Vita Chiesa

Abusi: Congregazione Dottrina della fede, un “vademecum” per aiutare le diocesi

Il nuovo documento, diffuso oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede, “non è testo normativo, non innova la legislazione in materia, ma si propone di rendere più chiaro un percorso”, si legge nell’introduzione, nella quale “se ne raccomanda l’osservanza, nella consapevolezza che una prassi omogenea contribuisce a rendere più chiara l’amministrazione della giustizia”.

Destinatari del Vademecum, in primo luogo, “gli ordinari e agli operatori del diritto che si trovano nella necessità di dover tradurre in azioni concrete la normativa canonica circa i casi di abuso sessuale di minori compiuti da chierici”. L’auspicio dei promotori è che questo strumento possa aiutare le diocesi, gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, le Conferenze episcopali e le diverse circoscrizioni ecclesiastiche “a meglio comprendere e attuare le esigenze della giustizia su un delictum gravius che costituisce, per tutta la Chiesa, una ferita profonda e dolorosa che domanda di essere guarita”.

I riferimenti principali sono i due Codici vigenti (Codex Iuris Canonici e Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium) e le Norme sui delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della fede, nella versione emendata del 2010, emanate con il motu proprio “Sacramentorum Sanctitatis Tutela”, tenuto conto delle innovazioni apportate dai Rescripta ex Audientia del 3 e 6 dicembre 2019, dal Motu proprio “Vos estis lux mundi” e dalla prassi della Congregazione per la Dottrina della fede, “che negli ultimi anni si è sempre più precisata e consolidata”.

“Trattandosi di uno strumento duttile, si prevede che esso possa essere aggiornato periodicamente, ogni qual volta si dovesse modificare la normativa di riferimento o la prassi della Congregazione rendesse necessarie precisazioni ed emendamenti”, spiega il dicastero pontificio, precisando che “non sono state volutamente contemplate nel Vademecum le indicazioni sullo svolgimento del processo penale giudiziale nel primo grado di giudizio, nella convinzione che la procedura illustrata nei Codici vigenti sia sufficientemente chiara e dettagliata”.

No a distinzione tra “efebofilia” e “pedofilia”

“Rapporti sessuali (consenzienti e non consenzienti), contatto fisico a sfondo sessuale, esibizionismo, masturbazione, produzione di pornografia, induzione alla prostituzione, conversazioni e/o proposte di carattere sessuale anche mediante mezzi di comunicazione”. Il nuovo Vademecum della Congregazione per la dottrina della fede su su alcuni punti di procedura nel trattamento dei casi di abuso sessuale di minori commessi da chierici definisce così la tipologia del delitto di abuso sessuale da parte di chierici con minori, che “comprende ogni peccato esterno contro il sesto comandamento”. Il concetto di “minore” per quanto riguarda i casi in questione è variato nel tempo, si fa notare nel testo: fino al 30 aprile 2001 si intendeva la persona con meno di 16 anni di età, mentre dal 30 aprile 2001, quando fu promulgato il motu proprio “Sacramentorum Sanctitatis Tutela”, l’età è stata universalmente innalzata ai 18 anni, ed è l’età tuttora vigente. Il fatto che si parli di “minore” non incide sulla distinzione, che si desume talora dalle scienze psicologiche, fra atti di “pedofilia” e atti di “efebofilia”, ossia con adolescenti già usciti dalla pubertà: “la loro maturità sessuale non influisce sulla definizione canonica del delitto”, si precisa nel Vademecum, in cui si ricorda che la revisione del motu proprio “Sacramentorum Sanctitatis Tutela, promulgata il 21 maggio 2010, ha sancito che al minore va equiparato anche l’“adulto vulnerabile”, descritto come “ogni persona in stato d’infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all’offesa”. Il motu proprio “Sacramentorum Sanctitatis Tutela” ha inoltre inserito tre nuovi delitti che riguardano una tipologia particolare di minori, ossia “acquisire, detenere (anche temporaneamente) e divulgare immagini pornografiche di minori di 14 anni (dal 1 gennaio 2020: di 18 anni) da parte di un chierico a scopo di libidine in qualunque modo e con qualunque strumento”. I tre delitti citati sono canonicamente perseguibili solo a partire dall’entrata in vigore del motu proprio , cioè dal 21 maggio 2010, mentre la produzione di pornografia con minori va perseguita anche prima di tale data. Ne diritto dei religiosi appartenenti alla Chiesa latina, il delitto di abuso “può comportare anche la dimissione dall’Istituto religioso”. Le stesse regole, “con gli opportuni adattamenti”, valgono anche per i membri definitivamente incorporati nelle Società di Vita apostolica.

Cautela su fonte anonima ma tutte le notizie dei delitti vanno accolte con “la debita attenzione”

In materia di pedofilia, per “notitia criminis” si intende “qualunque informazione su un possibile delitto che giunga in qualunque modo all’Ordinario o al Gerarca”: “Non è necessario che si tratti di una denuncia formale”. A precisarlo è il Vademecum della Congregazione per la Dottrina della fede su su alcuni punti di procedura nel trattamento dei casi di abuso sessuale di minori commessi da chierici, diffuso oggi, in cui si raccomanda “molta cautela” qualora la notizia del delitto provenga “da fonte anonima, ossia da persone non identificate o identificabili” e si ricorda che la notizia può avere varie fonti, compresi i mass media, i social media e le “voci raccolte” dalla gente. “L’anonimato del denunciante non deve far ritenere falsa in modo automatico tale notitia”, si precisa nel Vademecum: “tuttavia, per ragioni facilmente comprensibili, è opportuno usare molta cautela nel prendere in considerazione tale tipo di notitia, che non va assolutamente incoraggiato”. Allo stesso modo, “non è consigliabile scartare aprioristicamente la notitia de delicto che perviene da fonti la cui credibilità può sembrare, ad una prima impressione, dubbia. Anche se vaga e indeterminata, essa deve essere adeguatamente valutata e, nei limiti del possibile, approfondita con la debita attenzione”. Per quanto riguarda la notizia di un atto di pedofilia commesso da un chierico appresa in confessione, “è posta sotto lo strettissimo vincolo del sigillo sacramentale”: “Occorrerà pertanto che il confessore che, durante la celebrazione del Sacramento, viene informato di un delictum gravius, cerchi di convincere il penitente a rendere note le sue informazioni per altre vie, al fine di mettere in condizione di operare chi di dovere”, la disposizione del testo, in cui si danno precise indicazioni anche per l’ordinario locale: “L’esercizio dei doveri di vigilanza in capo all’Ordinario e al Gerarca non prevede che egli debba esercitare continui controlli investigativi a carico dei chierici a lui soggetti, ma non consente neppure che egli si esima dal tenersi informato circa le loro condotte in tale ambito, soprattutto se sia giunto a conoscenza di sospetti, comportamenti scandalosi, condotte che turbano gravemente l’ordine”.

Omissione indagine previa è delitto perseguibile

“Anche in assenza di un esplicito obbligo normativo, l’autorità ecclesiastica presenti denuncia alle autorità civili competenti ogni qualvolta ritenga che ciò sia indispensabile per tutelare la persona offesa o altri minori dal pericolo di ulteriori atti delittuosi”. È quanto dispone il Vademecum della Congregazione per la Dottrina della fede su su alcuni punti di procedura nel trattamento dei casi di abuso sessuale di minori commessi da chierici, in cui si danno indicazioni molto dettagliate su come svolgere l’indagine previa e si fa presente che “considerata la delicatezza della materia, il giudizio circa l’assenza di verisimiglianza (che può portare all’omissione dell’indagine previa) sarà emesso solo in caso di manifesta impossibilità”, ad esempio nel caso in cui risulta che, al tempo del delitto di cui è accusata, la persona non era ancora chierico o se risulta evidente che la presunta vittima non era minorenne. “Pur mancando il delitto con minori, ma comunque in presenza di condotte improprie e imprudenti – si legge inoltre nel testo – se la cosa è necessaria per proteggere il bene comune e per evitare scandali, rientra nei poteri dell’Ordinario e del Gerarca prendere altri provvedimenti di tipo amministrativo nei confronti della persona segnalata, o imporle rimedi penali al fine di prevenire i delitti, oppure la riprensione pubblica”. Il compito dell’indagine previa spetta all’Ordinario o al Gerarca che ricevuto la notizia del reato, “o a persona idonea che egli avrà individuato”, che la segnalerà alla Commissione per la Dottrina della fede: “L’eventuale omissione di questo dovere potrebbe costituire un delitto perseguibile”. “L’indagine previa canonica deve essere svolta indipendentemente dall’esistenza di una corrispondente indagine da parte delle autorità civili”, si rammenta nel testo, e va svolta “nel rispetto delle leggi civili di ogni Stato”. Durante l’indagine previa, si può “liberamente consultarsi con esperti in materia canonica penale”, evitando però “ogni inopportuna o illecita diffusione di informazioni al pubblico”, perché “già in questa fase si è tenuti all’osservanza del segreto di ufficio”. Invece, “a chi effettua la segnalazione, alla persona che afferma di essere stata offesa e ai testimoni non può essere imposto alcun vincolo di silenzio riguardo ai fatti”.

Su obbligo di denuncia “rispettare le leggi dello Stato” e “volontà presunta vittima”

“L’indagine previa non è un processo, e il suo scopo non è raggiungere la certezza morale in merito allo svolgimento dei fatti oggetto dell’accusa”. A ribadirlo è il Vademecum della Congregazione per la Dottrina della fede su alcuni punti di procedura nel trattamento dei casi di abuso sessuale di minori commessi da chierici, in cui si ricorda che nell’indagine previa “l’importante è ricostruire, per quanto possibile, i fatti su cui si fonda l’accusa, il numero e il tempo delle condotte delittuose, le loro circostanze, le generalità delle presunte vittime, aggiungendo una prima valutazione dell’eventuale danno fisico, psichico e morale procurato”. Se l’Ordinario o il Gerarca competente ritiene opportuno avvalersi di altra persona idonea per svolgere l’indagine, “la stessa persona non potrà in esso svolgere la funzione di giudice”, si precisa nel testo. La denuncia di un abuso non può “generare pregiudizi, ritorsioni, discriminazioni”: di qui la necessità, per chi compie l’indagine, di tutelare la “buona fama”, che “è un diritto dei fedeli”. Qualora, però, “sia in pericolo il bene comune, la diffusione di notizie circa l’esistenza di un’accusa non costituisce necessariamente una violazione della buona fama”. Non mancano, nel testo, indicazioni per la diffusione di una notizia di reato: “Soprattutto quando si debbano diffondere pubblici comunicati in merito, bisogna adoperare ogni cautela nel dare informazioni sui fatti, per esempio usando una forma essenziale e stringata, evitando clamorosi annunci, astenendosi del tutto da ogni giudizio anticipato circa la colpevolezza o innocenza della persona segnalata”. Nei pubblici comunicati o nelle comunicazioni private, inoltre, va evitata “qualsiasi affermazione a nome della Chiesa, dell’Istituto o Società, o a titolo personale, in quanto ciò potrebbe costituire un’anticipazione del giudizio sul merito dei fatti”. “Le denunce, i processi e le decisioni relative ai delitti sono soggette al segreto di ufficio”, si ricorda nel testo: “Questo non toglie che il denunciante – soprattutto se intende rivolgersi anche alle autorità civili – possa rendere pubbliche le proprie azioni. Inoltre, poiché non tutte le forme di notitiae de delicto sono denunce, si può eventualmente valutare quando ritenersi obbligati al segreto, sempre tenuto presente il rispetto della buona fama”. Quanto all’obbligo dell’Ordinario o del Gerarca di “dare comunicazione alle autorità civili della notitia de delicto ricevuta e dell’indagine previa aperta”, per il dicastero pontificio i principi applicabili sono due: “Si devono rispettare le leggi dello Stato; si deve rispettare la volontà della presunta vittima, sempre che essa non sia in contrasto con la legislazione civile e incoraggiando l’esercizio dei suoi doveri e diritti di fronte alle autorità statali, avendo cura di conservare traccia documentale di tale suggerimento, evitando ogni forma dissuasiva nei confronti della presunta vittima”.