Vita Chiesa

Chiara Lubich e la «sua» Toscana

di Renato Burigana

Nella vita di Chiara Lubich la Toscana ha avuto un ruolo particolare. E non solo perché c’è Loppiano, ma soprattutto perché Firenze fu una delle prime città che la giovane Chiara visitò nel lontano 1949. Firenze la accolse, negli anni della ricostruzione, aiutata da Silvana Veronesi, giovane sua compagna di strada. Loppiano nasce nel 1964, ed è la prima cittadella del Movimento. È il prototipo, il modello, delle molte altre cittadelle che sorgono nei cinque continenti. Chiara, ogni volta che poteva, veniva a Loppiano e abitava nella sua casetta. Viveva in mezzo alle sue famiglie, incontrava i giovani al college, partecipava alla Messa nella piccola chiesa, prima che, dopo molti anni venisse finalmente costruita la nuova chiesa santuario, dedicata a Maria Theotokos. Inaugurata solo due anni fa. Chiara ha voluto, sempre a Loppiano, la prima Università del movimento «Sophia» che inizierà i primi corsi di master a settembre.

A Loppiano, in questi anni sono saliti a incontrare Chiara personalità di tutto il mondo. Lei amava incontrarli lì, perché Loppiano era l’esempio concreto che «amare tutti e vivere nello spirito del Vangelo» era possibile. Anche il neo nato Polo Lionello, l’ultima creatura, sta a dimostrare che una economia di comunione è una nuova via percorribile.

Forti i suoi legami con Firenze e la sua Chiesa. Nel maggio 1986 Chiara, scese da Loppiano, per partecipare al palazzetto dello Sport (oggi Mandela Forum) a un incontro con Madre Teresa. Incontro promosso dal Cardinal Giovanni Benelli, suo grande amico, per la manifestazione «Prima di tutto la vita». Il palazzetto era gremito, moltissimi i giovani, e Chiara infiammò tutti con un discorso a braccio di oltre mezz’ora.

Il movimento e lei in particolare contribuì in modo determinante alla nascita (su richiesta del Cardinale Benelli) del centro studenti Giorgio La Pira. Un centro internazionale che aiutasse all’inserimento, alla integrazione culturale fra ragazzi e ragazze di diverse nazioni che vivevano a Firenze.

Molti anche i riconoscimenti che ha ricevuto dalle città toscane. In particolare nel 2000 ricevette la cittadinanza onoraria dai comuni di Incisa (fu il sindaco Manuele Auzzi a conferirglielo) e di Firenze.

Tre garofani rossi per l’ultimo salutoROMA. Tre garofani rossi sulla bara di legno: l’ultimo segno per indicare una intera vita spesa per amare Dio, al quale si era consacrata. Martedì scorso Chiara Lubich è entrata nella Basilica di S. Paolo, portata a spalla da alcuni focolarini e un lungo applauso le ha dato l’ultimo saluto. La Basilica non ce l’ha fatta a contenere i tanti amici che erano arrivati a Roma per l’ultimo saluto. La celebrazione, presieduta dal cardinale Tarcisio Bertone, ha visto la partecipazione di molti cardinali, vescovi e preti. Fra loro il cardinale Ennio Antonelli, arcivescovo di Firenze e mons. Luciano Giovanetti, vescovo di Fiesole.

I tre garofani rossi hanno richiamato a tutti, quei piccoli tre garofani, che Chiara comprò quando decise a ventitre anni che la sua vita sarebbe stata consacrata al Cristo, che il Cristo sarebbe stato il suo sposo. «Servizio silenzioso e incisivo» sono le parole che Benedetto XVI ha indirizzato ai presenti al funerale, tramite il cardinale Bertone. Riconoscendo a Chiara la rara capacità di «prevedere e di realizzare in anticipo» il cammino della Chiesa. Accanto a una forte sintonia e fedeltà totale alla Chiesa. Parole forti, indirizzate a una delle figure che ha segnato maggiormente la vita ecclesiale di questi ultimi decenni. «La vita di Chiara è un canto all’amore di Dio – ha detto il cardinale Bertone nell’omelia – Solo l’amore divino ci rende capaci di generare amore, di amare anche i nemici». Il cardinale, commosso, ha ripercorso il cammino di Chiara e la costituzione del suo movimento «Il nostro grazie Signore per tutto e per sempre. A noi tocca il compito di continuare la missione iniziata. Dal cielo, siamo sicuri che Chiara, continuerà ad aiutarci».

Al termine dell’omelia tutti lo hanno applaudito a lungo, e spontaneamente si sono alzati in piedi.

Chiara, quando l’insufficienza respiratoria si è aggravata ha chiesto di ritornare a Rocca di Papa, nella sua piccola casa verde. E giovedì scorso, nel pomeriggio, nella piccola cappella del centro si è celebrata una messa per Chiara, anche se a tutti era chiaro che la situazione non lasciava tante speranze. Terminata la Messa, in silenzio le persone si sono dirette, spontaneamente attraverso il prato alla casa. Hanno trovato la porta aperta, hanno potuto entrare e salutare Chiara per l’ultima volta. Era vigile, riconosceva i tanti ragazzi cresciuti con i quali ha fondato un movimento planetario partendo dalla volontà di amare ogni uomo e donna, provando a farlo come Gesù. Ha salutato, con il suo sorriso, che ha accompagnato tutta la sua lunga vita. Poi nella notte si spenta.

La sua bara di legno è stata sistemata nella sala grande di Rocca di Papa, il primo centro, la prima Mariapoli, e lì è iniziata una lunga processione di amici da ogni parte del mondo. Uomini e donne, cardinali, uomini politici, semplici cittadini, giovani. Tanti giovani, i suoi gen. Che poi, giocavano sul prato. E che poi hanno cantato durante la Messa in S. Paolo.

Da ogni parte del mondo hanno cominciato ad arrivare i capi delle singole zone, i focolarini. Le valigie, lasciate fuori, e poi dentro la sala per un ultimo saluto. Una grande famiglia che si ritrovava per un ultimo abbraccio alla «mamma». Quello che colpiva erano i saluti fra le persone, sinceri, affettuosi. Uomini e donne che qui avevano vissuto incontri, magari da giovani gen. Che per Chiara avevano cantato e fatto festa. Giovani che oggi, padri e madri di famiglia, non hanno voluto mancare per dire «grazie Chiara». Quello che ha meravigliato tutti, sono stati anche i tanti messaggi di saluto arrivati da ogni angolo della terra. Non solo dai cristiani di ogni chiesa e comunità, ma anche da ebrei, indù, buddisti, musulmani, che sono saliti a Rocca di Papa. E qui Chiara sarà tumulata proprio qui, nella piccola cappella, dove già riposa Igino Giordani.

La semplicità di una donna eccezionaleLOPPIANO. I ragazzi sanno essere liberi, pronti a cogliere la speranza per costruire un mondo nuovo, più giusto. Ho sempre colto questa voglia che hanno di impegnarsi per costruire un futuro di speranza. Non hanno sulle spalle il peso della storia del Novecento, un fardello pesante che noi anziani ci portiamo dietro». Con queste parole Chiara mi accolse sulla porta della sua casa a Loppiano alcuni anni fa per una lunga intervista. Era felice, curata nel vestire e con i capelli bianchi e ben pettinati. Quello che mi colpì fu la sua disponibilità, la sua cordialità ripetuta poi nel corso degli anni. Ma per Chiara ogni persona che le si avvicinava era veramente immagine di Cristo. Aveva la capacità di entrare in comunione vera e profonda con il suo interlocutore, qualunque fosse. I giovani in particolare erano sempre nel suo cuore. Arrivò un gruppo di bambini, di gen. Lei si mise a parlare, loro a fare domande. Poi chiese loro se potevano cantare. Un bambino, con tranquillità, le disse: «Non siamo pronti, torniamo dopo». Era questo il suo carisma. Ascoltare, dialogare con tutti, costruire unità. Colpisce anche l’uso che da sempre i focolarini fanno dei mezzi di comunicazione: riviste, giornali, collegamenti televisivi settimanali, internet. «Dipende da chi usa questi nuovi mezzi, dipende dai cristiani. Utilizzare questi strumenti è importante, perché anche da questi mezzi è Cristo che deve venire fuori perché è lui la salvezza nostra, del mondo, di ogni uomo. Utilizzare la tecnologia può aiutare lo sviluppo. Per esempio noi una volta al mese facciamo una conferenza telefonica in tutto il mondo, in oltre 80 Paesi. Sono convinta che è importante utilizzare tutti gli strumenti che ci sono perché contribuiscono ad abbattere ogni barriera».

Ti offriva un cristianesimo della gioia, delle semplicità, delle fedeltà all’amore di Dio. Grazie al suo cuore, grande e attento, seguiva ogni avvenimento del mondo. E aveva idee chiare. «Bisogna cristianizzare il mondo. Perché oggi è proprio il cristianesimo che manca. Dobbiamo ricristianizzare l’umanità. Nessuno può togliere la vita a un uomo, questo era già chiaro nell’Antico Testamento». Accanto a questa forte testimonianza c’era l’attenzione al dialogo con ogni uomo e donna, di ogni cultura e di ogni credo religioso. Nel movimento dei focolari ci sono cristiani, di tutte le chiese e comunità, ma anche uomini di altre religioni e non credenti.

Il suo sorriso era per tutti. Nonostante le difficoltà. «Si, perché una bella religione vissuta con il sorriso, con spontaneità come sanno fare i giovani colpisce. Una fede vissuta così cambia il mondo». Era una delle persone più popolari al mondo. Non solo all’interno della chiesa. Mi ricordo che mentre insistevo su questo argomento. Lei sorrideva e si schermiva. «Io vivo la mia vocazione amando ogni uomo che incontro. Una volta un bambino mi ha chiesto, come fai tu che dici che bisogna amare tutti? Gli risposi che io cerco di amare ogni uomo, perché in ogni uomo c’è Cristo. Mi rendo disponibile a tutti, ogni giorno, ogni momento, a ogni interlocutore». Sentiva la responsabilità per un movimento in continua crescita, con centinaia di migliaia di persone. Ma in realtà era solita dire che «la responsabilità, la fatica non è mia, ma Sua». E «Sua» lo diceva guardando in alto, alludendo al Signore. L’unico padrone della vigna.

Un altro tema forte sul quale aveva lavorato era l’economia di comunione. La reale possibilità che si potesse fare economia e sviluppo in modo diverso. «Io ho fiducia. Sto vedendo come il nostro carisma sta influenzando l’economia. Il cambiamento ci sarà, sarà lento ma è già iniziato. Non dobbiamo essere pessimisti. Loppiano è l’esempio che tutto questo è possibile».

Loppiano cresce. Il polo per l’economia di comunione è nato. A settembre inizierà l’Università. Ricordo che quando la salutai, ero passato al tu. Allora le dissi, grazie. Oggi, passati molti anni e vissute insieme tante esperienze, le ripeto ancora il mio grazie.