Vita Chiesa

Benedizione delle famiglie, trovare forme nuove per mantenere la tradizione. Intervista a don Paolo Gentili

«L’invito che arriva dai nostri vescovi è alla prudenza, ma non a restare inermi. Semmai a escogitare forme nuove per stabilire vicinanza con le famiglie, soprattutto con quelle nelle quali vivono persone malate, pur nel rispetto delle norme anti contagio».Don Paolo Gentili, vicario della diocesi di Grosseto e incaricato regionale della pastorale familiare riflette a voce alta su come ripensare un gesto caro a molti, quale la benedizione delle case, nel mentre continuiamo a fare i conti con la pandemia. Un anno fa le visite dei sacerdoti alle famiglie erano iniziate quando irruppe il lockdown, lasciando praticamente mai finito quel gesto – così bello e ancora evocativo – del bussare del sacerdote alle porte delle case per entrare e fare famiglia con chi trova al suo interno. È vero, da tempo si riflette anche sull’esigenza di ripensare in parte una tradizione che, ad esempio, è solita ripetersi in orari che ormai sono sempre meno confacenti con le abitudini delle famiglie, ma è altrettanto indiscutibile che la gente il prete lo aspetta ancora. Magari non va mai a Messa, ma la benedizione la desidera, la attende.Don Paolo Gentili, a distanza di un anno ci troviamo di nuovo in una situazione analoga alla Quaresima 2020: continua a essere difficile ogni contatto diretto con le persone, a causa della pandemia…«Purtroppo è così e non possiamo che fare i conti responsabilmente con la situazione data. Tuttavia occorre anche volgere al positivo quel che percepiamo immediatamente come negativo: è la sfida di una nuova fantasia e duttilità pastorale, che ci viene chiesta in questo tempo così complesso».La Conferenza episcopale toscana, dopo un confronto tra i Vescovi, ha stabilito che la benedizione delle famiglie quest’anno non potrà essere fatta. Per lo meno non nelle forme consuete. Tuttavia, quello dei vescovi, non è un no e basta, ma un invito a ogni diocesi a dare indicazioni «circa i tempi in cui eventualmente rinviare il gesto ovvero circa modalità nuove».«Esatto. La Chiesa italiana, fin dallo scoppio della pandemia, sta cercando di sperimentare ogni strada utile a contemperare il rispetto rigoroso delle disposizioni anti contagio con il bisogno che come pastori tutti i sacerdoti hanno di continuare a stare in mezzo alle persone. In questo senso, anche la benedizione delle famiglie non viene annullata: ci è chiesto, invece, di ripensarla. Partendo da un dato di fondo che è bene sempre tenere a mente: il gesto di benedire non è legato alle pareti, ma alle famiglie. Portare la benedizione di Dio attraverso il segno dell’acqua è fare memoria del nostro battesimo, quindi della nostra figliolanza verso Dio che è Padre e verso la Chiesa che è madre».Tuttavia la benedizione delle famiglie, per un parroco è anche un’occasione preziosa per entrare in tante situazioni che a volte sfuggono. Il rischio è che si perda anche questa opportunità…«Indubbiamente la benedizione è un’occasione per poter incontrare persone che la Chiesa non la frequentano, ma hanno comunque un legame con la comunità, così come di incontrare, talvolta, persone che magari hanno domande sulla loro vita o inerenti la fede, da condividere col sacerdote. Purtroppo la situazione attuale ci impone di non “sfidare” la prudenza e quindi di essere pastori in mezzo alla gente, ma trovando strade che mettano a riparo tutti dal rischio del contagio. Se guardiamo la situazione solo da un lato, è – diciamo – un’occasione persa. Invece mi viene da dire che non tutto è perduto».In che modo, secondo lei, si può «salvare» questo gesto?«I vescovi danno già indicazioni possibili cui ispirarsi. A chi frequenta maggiormente la parrocchia ad esempio si potrebbe suggerire un momento di preghiera in famiglia e, perché no, chiedere che si facciano promotori di un’iniziativa analoga, all’aperto e a distanza, con chi abita nel palazzo o nel vicinato, concordando un momento con il parroco in cui fare la benedizione. Mi viene da dire, insomma, che questa contingenza ci mostra anche un’altra faccia della medaglia: può diventare occasione per una maggiore responsabilizzazione del sacerdozio battesimale. Lo abbiamo tutti! L’importante è non restare inermi laddove ci è tolta la possibilità del continuare a fare come si è sempre fatto».

La nota dei Vescovi toscani

La benedizione delle famiglie: un gesto pastorale che «non potrà essere compiuto quest’anno, in questi mesi, nella consueta modalità di visita nelle case. Su questa linea di rigorosa adesione alle norme che chiedono di evitare contatti personali che creano prossimità, ogni diocesi darà proprie indicazioni circa i tempi in cui eventualmente rinviare il gesto ovvero circa modalità nuove che ne permettano l’attuazione in forma comunitaria che salvaguardi il distanziamento». Così scrivono i vescovi toscani nel comunicato della Conferenza episcopale toscana.

Alcune diocesi si sono già espresse in questo senso. È il caso di Firenze, dove una nota inviata ai sacerdoti ricorda il valore di questo «sacramentale» che può sostenere la vita di fede delle persone, oltre a essere «vero momento di incontro e di evangelizzazione» e «occasione per rendersi conto delle situazioni di malattia, di necessità economica, di bisogno, di aiuto spirituale». Oltre all’ipotesi di un rinvio, l’altra possibilità che viene suggerita è di «proporre delle celebrazioni in chiesa, a cui invitare particolari zone della parrocchia» per una Messa o una liturgia della Parola in cui «sottolineare il segno della benedizione con l’acqua lustrale per un percorso di conversione interiore, soprattutto in Quaresima». Vengono proposte anche celebrazioni in spazi aperti – cortili, piazzette, ecc. – raccogliendo il vicinato: in questi casi «vanno ovviamente richiesti i debiti permessi e occorre garantire le stesse norme di precauzione adibite per le celebrazioni nelle chiese».In questi momenti di preghiera, oltre a consegnare la lettera alle famiglie scritta dall’arcivescovo, «si potrebbero invitare i fedeli a portare con sé una piccola boccettina di acqua che – benedetta durante la celebrazione – possa essere utilizzata per la preghiera in famiglia», secondo lo schema che verrà proposto successivamente dall’Ufficio liturgico. Ricordando che «L’utilizzo dell’acqua benedetta per la preghiera in famiglia trova il suo senso più autentico in concomitanza della celebrazione della Veglia pasquale, momento liturgico centrale e fondamentale per vivere la grazia della benedizione sacramentale».Analoghe indicazioni sono state date, in questi giorni, anche dalla diocesi di Fiesole. Anche a Prato, il vescovo Giovanni Nerbini ha rilanciato tra i sacerdoti la richiesta della Conferenza toscana a trovare «modalità nuove» in modo da non cancellare del tutto la tradizione.«Studiamo la possibilità di effettuare la benedizione nelle famiglie con modalità di emergenza» è l’invito: «Per esempio – scrive Nerbini – il sacerdote potrebbe fermarsi immediatamente fuori dalla porta di casa con le persone presenti che ritrovano all’ingresso». Oppure una possibilità potrebbe essere quella di «ipotizzare un periodo immediatamente successivo alla Pasqua» per lo svolgimento delle benedizioni.