Vita Chiesa

Benelli, un «grazie» dopo 20 anni

di Silvano Piovanelli*Quella mattina del 26 ottobre 1982 mi si è stampata nel cuore. Per salvare la vita del cardinale Giovanni Benelli, il primario del reparto ospedaliero, gli assistenti, tutto il personale, avevano lottato con tutto il loro impegno e la loro professionalità, consapevoli di essere sotto gli occhi di tutta la diocesi e la città di Firenze e seguiti dalla preoccupazione della Santa Sede. Durante la notte emerse la certezza condivisa da tutti che ogni tentativo era ormai inutile e la morte era imminente.

Fu deciso allora dai parenti e da me di riportare il Cardinale in arcivescovado, perché morisse in casa sua e, finché era possibile, tra i suoi. Le suore che erano con lui e lo avevano seguito da Roma, prepararono un piccolo altare ai piedi del letto ed io cominciai la Messa. Ero confuso ed emozionato. Benché il Cardinale non fosse cosciente, io sapevo la decisione lucida che egli aveva espresso pochi giorni prima celebrando per i seminaristi:«Tutti coloro che vogliono mettersi alla sequela del Cristo per prolungare nella storia la sua missione, debbono accettare di pagare per gli altri come ha fatto Lui…. Nel mondo c’è sempre qualcuno che, per ragioni misteriose, il più delle volte incomprensibili a noi, deve pagare per gli altri». Ero profondamente convinto che quel «qualcuno» ora era lui ed io potevo offrire la sua vita insieme alla Vittima divina. Me lo rivedo ancora dinanzi, ormai esanime, sul letto diventato altare, con la faccia bianca, ma distesa, sulla quale mi pareva di poter leggere le ultime parole uscite dalla sua bocca: «Grazie!… Grazie!…».

«Grazie!… Grazie!…»: sono le parole che cantano anche nel mio cuore, ogni volta che in me riemerge il ricordo del carissimo Cardinale. Da quando poi, in obbedienza alla Chiesa, ho lasciato la responsabilità del governo pastorale della diocesi, che il Papa, con grande mio stupore e sgomento, ha voluto affidarmi dopo di lui, ho compreso ancora meglio il dono che lui è stato per la nostra Chiesa, ho misurato con crescente consapevolezza il mutamento profondamente positivo da lui operato nel nostro cammino ecclesiale.

Poco dopo la morte del Cardinale, avevo scritto al suo segretario, monsignor Italo Taddei: «Si capisce sempre meglio il ruolo che il cardinale Benelli ha avuto nella diocesi di Firenze: egli ha voltato pagina. Col passare del tempo, la sua figura non diminuisce, ma cresce: nella storia della nostra Chiesa e nel cuore della gente, specie di quanti hanno avuto la ventura di incontrarlo personalmente».Io non finisco di ringraziare la Provvidenza che ha voluto che gli stessi accanto per tre anni, dall’ottobre 1979 al 26 ottobre 1982.

Quando mi è capitato di leggere che il grande desiderio del Papa Paolo VI per la Chiesa era «abbandonare i veli caduchi del volto regale della Chiesa, per lasciare che la sua faccia povera e umile apparisse nella sua originale realtà, spoglia di ogni artificioso ornamento, ma insieme irradiante di una sua sovrumana bellezza»; quando un Nunzio apostolico, parlando di monsignor Benelli, Sostituto della Segreteria di Stato, mi ha confidenzialmente raccontato la decisa non approvazione di un progetto per la sede della Nunziatura giudicato troppo lussuoso per l’Africa, ho ripensato «la sua vita semplice ed austera, aliena da indulgenze ad ogni forma di sfarzo e capace anche di distacchi esemplari». Queste parole dette dal Papa Giovanni Paolo II nella Messa di suffragio dipingono bene com’era Benelli in Vaticano ed ancor più come viveva a Firenze.

Il dinamismo e l’entusiasmo del suo temperamento intraprendente, che in quei cinque anni di episcopato ci hanno trascinato in un’avventura quasi da Atti degli Apostoli, nascevano dalla generosità e dalla forza della sua volontà, ma erano arricchiti dall’esperienza di un’attività intensissima accanto al Papa Paolo VI in quei particolarissimi dieci anni del dopo-Concilio, quando il giovane Sostituto mise tutto il dinamismo della sua tempra di realizzatore a disposizione del Papa per aiutare il grande sforzo di dare attuazione alle direttive maturate nel Vaticano II.

Ho sempre ammirato il cardinale Benelli per l’ardore con cui si buttava a difendere le cause ritenute giuste; per la istintività polemica con cui affrontava i problemi essenziali alla vita e alla convivenza umana; per l’entusiasmo e la forza trascinatrice con cui viveva la sua meravigliosa visita pastorale; per i contatti immediati che riusciva a stabilire con la gente; per il fascino che esercitava sui giovani, per i quali diceva: «non vanno preceduti, né seguiti, occorre camminare accanto a loro».

Ma la lezione più toccante ed efficace per me è stata la sua capacità di aprire con sincerità il proprio cuore, mettendosi al nudo dinanzi agli altri. Come quando, dieci giorni prima di morire, due giorni prima di essere ricoverato in ospedale, ha introdotto l’atto penitenziale della Messa parlando della paura: «Quello che paralizza è la paura…. La malattia, la morte, nei momenti più bui: Dio mi ha abbandonato. È la più grande bestemmia. Paura di perdere prestigio, che, con una sottile vanità, noi mettiamo sul piano delle cose necessarie per poter lavorare nel Regno di Dio; e tante altre paure…. Apriamo la nostra anima allo Spirito di Dio, l’unico che può spazzare via tutte le paure».

Il giorno dei funerali io, come vescovo ausiliare, ripetei pubblicamente il «grazie» della diocesi intera per il dono che il cardinale Giovanni Benelli era stato per la nostra Chiesa fiorentina. Oggi, a vent’anni dalla morte, dopo aver esercitato per diciotto anni il ministero episcopale come suo successore, il grazie, che io, sommessamente ma intensamente, ripeto, è più convinto e commosso: senza di lui, io non sarei stato, pur nei limiti della mia povertà, quello che sono stato e noi tutti, come Chiesa di Dio, non saremmo quello che siamo, per grazia di Dio.*cardinale, arcivescovo emerito di Firenze La schedaIl cardinale Giovanni Benelli, arcivescovo di Firenze, morì il 26 ottobre 1982. Era nato a Poggiole di Vernio, in diocesi di Pistoia, il 12 maggio 1921. Dopo gli studi nel seminario diocesano, fu mandato a Roma per completare la preparazione teologica. Fu ordinato sacerdote il 31 ottobre 1943. Conseguì successivamente la licenza in Teologia e la laurea in Diritto canonico. Il 1° agosto 1947 entrò nel servizio diplomatico della Santa Sede. Nel 1950 fu inviato a Dublino come segretario della Nunziatura apostolica. Venne in seguito trasferito a Parigi (1953), Rio de Janeiro (1960), Spagna (1962). L’11 maggio 1965 fu nominato Osservatore della Santa Sede presso l’Unesco. Fu ordinato vescovo l’11 giugno 1966 e alla fine del 1967 fu chiamato da Paolo VI alla Segreteria di Stato. Fu promosso alla Chiesa fiorentina il 1° giugno 1977 e nominato cardinale nel Concistoro del 27 giugno dello stesso anno.