamo resi capaci di opere celestiali. La stessa ardita trascendenza che dà forma alla nostra cupola innervi di sé la vita quotidiana di questa città, perché uomini e donne che la abitano siano capaci di opere di condivisione e di bellezza che rovescino le logiche di potere del mondo.