Vita Chiesa

Come cambia il «Padre Nostro»

DI RICCARDO BIGI«Tornare al cuore dell’annuncio cristiano, e trovare le strade più dirette per far arrivare il Vangelo agli uomini e alle donne di oggi». È questa, secondo il vescovo di Volterra Giovanni Bianchi, l’indicazione di fondo che viene dall’assemblea della Cei che si è svolta a Roma la scorsa settimana. Bianchi, che è anche delegato della Conferenza Episcopale Toscana per la cultura e le comunicazioni sociali, sottolinea proprio l’aspetto della comunicazione come filo conduttore che ha guidato le riflessioni dei vescovi italiani.

In questo contesto, spiega, si pone anche la revisione della traduzione della Bibbia per uso liturgico: quasi duemila «emendamenti» approvati, per lo più piccoli ritocchi che hanno lo scopo di aiutare i fedeli a comprendere meglio la Parola di Dio. Un lavoro che l’assemblea ha approvato con voto pressoché unanime, e che adesso sarà sottoposto alla «recognitio» della Santa Sede. Tra i punti principali, secondo quanto hanno anticipato alcuni giornali, c’è anche il testo del «Padre Nostro» i cui versetti finali diventeranno «e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal Male».

Monsignor Bianchi, quali sono i criteri seguiti in questo importante lavoro di revisione?

«Abbiamo seguito due attenzioni: da un lato la fedeltà al testo originale, dall’altro lo sforzo di collocare la Parola di Dio dentro la lingua viva, parlata dagli uomini di oggi. In generale comunque si è cercato di non cambiare troppo: come nel caso del Padre Nostro, una preghiera così bella e così cara alla nostra gente che non era il caso di trasformarla, a parte certi ritocchi necessari».

Il tema dell’assemblea era l’annuncio del Vangelo nel mondo di oggi: quali sono le caratteristiche della società attuale che sono state evidenziate?

«La sintesi finale, che ha raccolto le indicazioni emerse dai gruppi di studio, ha sottolineato due caratteristiche della cultura di oggi: la prima è il pluralismo etico, culturale e religioso; la seconda, per certi versi conseguente alla prima, è il rischio dell’indifferenza e quindi il prevalere di certi atteggiamenti: consumismo, edonismo, ricerca delle soluzioni facili, rifiuto del sacrificio e dell’impegno, ricerca del benessere ad ogni costo, indipendentemente dai valori morali».

Come portare l’annuncio cristiano in questo contesto?

«I vescovi hanno sottolineato, innanzitutto, alcuni limiti del modo in cui i cristiani vivono oggi la loro testimonianza di fede. Ad esempio, la predominanza dell’aspetto intellettuale nella catechesi: si trasmette il cristianesimo come dottrina, come sistema etico e di comportamenti, non come incontro personale con Gesù. E poi la ritualità delle nostre celebrazioni, povere di gioia, di vita».

Quali sono allora i percorsi da seguire per la Nuova Evangelizzazione?

«Il contesto in cui viviamo, innanzitutto, non deve essere letto solo in negativo: è un contesto che apre possibilità nuove, ci sono spazi nuovi per l’annuncio. Poi si deve dire che la dimensione dell’evangelizzazione, dell’annuncio non deve essere vista come un ulteriore impegno pastorale, come una fatica in più ma come uno stile nuovo che vale per tutto quello che si fa. Sono state indicate anche alcune opzioni prioritarie: prima di tutto, tornare ad annunciare il cuore della fede, proporre la persona di Gesù. Poi, riscoprire la liturgia come occasione per evangelizzare i “vicini” e, attraverso di loro, arrivare anche ai “lontani”. Una parola, infine, è risuonata e mi sembra fondamentale: è “letizia”. A volte la Chiesa pronuncia parole di speranza, ma il suo atteggiamento comunica piuttosto un messaggio di depressione. La vita di molti preti e di alcuni laici cristiani trasmette un senso di pesantezza, di fatica: bisogna invece mostrare che la fede dà gioia, dà pienezza, dà respiro alla nostra vita».