Vita Chiesa

Benedetto XVI: «è con gioia che mi unisco a voi via twitter»

«Cari amici, è con gioia che mi unisco a voi via twitter. Grazie per la vostra generosa risposta. Vi benedico tutti di cuore». Sono questi i primi 140 caratteri scritti poco fa su Twitter da Benedetto XVI all’account @pontifex_it. Al termine dell’udienza generale, infatti, un gruppo di giovani si è avvicinato al Papa con un tablet e il Papa ha scritto il suo primo breve messaggio. Al momento sono circa 1 milione i followers, numero in crescita di minuto in minuto.

Al primo «tweet» di Benedetto XVI, salutato da un applauso dei circa 4.500 fedeli, erano presenti Taddeus Jones, del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, Claire Diaz-Ortiz, di Twitter, e due studenti della Villanova University che lavorano attualmente presso il Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, Mika Rabb e Andrew Jadick, come pure la giornalista messicana Katia Lopez-Hodoyan. Nel corso della giornata – ha reso noto padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, ai giornalisti – Benedetto XVI risponderà via Twitter a tre diverse domande che sono state scelte fra quelle inviate e che provengono da tre diversi continenti. «Tutti i tweet sono stati visti e approvati da lui personalmente», ha precisato padre Lombardi rispondendo alle domande dei giornalisti.

«Come possiamo vivere meglio l’Anno della fede nel nostro quotidiano?». «Dialoga con Gesù nella preghiera, ascolta Gesù che ti parla nel Vangelo, incontra Gesù presente in chi ha bisogno». Questa la prima coppia domanda-risposta del Papa su Twitter, comparsa on line poco meno di un’ora dopo il primo messaggio di 140 caratteri inviato in diretta da Benedetto XVI al termine dell’udienza generale odierna.

La presenza del Papa su Twitter «è un’espressione concreta della sua convinzione che la Chiesa deve essere presente nel mondo digitale». Così mons. Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, spiega al Sir la presenza di Benedetto XVI sul social network, a pochi minuti dal lancio del primo tweet. «Per comprendere al meglio questa iniziativa – afferma mons. Tighe – bisogna collocarsi nel contesto della riflessione del magistero pontificio, in modo particolare di quello di papa Benedetto, sull’importanza dello spazio culturale che le nuove tecnologie hanno posto in essere. Basta pensare ai messaggi per le Giornate mondiali delle comunicazioni sociali degli ultimi anni, dove il Papa ha ribadito a più riprese l’importanza della presenza nel ‘continente digitale’, invitando i credenti a evangelizzare questo spazio. Per questo la presenza del Papa su Twitter può essere vista come un atto emblematico che sintetizza le diverse iniziative della Chiesa nel mondo dei nuovi media».

«La Chiesa – ricorda il segretario del Pccs – è già presente in maniera massiccia in questo spazio: basta pensare ai siti ufficiali di varie istituzioni e comunità, ai siti personali, ai blogs di vescovi, di altre personalità del mondo ecclesiale e di singoli credenti. La presenza del Papa su Twitter vuole essere, in sintesi, un appoggio e un incoraggiamento a quanti s’impegnano per assicurare che il Vangelo e l’insegnamento della Chiesa possano permeare il continente digitale».

Parlando del messaggio e dell’impegno che il Papa lancia alla comunità cristiana, mons. Tighe sottolinea «innanzitutto la sua disponibilità – un uomo di 85 anni – a mettersi in gioco, entrando con coraggio, ma anche con semplicità, all’interno di questo spazio comunicativo. In fondo ciò che caratterizza la Chiesa è la passione per l’umanità. Per questo il Papa, con questa sua presenza in Twitter, vuole lanciare un messaggio di speranza agli uomini di oggi, presi da mille vicissitudini e difficoltà. Benedetto XVI crede profondamente nella bontà dell’uomo. Ai credenti, poi, rivolge un invito a esprimere le loro ‘voci’, a farsi sentire, a condividere la speranza di un Vangelo che parla dell’amore di Dio per ogni uomo e donna. E, in modo particolare, a ‘non avere paura’ di conoscere e capire la nuova cultura digitale per non correre il rischio di usare un linguaggio che i nostri contemporanei non capiscono».