Vita Chiesa

CEI: MESSAGGIO GIORNATA PER LA VITA, DA EUTANASIA «RISPOSTE FALSE»

“Rispondere a stati permanenti di sofferenza, reali o asseriti, reclamando forme più o meno esplicite di eutanasia” vuol dire dare “risposte false”. A ribadirlo, “con serenità, ma anche con chiarezza”, sono i vescovi italiani, nel messaggio per la prossima Giornata nazionale per la vita, che si celebrerà il 1° febbraio sul tema: “La forza della vita nella sofferenza”. “La vita umana – si legge nel messaggio (testo integrale)del Consiglio episcopale permanente, diffuso oggi – è un bene inviolabile e indisponibile, e non può mai essere legittimato e favorito l’abbandono delle cure, come pure ovviamente l’accanimento terapeutico, quando vengono meno ragionevoli prospettive di guarigione”. Al contrario, per la Chiesa italiana, “la strada da percorrere è quella della ricerca, che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per combattere e vincere le patologie – anche le più difficili – e a non abbandonare mai la speranza”. “Talune donne, spesso provate da un’esistenza infelice, vedono in una gravidanza inattesa esiti di insopportabile sofferenza. Quando la risposta è l’aborto, viene generata ulteriore sofferenza, che non solo distrugge la creatura che custodiscono in seno, ma provoca anche in loro un trauma, destinato a lasciare una ferita perenne”. E’ quanto si legge nel Messaggio della Cei per la 31ma Giornata nazionale della vita, che si svolgerà il 1° febbraio 2009 sul tema: “La forza della vita nella sofferenza”. Per i vescovi italiani, “al dolore non si risponde con altro dolore”, ed anche come alternativa all’aborto “esistono soluzioni positive e aperte alla vita, come dimostra la lunga, generosa e lodevole esperienza promossa dall’associazionismo cattolico”. “La via della sofferenza – si legge ancora nel messaggio – si fa meno impervia se diventiamo consapevoli che è Cristo, il solo giusto, a portare la sofferenza con noi”. “È un cammino impegnativo”, ammette la Chiesa italiana, ma “quando il peso della vita ci appare intollerabile, viene in nostro soccorso la virtù della fortezza”, che “è la virtù di chi non si abbandona allo sconforto: confida negli amici; dà alla propria vita un obiettivo e lo persegue con tenacia”. In una parola, la via della croce scelta da Cristo, che “ci dimostra che nessuna sofferenza, per quanto grave, può prevalere sulla forza dell’amore e della vita”.“Se la sofferenza può essere alleviata, va senz’altro alleviata. In particolare, a chi è malato allo stadio terminale o è affetto da patologie particolarmente dolorose, vanno applicate con umanità e sapienza tutte le cure oggi possibili”. E’ il forte ammonimento contenuto nel Messaggio della Cei per la prossima Giornata nazionale per la vita, in programma il 1° febbraio sul tema: “La forza della vita nella sofferenza”. “La vita – esordiscono i vescovi – è fatta per la serenità e la gioia. Purtroppo può accadere, e di fatto accade, che sia segnata dalla sofferenza. Ciò può avvenire per tante cause. Si può soffrire per una malattia che colpisce il corpo o l’anima; per il distacco dalle persone che si amano; per la difficoltà a vivere in pace e con gioia in relazione con gli altri e con se stessi”. In ogni caso, “la sofferenza appartiene al mistero dell’uomo e resta in parte imperscrutabile”, ricordano i vescovi italiani, secondo i quali “chi soffre non va mai lasciato solo”, poiché “l’amicizia, la compagnia, l’affetto sincero e solidale possono fare molto per rendere più sopportabile una condizione di sofferenza”. Di qui l’appello della Chiesa italiana “ai parenti e agli amici dei sofferenti, a quanti si dedicano al volontariato, a chi in passato è stato egli stesso sofferente e sa che cosa significhi avere accanto qualcuno che fa compagnia, incoraggia e dà fiducia”.Non manca, nel messaggio del Consiglio episcopale permanente, un’analisi delle condizioni in cui si trova la “terza età” nel nostro Paese: “A soffrire, oggi – scrivono i vescovi italiani – sono spesso molti anziani, dei quali i parenti più prossimi, per motivi di lavoro e di distanza o perché non possono assumere l’onere di un’assistenza continua, non sono in grado di prendersi adeguatamente cura”. “Accanto a loro, con competenza e dedizione, vi sono spesso persone giunte dall’estero”, si legge nel messaggio a proposito della figura delle “badanti”, sempre più presenti nelle nostre case: “In molti casi – sottolinea la Cei – il loro impegno è encomiabile e va oltre il semplice dovere professionale: a loro e a tutti quanti si spendono in questo servizio, vanno la nostra stima e il nostro apprezzamento”.