Vita Chiesa

Card. Betori: strage in Kenya, «tutti dovremmo dire “je suis chrétien”»

Da una parte la luce della Resurrezione, dall’altra le tenebre causate dalla malvagità umana. Quello della Pasqua, ha sottolineato il Cardinale «è un annuncio di speranza consolante nelle traversie di una storia, quella umana, in cui gli orizzonti tenebrosi del male non sembrano mai scomparire, fino a spingerci a ritenere che, preda del male, la storia dell’uomo sia priva di un senso accettabile, incapace di dare ragioni a un impegno a fare cose buone per il bene di tutti. Gli scenari di questi giorni sembrano avvalorare questa difficoltà a scorgere un significato alla storia umana e fino a indurre molti alla disperazione e all’abbandono».

Il pensiero è andato «alle recenti stragi di cristiani nel mondo, da ultima quella dei ragazzi e delle ragazze di un collegio universitario a Garissa, in Kenya; giovani che, soltanto perché cristiani, sono diventati preda della furia omicida di squadroni della morte jihadisti, perseguitati, come i primi apostoli, a causa del nome di Cristo (At 5,41), assassinati, non pochi di loro, mentre erano in preghiera e invocavano quel nome».

«Solo nella fede in un Dio che ama l’uomo oltre la morte e mostra la potenza di questo suo amore nella risurrezione del suo Figlio, – ha rimarcato Betori – è possibile non lasciarci vincere dalla disperazione. E, a ben pensarci, è proprio la fede in un Dio che è amore, il quale vuole la salvezza di tutti e che non divide l’umanità ma l’abbraccia con lo sguardo di un Padre, ciò che rende invisa ai sanguinari fondamentalisti islamici la presenza dei cristiani nel mondo».

Nel gridare la nostra «vicinanza e il nostro amore a tutti i fratelli cristiani perseguitati in varie parti del mondo – ha proseguito – vogliamo fare appello a una ritrovata fraternità di tutti gli uomini, di tutte le culture e di tutte le religioni; vogliamo invocare un risveglio delle coscienze dei popoli e un’assunzione di responsabilità di chi li governa, per superare l’indifferenza che circonda questi eccidi, uscendo da un silenzio complice – quando uomini di tutte le fedi, grandi e umili, saremo capaci di identificarci con questi martiri per dire tutti insieme “je suis chrétien”? o dobbiamo pensare che per noi i morti pakistani, irakeni, siriani, nigeriani, keniani, magari proprio perché cristiani, valgono meno dei morti di una metropoli occidentale? –; vogliamo però anche auspicare che, finalmente, da tutto il mondo islamico si levi una voce unitaria di netta e ferma condanna, senza restrizioni e ambiguità, dell’odio e della violenza che il jihadismo, nella sue molteplici sigle, sta scatenando nel mondo».

         «Ma questa Veglia», ha detto ancora il Cardinale «è anche una potente luce capace di portare verità sulle oscurità della nostra vita personale. In questa notte Cristo viene infatti a proporsi a ciascuno di noi come il significato pieno della nostra esistenza. Vale per ogni uomo e donna sulla terra, perché in Gesù, che attraversa la morte per amore per risorgere a vita nuova, si incontrano i fondamenti di una figura dell’umano capace di ricomporre quanto le culture oggi egemoni demoliscono sotto spinte individualistiche, nichilistiche, economicistiche. Abbiamo bisogno di recuperare l’incanto della bellezza, la gioia della festa, la ricchezza dell’incontro con l’altro, la forza che scaturisce dai legami familiari e sociali, la libertà che ci è data solo nella ricerca del bene, la pienezza che si attinge nel momento in cui accettiamo di proiettare la nostra esistenza in un orizzonte di trascendenza».