Vita Chiesa

Battesimo, cosa chiede la Chiesa ai genitori?

A tutti o ad alcuni? La «provocazione» di Campanini e la replica di De MarcoNel caso del Battesimo, «componenti tradizionali, rituali, a volte quasi magiche sembrano avere di gran lunga la prevalenza sulla proposta di fede». È questa la «provocazione» lanciata, con una lettera su Avvenire, dallo storico Giorgio Campanini. «Vi è da domandarsi – prosegue Campanini – se l’attuale prassi – quella di non negare a nessuno, credente o non credente, il battesimo – sia proprio quella più ecclesiasticamente corretta e se, senza cedere a tentazione manichee, si possa consentire anche per il futuro un battesimo senza catechesi (dei genitori e, forse soprattutto, dei padrini)». Su questo tema ha scritto, a Toscanaoggi, Pietro De Marco, sociologo della religione all’Università di Firenze e alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, che invita a riflettere su questo atteggiamento che definisce «neorigorista», rivolto a negare il Battesimo in assenza di una adeguata catechesi. Campanini, chiede De Marco, «ritiene davvero che l’efficacia, direi l’effettività, del sacramento del Battesimo sia vincolata al grado di maggiore o minore consapevolezza nella fede di genitori e padrini? Non credo lo pensi, e non solo perché anche i laici di generazione non giovane hanno sentito parlare di ex opere operato: il sacramento sortisce i suoi effetti per il fatto steso d’essere amministrato, secondo la potenza e promessa di Cristo». L’intervistadi Riccardo BigiIn una società «scristianizzata», in cui la partecipazione alla vita della Chiesa è sempre più un fatto di pochi, c’è un dato che impressiona: l’altissimo numero di genitori che chiedono il battesimo per i figli. L’abitudine di battezzare i neonati, anche da parte di coppie «lontane» dalla comunità ecclesiale, spinge a porsi alcune domande sul Battesimo come occasione di evangelizzazione e di catechesi. Ma può spingere anche a chiedersi, come ha fatto qualcuno, fino a che punto sia giusto concedere a tutti il Battesimo e se non sia invece il caso di chiedere ai genitori, prima, un cammino di preparazione.

«È un tema delicato – afferma monsignor Simone Giusti, responsabile della commissione regionale per la catechesi e la dottrina della fede – e bisogna stare attenti ad evitare, da un lato, posizioni “facilone”, per cui si concede il Battesimo senza chiedere niente, magari senza neanche incontrare prima i genitori; ma anche posizioni “rigoriste” per cui se i genitori non passano tutta una serie di “prove” non possono ricevere il Battesimo per i figli».

Per capire il problema, spiega monsignor Giusti, bisogna inquadrarlo storicamente: «Nella storia della Chiesa, il battesimo veniva dato agli adulti e prevedeva un cammino di almeno tre anni, durante il quale veniva fatta anche una scrutatio fidei, ossia si verificava che gli atteggiamenti morali pubblici denotassero un cambiamento di vita. La prassi della chiesa attuale per il battesimo degli adulti ripercorre lo stesso schema: il battesimo di un adulto richiede un lungo cammino, con una scansione precisa. Per il battesimo dei bambini, il discorso è completamente diverso. Già nella tradizione apostolica, si trova che gli Apostoli battezzano gli adulti con la loro famiglia: per la fede dei genitori venivano battezzati anche i bambini. Il problema allora è la fede dei genitori: la domanda da porsi è se i genitori che chiedono il battesimo hanno fede. Attenzione, però, questo non vuol dire chiedere che abbiano una vita morale corretta. Spesso si rischia di prendere come unico elemento quello relativo alla situazione matrimoniale, alla convivenza, a eventuali divorzi alle spalle: non può essere questo il metro per verificare la fede dei genitori. Anche nella storia della Chiesa non è mai stato necessario, ad esempio, per il battesimo dei bambini, il fatto che i genitori facessero entrambi la comunione. Quello che viene chiesto è semplicemente una professione di fede».

Cosa fare allora di fronte, ad esempio, a una coppia non sposata che chiede di battezzare il figlio?

«Di fronte a una coppia convivente che chiede il battesimo, ma che non ha intenzione di sposarsi, bisogna stare bene attenti: bisogna fare attenzione, ad esempio, a proporre con troppa insistenza il matrimonio, perché si rischia di creare vincoli matrimoniali che sono già nulli in partenza se non c’è la reale volontà di stare insieme per tutta la vita. Di recente la Diocesi di Parma, proprio in vista di un direttorio per il Battesimo, di fronte ad alcune incertezze venute fuori nella discussione ha chiesto alla Santa Sede se le coppie conviventi potevano ricevere il Battesimo per il loro bambino: la risposta della Santa Sede è stata di sì, perché una condizione di immoralità, ma nella fede, non è ostativa». Quali sono allora, se ci sono, le condizioni che la Chiesa chiede ai genitori?«La domanda è: i genitori hanno la fede? Bisogna tenere conto però che può essere anche una fede in germe, una fede povera. Nella tradizione della Chiesa, si è addirittura battezzato interi popoli per la fede di un re: la Chiesa si è in un certo senso accontentata di una fede incipiente. Una fede che avrà bisogno poi di maturare e crescere attraverso una catechesi mistagogica: una catechesi cioè che aiuti a comprendere il valore e il significato dei misteri celebrati. E poi ci soccorre Sant’Agostino, che ci ricorda che si battezza non nella fede di coloro che chiedono il Battesimo, ma nella fede della Chiesa».Cosa devono fare quindi le parrocchie? «Occorre sicuramente almeno un colloquio, per attestare la fede dei genitori: nel caso in cui entrambi si professino atei, è evidente che per concedere il battesimo ci vogliono dei garanti, che possono essere i nonni. Può essere anche uno solo dei genitori che si professa credente: anche in questo caso il Battesimo può essere amministrato. Starà alle parrocchie poi cogliere l’occasione del Battesimo del figlio come occasione formativa per i genitori: questo non significa mettere le forche caudine da superare prima del Battesimo ma offrire delle occasioni per favorire una fede sempre più viva. In diocesi di Pisa ad esempio abbiamo chiesto, nel processo di rinnovo della prassi battesimale, la necessità di tre incontri catechistici e tre incontri liturgici per i genitori: vediamo che questa richiesta non crea problemi, anzi è ben accolta. L’importante è saperla proporre bene, non come una tassa da pagare ma come un’occasione offerta per riapprofondire la propria fede, capire il significato profondo di questo sacramento, rendersi conto della responsabilità che si stanno assumendo. Sono consapevoli che stanno facendo una scelta a nome del loro bambino? In genere, anche persone con situazioni personali compromesse, a questa domanda rispondono che la fede è un dono che hanno ricevuto, e che vogliono a loro volta donarlo ai figli». Tutto quindi va proposto in un’ottica di fermezza, ma anche di accoglienza.

«La Chiesa ha sempre avuto la saggezza dell’equilibrio, del saper discernere da caso a caso. Senza la fede non si possono ricevere i sacramenti: in questo senso, il parroco può anche decidere di differire il sacramento in attesa di una risposta di fede. Ma se la fede viene professata, il Battesimo non si può negare. Ci vuole un atteggiamento di dolce fermezza, come diceva San Francesco di Sales. Il rito del Battesimo ad esempio richiede il rinnovo, da parte dei genitori, delle promesse battesimali: di questo devono essere consapevoli. “Ve la sentite – bisogna chiedere loro – di fare pubblicamente professione di fede?”».

Al di là della domanda, concedere o non concedere il Battesimo, resta la questione di come aiutare le famiglie a vivere pienamente il rito del Battesimo.

«La catechesi in Italia ha visto riforme importanti, la preparazione alla Prima Comunione è passata da pochi incontri a otto anni di catechismo, sono nati i corsi di preparazione al matrimonio: allo stesso modo, un po’ in tutte le diocesi ci si è chiesti negli ultimi anni come legare al Battesimo un momento educativo, che accompagni i genitori prima del Battesimo e possibilmente anche dopo. C’è nella nostra società una grandissima domanda educativa, a cui la Chiesa deve rispondere».

A Firenze percorsipost-battesimalidi accompagnamentoalle famiglie A Firenze percorsipost-battesimali di accompagnamentoalle famiglie«C’è una possibilità pastorale enorme legata alla prassi tradizionale del battesimo neonatale, non riconosciuta, né adeguatamente valorizzata nella pastorale ordinaria delle parrocchie». Serena Noceti, docente alla Facoltà teologica per l’Italia centrale, è responsabile per la Diocesi di Firenze della catechesi degli adulti, e segue fra le altre cose i percorsi di catechesi battesimale.

«L’identità cristiana – spiega – è un’identità battesimale: alla radice del nostro essere cristiani c’è questo dono ricevuto da Dio nella chiesa e, allo stesso tempo, tutta la nostra vita di cristiani sta sotto la logica di una appropriazione progressiva di questo dono che segna la nostra identità (il nostro essere ed esistere profondo)». In Italia – sottolinea – la prassi diffusa rimane quella del battesimo dei bambini (anche se cresce il numero degli adulti). Questa scelta è assunta e mantenuta dalla Chiesa in Italia come scelta basilare.

Il problema che si pone, allora, è quello della pastorale battesimale: «che cosa le comunità cristiane fanno per preparare i genitori al battesimo dei loro figli e che cosa fanno per accompagnare il processo di evangelizzazione che deve seguire il battesimo: tutto il complesso delle attività pastorali, catechetiche, liturgiche, che sono connesse al battesimo dei bambini tenendo presente però che ad essa è sottoteso un duplice percorso: quello della pastorale pre-battesimale e quello del post-battesimo».

Anche al proposito del Battesimo, afferma Serena Noceti, «è entrata nella mentalità comune l’importanza della formazione. È comunemente accettata dalle diocesi e dalle parrocchie l’idea di proporre un mini-corso (da 1 a 3 incontri) ai genitori dei bambini. Alla celebrazione del sacramento però segue di fatto un lungo periodo (6-8 anni) nei quali le comunità cristiane non incontrano (non interpellano) più le famiglie, né i bambini, né i genitori. C’è un vuoto pastorale che segue alla celebrazione del battesimo dei neonati: la comunità cristiana si disinteressa di fatto di coloro a cui ha donato il battesimo. A questo vuoto pastorale corrisponde per altro un “vuoto di presenza”, quello delle famiglie che hanno bambini in età prescolare che in assoluto sono i meno partecipi della vita ordinaria delle comunità cristiane». Quella dei percorsi post-battesimali è, in questo senso, un’attività pastorale sostanzialmente nuova: «non un’esperienza “classica” di preparazione a un sacramento ma una proposta di catechesi mistagogica, dopo il sacramento, per coglierne senso e forza salvifica dopo la celebrazione e grazie al sacramento stesso».

I percorsi di catechesi battesimale devono anche tenere conto della situazione particolare delle persone a cui si rivolgono: «I genitori si trovano in un momento delicato della loro vita di coppia: ci sono difficoltà nella gestione del tempo, nuovi ritmi e nuovi equilibri nella coppia (soprattutto al primo figlio). Percepiscono una svolta che sta avvenendo nella loro vita: l’assunzione di responsabilità connessa alla nascita di un figlio, la percezione di una nuova fase del loro essere adulti, l’esperienza del giocare se stessi in un rapporto di coppia, il dare vita che concretamente sperimentano tratteggiano nuovi contorni alla propria identità». Il bambino stesso poi può diventare soggetto nel processo educativo e di evangelizzazione e non oggetto di catechesi: «con la sua stessa presenza, con i suoi bisogni, con la sua curiosità e le sue scoperte, è un interlocutore reale dei genitori». A questi soggetti centrali e prioritari si aggiunge il coinvolgimento degli altri componenti della famiglia: gli altri figli, prima di tutto, e poi in secondo luogo i nonni e la famiglia allargata.

Il «luogo» della pastorale battesimale, infine, è la famiglia: «sono previsti anche incontri a livello parrocchiale, ma pensati in funzione di aiutare i genitori a scoprire la famiglia come luogo adeguato per l’educazione di fede». In pratica, nelle parrocchie in cui si svolgono i percorsi di catechesi post-battesimale, un’équipe apposita (possibilmente una coppia con figli) anima tre o quattro incontri ogni anno rivolti alle famiglie che hanno bambini in età prescolare, il cui scopo è aiutare la famiglia a vivere questo percorso di evangelizzazione in modo consapevole.