Vita Chiesa

Assemblea Cei, la prolusione di Bagnasco: «Irresponsabile indebolire la famiglia»

Il suo intervento (testo integrale) ha spaziato su tanti temi, ma è partito ricordando il recente Sinodo sulla famiglia per ribadire che «l’amore non è solo sentimento, è decisione; i figli non sono oggetti né da produrre né da pretendere o contendere, non sono a servizio dei desideri degli adulti: sono i soggetti più deboli e delicati, hanno diritto a un papà e a una mamma». Di qui l’importanza di far risuonare «la bellezza e l’importanza irrinunciabile del Vangelo del matrimonio e della famiglia, patrimonio e cellula dell’umanità, costituita da un uomo e da una donna nel totale dono di sé; Chiesa domestica, grembo della vita, palestra di umanità e di fede, soggetto portante della vita sociale». «Il nichilismo, annunciato più di un secolo fa, si aggira in Occidente, fa clima e sottomette le menti», ha ammonito il cardinale citando Nietzsche e le sue domande radicali sul senso dell’esistenza. «Potrebbe essere, questo fantasma nichilista, un pungolo salutare per concentrare attenzione, sprigionare energie nuove, non essere dispersivi?», si è chiesto il presidente della Cei.

Il grazie alle famiglie. Il card. Bagnasco ha poi espresso «ammirazione e gratitudine alla moltitudine di famiglie che – nella fedeltà dei giorni e degli anni – con la grazia del sacramento e la fatica quotidiana custodiscono e fanno crescere la loro comunità di vita e d’amore». Al Sinodo, ha proseguito, «abbiamo sentito anche l’eco delle famiglie fragili e ferite: anche a loro, e alla prassi sacramentale dei divorziati e risposati, il Sinodo ha pensato con quella cura pastorale che vuole rispecchiare l’esempio di Cristo». «Una società che ascolta seriamente la realtà familiare ha stabilità e futuro», ha assicurato il presidente della Cei, secondo il quale «ovunque le difficoltà economiche – a volte al limite della miseria – incidono sulla tenuta del nucleo familiare» e servono «ulteriori sforzi perché la piaga della povertà venga superata e sia stabilmente rimossa». «Nonostante i tanti segnali di crisi dell’istituto familiare, il desiderio di famiglia resta vivo», l’analisi del cardinale, «in specie tra i giovani». Alla fine della prolusione, il cardinale è tornato a parlare di famiglia: «Vi ringraziamo a nome nostro», ha detto, e «a nome della comunità cristiana» e «anche a nome del Paese, perché siete titolo di onore e di speranza per la nostra Terra. Si parla a volte di ‘familismo’ italiano: se gli eccessi non fanno bene in nessuna cosa, il forte senso della famiglia deve renderci fieri in Italia e all’estero».

Attenzione sul Medio Oriente. «Tener viva l’attenzione della Comunità internazionale perché i gravissimi problemi, che causano migliaia di vittime e di sofferenze, siano risolti in modo equo e definitivo nel rispetto dei diritti, nella sicurezza e nella pace per tutti». È l’auspicio del cardinale Angelo Bagnasco per la Terra Santa, sulla scorta della recente visita a Gaza che la presidenza della Cei ha compiuto su invito del Patriarca latino di Gerusalemme. «Abbiamo volentieri risposto – ha spiegato il cardinale nella prolusione – per portare la vicinanza e l’affetto della nostra Conferenza ad una terra che è benedetta da Dio, ma che è paradossalmente tormentata da divisioni e conflitti. Commossi, su ogni volto abbiamo scorto il desiderio di giustizia e di pace. I nostri fratelli di fede contano sulla solidarietà delle nostre Chiese». «Respirare nella costante paura e nella continua incertezza non è vivere», la denuncia del cardinale: «Si possono facilmente ricostruire le città e i villaggi, ma è più difficile riconciliare la memoria e le coscienze». «Isolare gli estremisti è interesse comune – ha proseguito il cardinale – e la via della moderazione e del dialogo è spesso lunga e con esiti alterni, ma è la vera alternativa alla via della violenza». Nonostante tutto questo, la sua testimonianza, «abbiamo visto brillare – soprattutto sui volti dei moltissimi ragazzi e giovani – la voglia di una vita diversa, di abitare non solo le case, ma il futuro».

Eliminare i cristiani è crimine contro l’umanità. «Inaccettabile non soltanto per la coscienza cristiana, ma anche per la coscienza civile». Con queste parole il cardinale Angelo Bagnasco ha definito la volontà di eliminare ogni traccia dei cristiani in Terra Santa e in altri luoghi del mondo. «È sconcertante – ha spiegato nella prolusione – toccare con mano il pervicace progetto di eliminare la presenza cristiana dalla Terra Santa come da altre regioni sia del Medio Oriente che dei Balcani e della Terra, attraverso una persecuzione a volte evidente e brutale, altre volte subdola e mascherata, ma non per questo meno violenta». «Ciò è inaccettabile – ha spiegato – non soltanto per la coscienza cristiana, ma anche per la coscienza civile, che usa affermazioni altisonanti sui diritti umani, ma che finge di non vedere e tace di fronte ai crimini che continuano a danno dei cristiani e di altre minoranze». «Forse che i cristiani sono una presenza scomoda per progetti culturali e politici, per interessi economici e finanziari? È forse questa la vera ragione di tanta connivenza internazionale?», le domande del presidente della Cei. «Noi non possiamo tacere», ha detto: «Le comunità cristiane di tutto il mondo leveranno la voce come un’onda contro questa ingiustizia che sa di genocidio, e che raggiunge l’abiezione di crimine contro l’umanità. È una sconfitta non di una parte, ma dell’intera civiltà».

Preti capaci di scendere nella notte. «È importante promuovere e curare una formazione qualificata che crei persone capaci di scendere nella notte senza essere invase dal buio e perdersi; di ascoltare l’illusione di tanti, senza lasciarsi sedurre; di accogliere le delusioni, senza disperarsi e precipitare nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità». Per tracciare un identikit del prete, il cardinale Angelo Bagnasco ha usato le parole rivolte da Papa Francesco ai vescovi brasiliani, durante la Gmg di Rio. «Serve una solidità umana, culturale, affettiva, spirituale, dottrinale», ha proseguito, «per essere capaci di predicare il Vangelo anche quando è controcorrente rispetto al pensare comune». «Di fronte all’ora presente non ci lasciamo andare alla tentazione del lamento o del pessimismo, e neppure della ingenuità acritica», ha assicurato il presidente della Cei riferendosi al tema centrale dell’Assemblea straordinaria di Assisi: la formazione e la vita del clero. «Da tempo – ha rivelato – abbiamo desiderato metterci idealmente attorno al tavolo di casa e, come si fa in famiglia, aprire l’anima, comunicarci gioie e preoccupazioni, esperienze e proposte, pensando a coloro che hanno il primo posto nel nostro cuore di Pastori, i nostri Sacerdoti, primi collaboratori ed amici». (segue)

Il prete uomo di relazione. È dalla «comunione» che «si misura la capacità di relazione di ogni presbitero, capacità oggi tanto più importante in quanto respiriamo una cultura che parla di rapporti ma respinge i legami, in quanto li considera mortificanti dell’autonomia individuale, anziché spazio di libertà». Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, che soffermandosi sul profilo del prete ha fatto notare che oggi «si respira un clima per cui l’individuo è norma a se stesso, in una crescente allergia alle regole». Il prete è colui che «assume ogni singola umanità con le sue storie e ferite, le porta a conoscenza, le valuta e le cura con l’aiuto della grazia, dell’accompagnamento, della vita spirituale, della fraternità responsabile». «Le difficoltà derivanti dalla diminuzione del clero o da altre situazioni dolorose le conosciamo, e le affrontiamo con la nostra responsabilità di Pastori», ha detto il cardinale: «Ma ciò non offusca per nulla la realtà del nostro clero che si dedica al proprio ministero accanto alla gente con ammirevole generosità. I poveri e i bisognosi, le famiglie e gli anziani, il mondo dei ragazzi e dei giovani sono la loro famiglia». «Il Vescovo appartiene ai presbiteri e i presbiteri appartengono al Vescovo, tanto che la stessa missione ecclesiale è sempre un’azione collegiale, mai solitaria», ha spiegato il cardinale: «La profonda ragione di questo legame non è dunque di ordine umano, non si basa su simpatie o sintonie di tipo emotivo, culturale, pastorale: è un legame di natura sacramentale», dove «il sacramento ricevuto è fondamento generativo del nostro ministero e della nostra fraternità».

«Il sacerdote non è un solista del bene, ma un chiamato a vivere la fraternità presbiterale con realismo, accettando le gioie e i limiti che anche le famiglie vivono nel loro interno». Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, secondo il quale ogni prete deve «imparare a specchiarsi» nella figura di Gesù «per misurare la propria maturità umana, cristiana e sacerdotale». «In Lui – ha esortato il presidente della Cei – ognuno deve guardarsi nella verità, con fiducia e senza nascondimenti, al fine di integrare la propria affettività nella vocazione ricevuta, di far crescere l’indispensabile capacità di relazione e di collaborazione, di maturare la virtù della fortezza nelle inevitabili tensioni della vita e del ministero». «Ogni altro ausilio, pur utile o necessario che sia, deve contribuire a questa permanente relazione non solo come intimità di vita, ma anche come criterio di giudizio esigente e pieno di grazia», ha precisato il cardinale, citando l’omelia del Giovedì Santo del 2013, in cui il Papa aveva messo in guardia dal rischio del pelagianesimo. L’invito ai sacerdoti è quindi «a non vivere autoreferenziali, ma a farci dono», ha detto il card. Bagnasco esprimendo «gratitudine e affetto» a tutti i preti italiani.

A Firenze incontro di pastorale concreta. «Non un lavoro astratto, né un Convegno accademico, noi vogliamo, bensì, un incontro pastorale che, alla luce del cambiamento d’epoca in atto, favorisca lo scambio di esperienze, offra indirizzi, confermi orientamenti, avvii processi, affinché la mutazione antropologica registrata con varianti in ogni parte del mondo, possa essere affrontata con l’attrazione della testimonianza e il coraggio della parola che nasce dalla fede e dalla ragione, così come il Sinodo ha ampiamente auspicato». In questo tratto della prolusione il cardinale Angelo Bagnasco ha delineato la fisionomia del prossimo Convegno ecclesiale nazionale, che si svolgerà a Firenze dal 9 al 13 novembre, «con la desiderata presenza del Santo Padre». In questi giorni, ha annunciato il presidente della Cei, verrà presentata la «Traccia» dei lavori, e poi si «deciderà insieme» se e come continuare il lavoro nelle Regioni e nelle Diocesi. All’inizio del decennio sull’educazione, la Cei ha programmato di porre prevalente attenzione «ad intra» nei primi cinque anni, e «ad extra» in quelli successivi. L’Assemblea di maggio 2015 sarà dedicata invece ad una «riflessione sulla ricezione» della Evangelii Gaudium, a distanza di quasi un anno dalla sua promulgazione.

«Tenere desta la speranza, non scoraggiarsi nelle difficoltà persistenti e, per certi aspetti, crescenti come la disoccupazione che non cenna ad invertire la direzione». È l’invito al Paese, contenuto nella prolusione del cardinale Angelo Bagnasco, in cui si segnala che «l’occupazione – nonostante l’impegno dei responsabili – è in discesa» e si esprime l’auspicio «che si ragioni non solo in termini di finanza, ma innanzitutto di produzione e sviluppo, assicurando con ogni sforzo che il patrimonio industriale e professionale, di riconosciuta eccellenza, possa rimanere saldamente ancorato in casa nostra». «L’esperienza insegna che non esistono garanzie che tengano», ha osservato il cardinale, secondo il quale cresce il fenomeno dei «rassegnati al non lavoro», che il lavoro non lo cercano più. «Si sta perdendo una generazione», il grido d’allarme: «Che cosa sarà di tanti giovani, costretti a rimanere ai bordi di una società che sembra rifiutarli?». «È questa la globalizzazione? Quella dell’indifferenza, dell’interesse e del malaffare, anziché di una vita degna per tutti, a partire da chi ha meno o niente? I poveri e i bisognosi – di ieri e di oggi – guardano con terrore una società che corre e si allontana, rispetto alla quale loro non hanno più il passo o non l’hanno mai avuto. La globalizzazione è forse destinata ad arricchire i ricchi e a impoverire i poveri?».

«L’apprezzamento e l’impegno per la formazione e la cultura è lodevole e decisivo per una società: e ci auguriamo che prosegua con decisione e concretezza». È la parte della prolusione dedicata alla politica, nella quale il cardinale Angelo Bagnasco fa notare che «la base della cultura non sono le competenze, che ci sono e sono spesso eccellenti, ma innanzitutto la formazione globale della persona». «Il problema non è avere più informazioni, ma provare a fare sintesi», ha spiegato il cardinale, che dipinge il ritratto di una scuola «sempre più tentata dalla sirena tecnologica: naturalmente la sirena canta per bocca e per conto di chi ci specula e arricchisce. I bambini sanno usare i dispositivi tecnologici meglio degli adulti, ma la macchina fornisce dei dati, non insegna a fare sintesi». Per questo la scuola, specialmente quella dell’obbligo, ha bisogno di «adulti che, capaci e appassionati della loro missione, aprono le menti e i cuori alla verità, al pensare, alla sintesi delle conoscenze, delle competenze e delle esperienze. A questa scuola, in tutti i suoi ordini e gradi, rinnoviamo la nostra stima e l’incoraggiamento».

Dopo aver lamentato che i Centri di formazione professionale di ispirazione cattolica «non godono ancora di un’attenzione tale che faccia giustizia a loro e a tante famiglie», il cardinale ha ricordato che «le scuole cattoliche, che sono scuole pubbliche non private, non sono le scuole dei ricchi, ma di coloro che – di solito tirando il fiato per l’ingiustizia dell’apparato statale e amministrativo – si privano di molto per l’educazione dei figli, il loro vero tesoro; pagano le tasse come tutti, ma senza ricevere dallo Stato ciò che ricevono gli altri». I Centri professionali, poi, «sono il salvacondotto educativo e professionale di tanti ragazzi che vengono avviati al lavoro e alla società attraverso dei percorsi specifici. E forse, più ampiamente, vengono riconciliati con la vita». «I contributi, oggi stanziati in misura nettamente inferiore agli anni passati e totalmente insufficienti rispetto alle esigenze, arrivano puntualmente in ritardo alle scuole che vivono in perenne affanno per pagare stipendi e strutture», ha osservato il cardinale.

«Rifondare la politica», per uscire dalle «macerie dell’alfabeto umano». È l’appello con cui il cardinale Angelo Bagnasco ha concluso la prolusione, tracciando un parallelo con la situazione del Dopoguerra. «Si sente parlare di patto sociale affinché – remando tutti nella medesima direzione – si possa uscire da onde travolgenti», ha esordito il cardinale: «Qualcuno fa riferimento al nostro Dopoguerra: dalle macerie delle case e delle persone, chi era in piedi ha realizzato quel patto sociale da cui è nata la Costituzione. Allora c’era un tessuto connettivo del Paese e da quello partivano le legittime differenze che, però, non impedivano di intendersi sui principi fondamentali». «Ma oggi?», si è chiesto il cardinale: «Non ci sono macerie di case da ricostruire, sembrano esserci, invece, le macerie dell’alfabeto umano». «Per poter rispondere doverosamente al ‘che cosa fare?’ – la ricetta dei vescovi – è necessario chiederci chi siamo, che cosa vogliamo essere». In altri termini, «bisogna rifondare la politica, rimettere cioè a fuoco che cosa vuol dire stare insieme, lavorare insieme per essere che cosa. Non è un esercizio astratto, ma la premessa di ogni urgente dover fare. Premessa che – nell’Italia del Dopoguerra – era chiara per tutti, anche per quanti forse non sapevano dirla a parole, ma la sentivano col cuore».

«Pensare che ora siamo in mezzo ad un groviglio da risolvere solo con capacità e determinazione, sarebbe vero ma incompleto, riduttivo», l’analisi del presidente della Cei: «In realtà, insieme all’Europa, non attraversiamo soltanto una crisi economica e strutturale, ma siamo in mezzo ad una crisi culturale da prendere sul serio». In questo senso, la proposta della Chiesa italiana, «l’Occidente dovrebbe mettersi maggiormente alla scuola di un’autorità alta, quella di coloro che soffrono, che stanno peggio, ricordando che l’ascolto delle sofferenze illumina e guida ogni politica, che intende essere forma alta di servizio».