Vita Chiesa

BENEDETTO XVI, LETTERA SUI LEFEBVRIANI: LA RICONCILIAZIONE È UNA PRIORITÀ PER LA CHIESA

“Una parola chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questo passo hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede. Spero di contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa”. Con queste parole Benedetto XVI spiega il senso della “lettera ai vescovi della Chiesa cattolica riguardo alla remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall’arcivescovo Lefebvre” (testo integrale). I quattro vescovi – Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso del Gallareta – erano stati consacrati il 30 giugno 1988 senza mandato pontificio ed erano quindi incorsi nella scomunica latae sententiae, cioè automatica, dichiarata formalmente dalla Congregazione per i vescovi il 1° luglio 1988. La remissione della scomunica è giunta con un Decreto della medesima Congregazione, firmato il 21 gennaio 2009 dal cardinale prefetto Giovanni Battista Re. Questo atto, scrive il Papa nella lettera resa nota oggi, “per molteplici ragioni ha suscitato all’interno e fuori della Chiesa cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata”. “Una disavventura per me imprevedibile – scrive Benedetto XVI – è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica”. All’improvviso, spiega, “il gesto discreto di misericordia verso quattro vescovi è apparso come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei”. A tal riguardo il Pontefice precisa che “la condivisione” e la “promozione fin dall’inizio” dei “passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio” erano state “un obiettivo del mio personale lavoro teologico”. Il fatto che si siano sovrapposti “due processi contrapposti”, prosegue il Papa, “è cosa che posso soltanto deplorare profondamente”. Ed aggiunge: “Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante Internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie”. Benedetto XVI si dice “rattristato” dal fatto che “anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco”. Proprio per questo ringrazia “tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia”, che “continua ad esistere” come “nel tempo” di Giovanni Paolo II.“La portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009”, con sui è stata rimessa la scomunica ai vescovi lefebvriani, “non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione. La scomunica colpisce persone, non istituzioni”. Questo “un altro sbaglio” che Benedetto XVI evidenzia nella “lettera”. Per il Papa si tratta di “uno sbaglio per il quale mi rammarico sinceramente”. Il Pontefice spiega che “la remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro vescovi ancora una volta al ritorno. Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità dottrinale e a quella del Concilio”. A tal proposito il Papa ribadisce che “occorre distinguere il livello disciplinare dall’ambito dottrinale. Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa”.Il Santo Padre precisa “ancora una volta” che “finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri – anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa”. Alla luce di questa situazione Benedetto XVI annuncia l’“intenzione di collegare in futuro la Pontificia Commissione Ecclesia Dei – istituzione dal 1988 competente per quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San Pio X o da simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col Papa – con la Congregazione per la dottrina della fede”. Con ciò, spiega, “viene chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi”. A tal riguardo il Papa sottolinea che “non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 — ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”.Nella “lettera ai vescovi della Chiesa cattolica” Benedetto XVI s’interroga se tale provvedimento costituisse “una priorità” e fosse “necessario”. Ebbene, osserva il Papa, “condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia” è “la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro in questo tempo”. “Da qui – precisa – deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani — per l’ecumenismo — è incluso nella priorità suprema”. “Se dunque – aggiunge – l’impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l’amore nel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e medie”.“Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine ad un grande chiasso, trasformandosi proprio così nel contrario di una riconciliazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto”, riconosce il Pontefice, domandandosi tuttavia se fosse “veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che «ha qualche cosa contro di te» e cercare la riconciliazione”. “Può essere totalmente errato l’impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l’insieme?”, si chiede il Papa, e ancora: “Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa?”. “Io stesso – afferma quindi Benedetto XVI – ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme”.Sir