Vita Chiesa

BENEDETTO XVI, MESSA DEL GIOVEDÌ SANTO: «CRISTO HA INDOSSATO I NOSTRI VESTITI»

“Cristo ha indossato i nostri vestiti: il dolore e la gioia dell’essere uomo, la fame, la sete, la stanchezza, le speranze e le delusioni, la paura della morte, tutte le nostre angustie fino alla morte. E ha dato a noi i suoi vestiti”. Lo ha detto il Papa, che nella Messa crismale celebrata oggi nella Basilica vaticana ha sottolineato come “la teologia del Battesimo ritorna in modo nuovo e con una nuova insistenza nell’Ordinazione sacerdotale”. “Come nel Battesimo viene donato uno scambio dei vestiti, uno scambio del destino, una nuova comunione esistenziale con Cristo – ha spiegato infatti Benedetto XVI – così anche nel sacerdozio si ha uno scambio: nell’amministrazione dei Sacramenti, il sacerdote agisce e parla ora in persona Christi. Nei sacri misteri egli non rappresenta se stesso e non parla esprimendo se stesso, ma parla per l’Altro – per Cristo”. In questo modo, ha aggiunto, “si rende visibile in modo drammatico ciò che l’essere sacerdote significa in generale. Metterci a disposizione di Cristo significa che ci lasciamo attirare dentro il suo “per tutti”: essendo con Lui possiamo esserci davvero per tutti”.

“Rivestirsi di Cristo”: è questo, ha detto il Papa nell’omelia della Messa del Giovedì Santo, l’“evento” che “viene rappresentato sempre di nuovo in ogni Santa Messa mediante il rivestirci dei paramenti liturgici”. Nel momento dell’Ordinazione sacerdotale, in particolare, “la Chiesa ci ha reso visibile ed afferrabile questa realtà dei vestiti nuovi anche esternamente mediante l’essere stati rivestiti con i paramenti liturgici. In questo gesto esterno essa vuole renderci evidente l’evento interiore e il compito che da esso ci viene: rivestire Cristo; donarsi a Lui come Egli si è donato a noi”. Indossare i paramenti liturgici, per il Papa, “deve essere più di un fatto esterno: è l’entrare sempre di nuovo nel sì del nostro incarico – in quel non più io del battesimo che l’Ordinazione sacerdotale ci dona in modo nuovo e al contempo ci chiede. Il fatto che stiamo all’altare, vestiti con i paramenti liturgici, deve rendere chiaramente visibile ai presenti che stiamo lì in persona di un Altro”. In questa prospettiva, ha spiegato Benedetto XVI, “gli indumenti sacerdotali sono una profonda espressione simbolica di ciò che il sacerdozio significa”: di qui il tema dell’omelia papale, che intende “spiegare l’essenza del ministero sacerdotale interpretando i paramenti liturgici”.

È nello “sguardo del mio cuore”, che “deve essere rivolto verso il Signore che è in mezzo a noi”, il segreto del “giusto modo del celebrare”. A raccomandarlo ai sacerdoti è stato oggi il Papa, nella Messa crismale nella Basilica vaticana, in cui si è soffermato sul significato dei parame ti liturgici. A partire dall’amitto, che “in passato veniva posto prima sulla testa, come una specie di cappuccio, diventando così un simbolo della disciplina dei sensi e del pensiero necessaria per una giusta celebrazione della Santa Messa”. Di qui le raccomandazioni papali ai sacerdoti: “I pensieri non devono vagare qua e là dietro le preoccupazioni e le attese del mio quotidiano; i sensi non devono essere attirati da ciò che lì, all’interno della chiesa, casualmente vorrebbe sequestrare gli occhi e gli orecchi. Il mio cuore deve docilmente aprirsi alla parola di Dio ed essere raccolto nella preghiera della Chiesa, affinché il mio pensiero riceva il suo orientamento dalle parole dell’annuncio e della preghiera”. In particolare, per Benedetto XVI “lo sguardo del mio cuore deve essere rivolto verso il Signore che è in mezzo a noi. Se io sono col Signore, allora con il mio ascoltare, parlare ed agire attiro anche la gente dentro la comunione con Lui”.

“Diventare insieme con Lui persone che amano, per sperimentare così sempre di più quanto è bello portare il suo giogo”. Si è conclusa con questo auspicio l’omelia del Papa per la Messa del Giovedì Santo, dedicata ad una riflessione sul sacerdozio attraverso la “lettura” dei paramenti liturgici. Riferendosi alla casula, Benedetto XVI ha ricordato che “portare il giogo del Signore significa innanzitutto: imparare da Lui. Essere sempre disposti ad andare a scuola da Lui. Da Lui dobbiamo imparare la mitezza e l’umiltà – l’umiltà di Dio che si mostra nel suo essere uomo”. Citando poi una frase di San Gregorio Nazianzeno, che alla domanda “perché Dio abbia voluto farsi uomo” ha risposto: “Dio voleva rendersi conto di che cosa significa per noi l’obbedienza” – il Papa ha confidato: “A volte vorremmo dire a Gesù: Signore, il tuo giogo non è per niente leggero. È anzi tremendamente pesante in questo mondo. Ma guardando poi a Lui che ha portato tutto – che su di sé ha provato l’obbedienza, la debolezza, il dolore, tutto il buio, allora questi nostri lamenti si spengono”. “Il suo giogo – ha concluso il Papa – è quello di amare con Lui. E più amiamo Lui, e con Lui diventiamo persone che amano, più leggero diventa per noi il suo giogo apparentemente pesante”.

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